sabato 8 ottobre 2016

Buon sabato

Sabato pomeriggio

Senza di te,
in verità, i boschi
son troppo ampi!
(Issa 1762-1826)


"Anvedi, me stavo p'ammazzà" dice, sedendosi a piombo sul sedile, quello più alto dei due, dopo essere quasi caracollato sull'altro per una frenata improvvisa dell'autobus.
"Mèttete qua, va" gli dice l'amico, sogghignando.
Sono seduti davanti a me, identici, stesso ciuffo scolpito, stessi tatuaggi, stesso telefonino da compulsare, stessa aria di chi conosce la vita dall'alto dei sedici anni.
Non proprio dei secchioni, direi. Più frequentatori di baretti all'angolo o di curve dello stadio per urlarci dentro la domenica. 
Lei. Appare dopo una fermata. È appena salita, li raggiunge venendo verso di noi.
Sì, c'ero anch'io, ma loro tre non lo sapevano.
È scura di pelle, stessa età. Occhi seri sulla bocca sorridente, un piercing sul naso. Iniziano a chiacchierare un po' a mugugni, un po' a risate, un po' mostrandosi lo screen del telefonino.
"E che mica lo so daa prossima settimana" sento che dice lei sotto i cento fermaglietti che ha in testa "È mi' padre che me deve ffa capì come se fa, ma non se capisce gnente. Figurate, capace che se me scade me ne devo annà e tornà laggiù. Perchè io so' itagliana ma me scade..."
"Ma che, davero te ne devi annà?" Dice uno dei due ragazzi con la voce che gli esce da sola dalla bocca che intravedo mezza aperta, sospesa. 
Anche l'altro, che ora lo guarda sgomento e poi guarda lei, scuote quell'opossum di capelli con aria persa. Le facce che vorrebbero essere da cattivissimi, i tatuaggi con i gladiatori uguali a quelli Totti, non fanno paura a nessuno. Loro non vogliono fare paura a nessuno, figurati a lei.
"E che sse fa?"
"Boh, qualcosa se inventàmo, io nun ce capisco gnente. Ecco semo arrivati, scennemo va."
"E sì, qualcosa se inventamo"
I boschi sono troppo ampi, senza di te!

Li vedo, i tre. Veloci verso il corso con i negozi, magari la prossima volta quelle scarpe fichissime me le compro, vedo la lattina condivisa, gli scherzi a lei, le prove di abbraccio di uno dei due.
Un po' sono felice.
Qualcosa, loro tre, si inventeranno.

(Bosco romano)

venerdì 7 ottobre 2016

Domande

Vedo la neve cadere
attraverso un foro
nello shoji
(Shiki 1867-1902)


Shiki è un poeta che amo molto, la sua vita così breve che l'ha costretto ad osservare il mondo da un punto di vista sempre più ristretto che si rimpiccioliva per il suo stato di infermità. Si muoveva in uno spazio ridotto, mi turba ogni volta che leggo l'infinito dentro una sua poesia.

In questi ultimi tre giorni ho infilato nella medesima collana, quella mia, quella che porto al collo, la mia vita, tre perle.
La prima è stata la visione, per la seconda volta dopo quella al cinema, (ne avevo già scritto QUI) di "Fuocoammare" di Gianfranco Rosi, la seconda perla è stato il documentario di Marina Abramovic dal titolo "The space in between", la terza l'ho infilata andando a teatro per l'Orestea di Romeo Castellucci.
Tre perle, tre modi di parlare di vita e di morte attraverso l'arte. 
La quotidianità dei pescatori lampedusani e quella dei migranti ammarati come pesci agonizzanti, la lentezza del movimento parallelo di due mondi. Due pianeti che girano, leopardiani e inesorabili, muti, che parlano lingue che non si capiscono, che forse si guardano.
La ricerca artistica ed esistenziale di Marina Abramovic. Fino dove posso arrivare? Come farò a sopportare? Come capire la morte? Come capire la vita se non attraverso quello spazio in mezzo, quella soglia da varcare?
E gli incubi di Castellucci. Grandiosi, rumorosi, pittorici. Dove i personaggi in scena hanno la nostra taglia, noi come loro e loro come noi. Nessun protagonista, nessuna voce più forte di un'altra. Un farfuglìo continuo, i nostri incubi come quelli di Eschilo. La stessa rappresentazione da duemila anni.
Tre meraviglie, tre intellettuali, tre cervelli, tre idee. 
Tre perle che ti raccontano di una società contemporanea, di un tempo che viviamo e dei suoi interrogativi che riesci a scorgere anche guardando dove ti indicano loro. 
In quel buco nello shoji , la parete scorrevole perimetro della piccola stanza che fu di Shiki.

Della notizia della morte di cancro di un uomo nell'ospedale romano, abbandonato a se stesso per cinquantasei ore nel caos e nell'indifferenza, vi riporto il dettaglio del paravento. A un certo punto della sua lettera aperta, quasi sospendendo il tono di denuncia di quanto lui e suoi cari hanno dovuto subire, il figlio Patrizio Cairoli, dice: 
"abbiamo dovuto insistere per ottenere un paravento, non di più, perché gli altri "servono per garantire la privacy durante le visite"; una persona che sta morendo, invece, non ne ha diritto: ci hanno detto che eravamo persino fortunati. Così, ci siamo dovuti ingegnare: abbiamo preso un maglioncino e, con lo scotch, lo abbiamo tenuto sospeso tra il muro e il paravento; il resto della visuale lo abbiamo coperto con i nostri corpi, formando una barriera."
Un paravento. Un piccolo paravento a protezione del grande mistero, una soglia portatile tra qua e là. La barriera dei corpi, l'intimità da proteggere. L'attesa, la disperazione. La solitudine.

Vedo la neve cadere, ci dice Shiki che con l'Abramovic, Rosi e Castellucci ce la fa guardare.


(passaggio)









mercoledì 5 ottobre 2016

"io"

Bell'oleandro
- in questa mia vacanza
quanto silenzio
(Momoko Kuroda 1938)

Oggi non ho niente da dire, da linkare, da commentare. Non mi è successo nulla di grave, tranquilli! O meglio, succedono troppe cose su cui dire o da linkare e commentare (vedi perizia sul corpo di Stefano Cucchi).

Sto come un gatto con la palla di pelo in gola, un cane al guinzaglio che raschia sulle mattonelle pur di non muoversi. O come la caldaia che non parte anche se la luce verde è accesa, la chiave che non gira bene, il motorino che tossisce invece di mettersi in moto. La bici con la catena che si sgancia, il cassetto incastrato, il cd che salta, il chiodo che non entra nel muro, la radio che fruscia e ieri non lo faceva...
Sto così, in posizione STAND BY, né su ON né su OFF, e mi osservo. 
Sono riflessa nel vetro della porta che varco ogni giorno, quella che mi conduce in redazione, e che mi rimbalza quotidianamente la Susanna che vedono gli altri insieme a quella piccola scritta, "io", residuo di una parola attaccata e mezza sparita (rad-io?).
La mia didascalia.

(Io)

martedì 4 ottobre 2016

#inviaggioconSantōka

Nessuna nuvola
in vista -
Tolgo il cappello
(Santōka 1882-1940)

Andare in giro con Santōka, vi assicuro, è il migliore dei mondi possibili. Il suo procedere disordinato, a singhiozzo direi, se non temessi il rischio di offenderlo vista la passione per il saké, unito al mio, sghembo e così poco zen, mi offrono pezzi di realtà che avevo lì davanti e che ora guardo in un altro modo. 
Ad esempio, essere "ospite" di una libreria e non "cliente", vezzeggiata e accolta con grande calore dal pubblico arrivato lì, per me. Fare due chiacchiere con una coppia di ascoltatori storici di Radio3, perdendo un po' di tempo insieme. Conoscere un libraio, esperto di meccanismi economici ma che si ostina a volerli fare girare al contrario e si concede una vita più serena e una bella libreria a Pinerolo, il cui nome deriva dai pini che la cingevano, insieme alle mura che lui mi fa immaginare quando ci passeggiamo dentro e me ne parla. Scoprire un giardino, la sua esile proprietaria dai tanti cognomi e dai tanti anni, custode-fuscello di un ginko incredibilmente possente. Cenare, con frugalità, ovvio, in un convento di clausura.
E sempre con Santoka, raggiungere il giorno dopo Torino, con lo strano status di "relatore al festival", salutare vecchi amici scrittori senza doverli intervistare o intercettare per una scaletta, scoprirne lati che non conoscevo se visti da qua. Saggiare complicità e diffidenza allo stesso buffet
Scrivere dediche, ricevere sorrisi, tenere a bada la voce che trema, acchiappare la parola giusta, cercare di sorridere che quando penso sembro un gufo triste e mi viene pure una ruga in mezzo alla fronte, di quelle verticali. La cipria l'ho poi comprata, l'effetto lucido non lo rischio, e Santoka si rivela fichissimo, ogni volta che ne parlo.
E mi viene da sorridere, nessuna nuvola in vista.
(via del Pino)





(#inviaggioconSantoka)

(Giappone piemontese)



   


     (Ripassino. Tra Fabiola Palmeri e Antonietta  Pastore)

(#unpof controluce a Torino Spiritualità)

lunedì 3 ottobre 2016

3 ottobre

Sopravvissuto,
sopravvissuto a tutti
Oh quanto freddo!
(Issa 1763-1828)

Quanto sarebbe bello un tasto rewind per andare indietro con le vite delle persone! Poterci cliccare su e seguire passo passo, a ritroso, chi ho davanti.
E, cliccando cliccando, vedere da dove vieni, perché sei scappato, dove ti trovavi, chi erano i tuoi familiari, i tuoi amici, il tuo paese, la tua terra. E vedere cosa ti hanno fatto per farti arrivare in un posto sconosciuto, per farti salire su un barcone, per obbligarti a lasciare l'abbraccio dei tuoi e per farti dimenticare sapori, odori, abitudini. 
Vedere come ci sei arrivato dentro quella tuta da benzinaio che ti sta larga, dentro quelle scarpe che consumi sui nostri marciapiedi per vendere degli affaretti inutili. Sopravvissuto a tutti, che cosa mai hanno sopportato le tue pupille che cercano le nostre ora con aria supplicante o torva, rassegnata o spersa!
E che cosa amavano guardare per sognare.


(Africa a sorpresa)