venerdì 5 agosto 2016

Senza dire una parola (dailyhaiku d'estate)

Tutto il giorno
senza dire una parola.
Il suono delle onde.
(Santōka 1882-1940)


"Signora, signoraaaa!" la sua vociona alle mie spalle, mentre traffico con il bauletto del motorino appena parcheggiato sotto casa. Sono le sette di sera, sono da poco uscita dalla redazione, sono stanca, ho pure le buste della spesa e il sole, nonostante tutto questo, sembra ancora altissimo.
"Signoraaa, che c'ha un eurooo?" 
Mi sto girando verso di lui, in testa ho ancora il casco.
"Beh, no..."  
Me lo sfilo, scuoto i capelli appiccicati per il caldo, alzo lo sguardo. E' un mio vicino, quello dall'aria buffa e con la voce tenorile. Un uomo un po' vecchio un po' no, camicia  a maniche corte su pantaloni giro-collo (salgono sempre più in alto quando si invecchia). E' alto. E' lui quello che ci diede il primo benvenuto appena arrivati a vivere lì. A modo suo, a gran voce, con una barzelletta di quelle con la domanda, ehi, voi, sapete il colmo per un panettiere? avere una figlia che si chiama rosetta! 
Una cosa così.
Ovviamente, è stato amore a prima vista e lo abbiamo soprannominato "rosetta". 
Fino  a quel momento lo immaginavo nella sua casa, una magra pensione, arredi modesti, un figlio che magari lo va a trovare ogni tanto e, quando incontra qualcuno, due chiacchiere strampalate a gran voce. 
Sereno, anche nel suo caos mentale; non pensavo chiedesse l'elemosina. Ecco, questo non lo pensavo proprio.
"Signoraaa, avevo voglia di una cocaaaaa" stessi decibel, solo più rassegnati.
Il cappellino, di quelli anni sessanta, di tela rosata con le falde minuscole, si muove un po' sopra quella testa da proteggere. 
Alla parola "cocacola" non resisto. Poggio tutto per terra, casco e borse della spesa, e mi tuffo alla ricerca dell'euro. Qui non ci sono bambini da far mangiare, casa lontana o perdita del lavoro. E neanche un tavernello da svuotarsi in gola. Qui è tutto semplice. E' tutto molto semplice, come una battuta, come quella della rosetta. 
Oppure no. E' tutto molto, ma molto più complicato. 
Trovo la moneta sul fondo della borsa. 
"Ecco"
"Grazie signoraaa! Mi ha risolto un problema, eh!"
Ripongo il casco nel bauletto, raccatto le cose da terra, cerco le chiavi di casa e ancora:
"Signoraaaa! GRAZIEEE!!!" 
Un euro. Me lo ha chiesto, tutto qui. Un "problema" in meno sulla terra. Un "problema" risolto.

La mattina seguente, ancora mezzo addormentata, sento dalla finestra il clangore dell'automezzo addetto al recupero dell'immondizia e i mugugni degli addetti alla pulizia intenti nell'operazione di svuotaggio cassonetto. Su tutte, riconosco la voce, quella di rosetta:
"Signoreee! Scusiiii, non vedeeee??? Le è caduta una cartaaaa!!!!


(C'è qualcunooooo?)

        

giovedì 4 agosto 2016

Erbe (dailyhaiku d'estate)

E là si sdraia
e là resta sdraiata
l'erba in giardino
(Ryōkan 1758-1831)



Così sto. E non ne voglio sapere. Immobile, mi faccio rintronare dalle cicale, solleticare dalle formiche. Mi pizzica qualcosa sulla gamba. Sulla testa mi ronza solo un bombo, elegante nonostante il nome ridicolo, "bombus pratorum", lo osservo compiere piccoli voli, precisissimi. A scatti, si scopre il corpicino di velluto arancione. 
Il suo ronzio su tutto. 
Così sto, erba sdraiata nell'erba, mentre questa estate si srotola sotto e sopra di me.


(Bombi e non bombe)

mercoledì 3 agosto 2016

Diario estivo

Notte d'estate
a contare le mie pulci -
sveglio fino all'alba
(Ryōkan 1758-1831)


I raid sulla Libia e Sigonella come base militare, le banche impazzite, le minacce di Erdogan... 
Speravo in un'estate migliore, penso, mentre conto le mie pulci.


(Luogo estivo)



martedì 2 agosto 2016

click

L'immagine sacra
che rimpiange la primavera
è l'eternità
(Mizuhara Shūōshi 1891-1981)



"Ci servirebbero alcune foto in alta definizione da inviare ai festival" mi avvertono dalla mia casa editrice. Ok. Mi devo organizzare. Preparo il mio fondale casalingo, una parete bianca, provo a truccarmi, poco (l'effetto maschera da teatro Nō è racchiuso tutto qui dentro, nel tubetto di fondotinta che ho in mano), scelgo una posa e acchiappo l'ipad. 
Sfoglio gli scatti appena fatti: bassa la risoluzione, basso il risultato. Bassa pure io, sembro una ziapina tarchiata e disperata che rimpiange la primavera. Selfie maledetti!      
"Aiuto, potresti farmi tu un paio di foto?" Simona (un'amica di quelle poche e vere in circolazione sia come fotografa che come amica) arriva sul suo scooter nel giro di un paio d'ore. 
Mi piace osservare chi conosce il proprio lavoro, chi vede cose che gli altri non vedono tipo la luce come sarà, la parete come sarebbe, quel gesto che potrebbe essere quello giusto.
Attraverso l'obiettivo, tirato fuori da uno zaino che la fa sembrare un ninja, Simona, elegantissima e lunare comunque, vede le cose che non si vedono subito.  
Tipo le grate di quel cancello del museo Maxxi - ben serrato già alle 19 di una serata romana, dove ci siamo recate cercando un fantomatico "muro bianco che ha una bella luce a quest'ora" - e davanti al quale ho posato con aria finto disinvolta. 
"Cavolo, Simona, ma che devo fare? Dove devo guardare?"
"Non preoccuparti, tu pensa e sorridi..." Simona parla poco, anche quando fotografa. Sono i suoi scatti a parlare di lei. 
Mi ha fatto proprio un regalo, pensavo mentre cercavo una posa "naturale" che mi facesse fichissima, senza una ruga e molto, molto intelligente e con un collo da cigno. E che non si veda il cerotto, mi raccomando Simona!  
Poi ci siamo prese un aperitivo e il nostro shooting è diventato una cena. 
E ci siamo ancora guardate, dopo anni passati, estati indimenticabili, fatiche, dolori. 
Così diverse, così affini. Tra le due io sono sempre quella che chiacchiera anche quando dovrebbe stare ferma e zitta.

click.

(dietro le quinte)


   

lunedì 1 agosto 2016

Candele

Candela alla mano
l'uomo attraversa il suo giardino
rimpiangendo la primavera.
(Yosa Buson 1716-1784)


Bellissimo. Musulmani e cattolici dalla stessa parte, che pregano, insieme, in chiesa. Immagino voci che si confondono, preghiere e accenti diversi, litanie sconosciute che si intrecciano per levarsi veso l'alto. Bellissimo. Uomini che attraversano quel giardino che sentono il "loro" e, candela alla mano, - 23 mila solo in Italia (leggi la notizia QUI) - si vengono incontro.

Fa caldo, non c'è aria. Valico la soglia di una chiesa qualsiasi, rimpiangendo la primavera.
Delle chiese amo l'odore. Misto di incenso e paramenti, di cera e umanità, fresco e stantio insieme. 
Là fuori negozi con gli ultimi saldi, il travertino abbaglia, le statue barocche hanno perso la loro baldanza e vorrebbero solo accasciarsi per l'afa. Entrare in una chiesa, nella Roma di questi giorni d'agosto, è sempre un gran riparo.
Le pupille si stanno abituando alla penombra, si allargano come le narici. 


(occhio di dio?)