martedì 11 ottobre 2016

Amore

Questa solitudine
verresti a condividerla?
Foglia di paulonia
(Bashō 1644-1694)

Della paulonia e delle sue foglie so poco. 
Allora guardo su internet. Scorro le foto: il portamento maestoso, i fiori lilla e bianchi che sembrano vellutati e carnosi dentro la chioma, "profumatissimi", dice wikipedia. 
Il suo legno è fonoassorbente, perfetto per il koto, lo strumento a corde giapponese, ed è un ottimo isolante termico. E' usato, continua la paginetta, in ebanisteria; sono di paulonia i mobili che custodiscono i kimono e i geta, gli zoccoli tradizionali. 
Un legno musicale, robusto, flessibile, caldo, protettivo. E che sa di passi per casa.

Un haiku-albero come dichiarazione d'amore e progetto di vita.

(cercando la foglia giusta)


  

domenica 9 ottobre 2016

Una domenica

Sembra risuonino 
anche le campane
frinire di cicale

(Bashō 1644-1694)



Una dozzina di anni fa finiva un periodo faticoso, una di quelle onde anomale che ogni tanto travolgono la vita ma mi sentivo meglio, rifiorivo piano piano. Passeggiando per il centro metto gli occhi su una spilletta che mi guardava da una vetrina. Cosa da poco, ma era proprio la "mia" spilla. Una cicala di plastica, vecchiotta, anni sessanta. Fascino immediato a prezzo contenuto. 
In un attimo entro, compro e attacco al bavero. E in attimo la eleggo mio portafortuna ufficiale.
Passano gli anni, alti e bassi, solitissime cose che capitano a tutti, arriviamo a maggio 2014. Ricordo bene la data perché tornavo dal Salone del Libro di Torino in treno. Caldo di primavera inoltrata, trolley, giacche, giornali e libri, mi siedo, mi alzo, metto la presa per iphone, insomma... la cicala si stacca e la perdo. Me ne accorgo a casa e in un flash la rivedo per terra, credo anche di aver risentito mentalmente il suo toc sul pavimento del treno. 
E va bene, pensavo, è andata cosi'. Pazienza. 
Una mattina di domenica, ma di un anno dopo, siamo a maggio del 2015, e dodici anni dopo quell'acquisto, mi sveglio con il pensiero di andare al mercatino di piccolo antiquariato di piazza Augusto Imperatore a Roma. Fin qui niente di strano. Ma se dicessi che l'idea che mi fa scendere dal letto è quella di poter ritrovare la spilla-cicala? 

Inizio il mio giro tra le bancarelle, sbircio, soppeso, osservo e ripongo oggetti e oggettini, "Avete spille vecchiotte, magari a forma di insetto?"  
"E questa le piace?" 
Mi mostra un cicalone bruttissimo, stilizzato, e poi non era "quella" spilla, io volevo la "mia" cicala. Continuo ad aggirarmi per il mercatino quando vedo un signore elegantissimo con le ghette, un completo lilla, i capelli grigi raccolti in un codino, intento nella scelta di alcune cartoline. Luigi Ontani, grande artista, grande tableau vivant di se stesso. Sontuosamente perfetto in ogni dettaglio.
"Belle le cartoline che guarda, maestro. E molto divertente scegliere qualcosa al suo fianco"
"Conosce l'arte?" mi  chiede.
"Mmmm. Tutta tutta direi di no, ma il suo lavoro sì. Che piacere conoscerla!" Stava pure guardando vecchie cartoline giapponesi...
E iniziamo a chiacchierare su India, mercatini e carte fatte a mano. 
Dalla sua sporta di seta - Ontani può girare solo con una una sporta di seta profumata di incenso - tira fuori un suo piccolo quaderno di artista. Ci scrive su una dedica con un pennarellone d'oro, anche lui custodito nella sporta di cui sopra, e me lo porge.
Prendo il librino, confusa e felicissima. È una minuscola antologia delle
sue foto famose dove lui posa in varie fogge e sulla cui copertina mi ha scritto, ghirigorando, "susanna" e "arte". 
In giro la domenica mattina per un mercatino di antiquariato con Luigi Ontani, uno dei più grandi artisti contemporanei
E pensavo a un sacco di cose. Al lavoro su se stesso lungo tutta una vita, modello, ispiratore e soggetto stesso della sua arte. A quanto sia sofisticato e semplice insieme, conturbante e ironico. Osservavo da vicino il suo profilo, i capelli ora bianchi e raccolti che rimarranno, grazie al gesto artistico, lunghi e bruni come quelli di un giovane san Sebastiano di Guido Reni. 
Questo artista un po' Shiva, un po' Genji principe splendente e un po' Pinocchio, capace di trasformare cartapesta, vetro e legno in pietre preziose e rendere una maschera persona e persona una maschera. Un bell'incontro, non ci sono dubbi. 

Tornando verso il motorino mi ripetevo quanto è bella Roma la domenica mattina, e quanto è bello viverci e che, alla fine, questi incontri, ma dove sono mai possibili se non qui?
"Desidera qualcosa?" mi chiede una signora da dietro un piccolo stand tremolante di mille chincaglierie.
"Solo un'occhiata, grazie"
E che vedo? In mezzo a tante spille, la "mia" cicala. Ovviamente di un altro colore, più marroncina e meno verde, ma era "quella". 




sabato 8 ottobre 2016

Buon sabato

Sabato pomeriggio

Senza di te,
in verità, i boschi
son troppo ampi!
(Issa 1762-1826)


"Anvedi, me stavo p'ammazzà" dice, sedendosi a piombo sul sedile, quello più alto dei due, dopo essere quasi caracollato sull'altro per una frenata improvvisa dell'autobus.
"Mèttete qua, va" gli dice l'amico, sogghignando.
Sono seduti davanti a me, identici, stesso ciuffo scolpito, stessi tatuaggi, stesso telefonino da compulsare, stessa aria di chi conosce la vita dall'alto dei sedici anni.
Non proprio dei secchioni, direi. Più frequentatori di baretti all'angolo o di curve dello stadio per urlarci dentro la domenica. 
Lei. Appare dopo una fermata. È appena salita, li raggiunge venendo verso di noi.
Sì, c'ero anch'io, ma loro tre non lo sapevano.
È scura di pelle, stessa età. Occhi seri sulla bocca sorridente, un piercing sul naso. Iniziano a chiacchierare un po' a mugugni, un po' a risate, un po' mostrandosi lo screen del telefonino.
"E che mica lo so daa prossima settimana" sento che dice lei sotto i cento fermaglietti che ha in testa "È mi' padre che me deve ffa capì come se fa, ma non se capisce gnente. Figurate, capace che se me scade me ne devo annà e tornà laggiù. Perchè io so' itagliana ma me scade..."
"Ma che, davero te ne devi annà?" Dice uno dei due ragazzi con la voce che gli esce da sola dalla bocca che intravedo mezza aperta, sospesa. 
Anche l'altro, che ora lo guarda sgomento e poi guarda lei, scuote quell'opossum di capelli con aria persa. Le facce che vorrebbero essere da cattivissimi, i tatuaggi con i gladiatori uguali a quelli Totti, non fanno paura a nessuno. Loro non vogliono fare paura a nessuno, figurati a lei.
"E che sse fa?"
"Boh, qualcosa se inventàmo, io nun ce capisco gnente. Ecco semo arrivati, scennemo va."
"E sì, qualcosa se inventamo"
I boschi sono troppo ampi, senza di te!

Li vedo, i tre. Veloci verso il corso con i negozi, magari la prossima volta quelle scarpe fichissime me le compro, vedo la lattina condivisa, gli scherzi a lei, le prove di abbraccio di uno dei due.
Un po' sono felice.
Qualcosa, loro tre, si inventeranno.

(Bosco romano)

venerdì 7 ottobre 2016

Domande

Vedo la neve cadere
attraverso un foro
nello shoji
(Shiki 1867-1902)


Shiki è un poeta che amo molto, la sua vita così breve che l'ha costretto ad osservare il mondo da un punto di vista sempre più ristretto che si rimpiccioliva per il suo stato di infermità. Si muoveva in uno spazio ridotto, mi turba ogni volta che leggo l'infinito dentro una sua poesia.

In questi ultimi tre giorni ho infilato nella medesima collana, quella mia, quella che porto al collo, la mia vita, tre perle.
La prima è stata la visione, per la seconda volta dopo quella al cinema, (ne avevo già scritto QUI) di "Fuocoammare" di Gianfranco Rosi, la seconda perla è stato il documentario di Marina Abramovic dal titolo "The space in between", la terza l'ho infilata andando a teatro per l'Orestea di Romeo Castellucci.
Tre perle, tre modi di parlare di vita e di morte attraverso l'arte. 
La quotidianità dei pescatori lampedusani e quella dei migranti ammarati come pesci agonizzanti, la lentezza del movimento parallelo di due mondi. Due pianeti che girano, leopardiani e inesorabili, muti, che parlano lingue che non si capiscono, che forse si guardano.
La ricerca artistica ed esistenziale di Marina Abramovic. Fino dove posso arrivare? Come farò a sopportare? Come capire la morte? Come capire la vita se non attraverso quello spazio in mezzo, quella soglia da varcare?
E gli incubi di Castellucci. Grandiosi, rumorosi, pittorici. Dove i personaggi in scena hanno la nostra taglia, noi come loro e loro come noi. Nessun protagonista, nessuna voce più forte di un'altra. Un farfuglìo continuo, i nostri incubi come quelli di Eschilo. La stessa rappresentazione da duemila anni.
Tre meraviglie, tre intellettuali, tre cervelli, tre idee. 
Tre perle che ti raccontano di una società contemporanea, di un tempo che viviamo e dei suoi interrogativi che riesci a scorgere anche guardando dove ti indicano loro. 
In quel buco nello shoji , la parete scorrevole perimetro della piccola stanza che fu di Shiki.

Della notizia della morte di cancro di un uomo nell'ospedale romano, abbandonato a se stesso per cinquantasei ore nel caos e nell'indifferenza, vi riporto il dettaglio del paravento. A un certo punto della sua lettera aperta, quasi sospendendo il tono di denuncia di quanto lui e suoi cari hanno dovuto subire, il figlio Patrizio Cairoli, dice: 
"abbiamo dovuto insistere per ottenere un paravento, non di più, perché gli altri "servono per garantire la privacy durante le visite"; una persona che sta morendo, invece, non ne ha diritto: ci hanno detto che eravamo persino fortunati. Così, ci siamo dovuti ingegnare: abbiamo preso un maglioncino e, con lo scotch, lo abbiamo tenuto sospeso tra il muro e il paravento; il resto della visuale lo abbiamo coperto con i nostri corpi, formando una barriera."
Un paravento. Un piccolo paravento a protezione del grande mistero, una soglia portatile tra qua e là. La barriera dei corpi, l'intimità da proteggere. L'attesa, la disperazione. La solitudine.

Vedo la neve cadere, ci dice Shiki che con l'Abramovic, Rosi e Castellucci ce la fa guardare.


(passaggio)









mercoledì 5 ottobre 2016

"io"

Bell'oleandro
- in questa mia vacanza
quanto silenzio
(Momoko Kuroda 1938)

Oggi non ho niente da dire, da linkare, da commentare. Non mi è successo nulla di grave, tranquilli! O meglio, succedono troppe cose su cui dire o da linkare e commentare (vedi perizia sul corpo di Stefano Cucchi).

Sto come un gatto con la palla di pelo in gola, un cane al guinzaglio che raschia sulle mattonelle pur di non muoversi. O come la caldaia che non parte anche se la luce verde è accesa, la chiave che non gira bene, il motorino che tossisce invece di mettersi in moto. La bici con la catena che si sgancia, il cassetto incastrato, il cd che salta, il chiodo che non entra nel muro, la radio che fruscia e ieri non lo faceva...
Sto così, in posizione STAND BY, né su ON né su OFF, e mi osservo. 
Sono riflessa nel vetro della porta che varco ogni giorno, quella che mi conduce in redazione, e che mi rimbalza quotidianamente la Susanna che vedono gli altri insieme a quella piccola scritta, "io", residuo di una parola attaccata e mezza sparita (rad-io?).
La mia didascalia.

(Io)