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venerdì 14 luglio 2017

Ius Sòla


(...)
Intanto i piroscafi che dividono orizzonti dichiarano
Noi perduti;
Trovati solo
In opuscoli turistici, dietro ardenti binocoli;
Trovati nel riflesso blu di occhi
Che hanno conosciuto metropoli e ci credono felici qui
(...)
(da "Preludio" di Derek Walcott)


Metropolitana domenica pomeriggio, sulla banchina. Nell'attesa, guardavo le teste di capelli che avevo vicino. Contavo due zazzere, quattro del tipo imbrillantinato, tre crespissime contro due liscissime e spioventi, una nascosta da un velo con perline rosa e una dal berretto con la visiera girata dall'altra parte. Insomma, una babele di teste, tutte diverse e tutte in movimento. 
A un certo punto avverto la sensazione che qualcuno mi stia fissando. Dove sei, chi sei tu che mi guardi e non favelli? E soprattutto, da dove mi raggiungi con questo piccolo laser di occhi insistente, che continua a pungermi da dietro? 
Non lo sapevo ancora che appartenessero alla più grande esperta di leggi e diritto, specializzata con il massimo dei voti. No, non lo sapevo ancora che erano di Giulia.
Insomma, sento di nuovo quel laser di occhi, mi giro e, ad altezza testa, non vedo nessuno. Abbasso lo sguardo e finalmente li intercetto! Sono nerissimi e appartengono a lei. Sì proprio a quell'espertona di diritto internazionale di cui vi accennavo che, sotto due ciuffetti infiocchettati e poco più su della bocca minuscola a forma di cuore, continuava a fissarmi con quelle due biglie nere dal basso del suo passeggino. Serissima. 
La mamma, una signora filippina dall'accento romano, aggiustandole un fiocchetto, risponde al mio sorriso: "Lei è Giulia!". 
"Ciao Giulia, come sei bella. Complimenti signora!"
Giulia continua a fissarmi, immobile, se possibile ancora più seria di prima.
Cosa pensi mai, Giulia? No! Non dirmelo, stamattina volevi telefonare anche tu a Prima Pagina e rispondere al giornalista! E raccontare a gran voce la tua esperienza in materia di ius soli, esperienza che dura da sempre per te - quanti saranno, sei mesi? - e che tua madre si sente italiana, infatti ha la cittadinanza, e che ha fatto mille pratiche, ma che tu sei italiana e basta. Che lo capisci, l'italiano, e che un  giorno lo parlerai da dio e che, sempre un giorno, saprai telefonare a tutti. Ora osservi solamente, ma un giorno, farai un sacco di cose e cucinerai una pasta per primo piatto, col sugo e il basilico, e quel buonissimo secondo di verdura e carne che ti diceva tua nonna. E che le tradizioni uno ce l'ha in testa, come morbidi fiocchetti, e che non sono cappi e che le radici sono dove siamo, caro signor giornalista, volevi dirglielo ma vabbè, e che sono aeree, come quelle di una pianta bellissima che vive nelle Filippine e che ora non sai ancora bene come si chiama ma un giorno sì che lo saprai e che, sempre un giorno, li visiterai tutti quei posti di nonna per poi ritornare a casa, dove ci sarà chi ti aspetta, perché di sicuro, Giulia, uno che ti aspetta, e perde la testa per te, lo trovi. Sicuro.

(Le mie radici preferite)

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Senza di te,
in verità, i boschi
son troppo ampi!
(Issa 1762-1826)





"Anvedi, me stavo p'ammazzà" dice, sedendosi a piombo sul sedile, quello più alto dei due, dopo essere quasi caracollato sull'altro per una frenata improvvisa dell'autobus.
"Mèttete qua, va" gli dice l'amico, sogghignando.
Sono seduti davanti a me, identici, stesso ciuffo scolpito, stessi tatuaggi, stesso telefonino da compulsare, stessa aria di chi conosce la vita dall'alto dei sedici anni.
Non proprio dei secchioni, direi. Più frequentatori di baretti all'angolo o di curve dello stadio per urlarci dentro la domenica. 
Lei. Appare dopo una fermata. È appena salita, li raggiunge venendo verso di noi.
Sì, c'ero anch'io, ma loro tre non lo sapevano.
È scura di pelle, stessa età. Occhi seri sulla bocca sorridente, un piercing sul naso. Iniziano a chiacchierare un po' a mugugni, un po' a risate, un po' mostrandosi lo screen del telefonino.
"E che mica lo so daa prossima settimana" sento che dice lei sotto i cento fermaglietti che ha in testa "È mi' padre che me deve ffa capì come se fa, ma non se capisce gnente. Figurate, capace che se me scade me ne devo annà e tornà laggiù. Perchè io so' itagliana ma me scade..."
"Ma che, davero te ne devi annà?" Dice uno dei due ragazzi con la voce che gli esce da sola dalla bocca che intravedo mezza aperta, sospesa. 
Anche l'altro, che ora lo guarda sgomento e poi guarda lei, scuote quell'opossum di capelli con aria persa. Le facce che vorrebbero essere da cattivissimi, i tatuaggi con i gladiatori uguali a quelli Totti, non fanno paura a nessuno. Loro non vogliono fare paura a nessuno, figurati a lei.
"E che sse fa?"
"Boh, qualcosa se inventàmo, io nun ce capisco gnente. Ecco semo arrivati, scennemo va."
"E sì, qualcosa se inventamo"
I boschi sono troppo ampi, senza di te!



Li vedo, i tre. Veloci verso il corso con i negozi, magari la prossima volta quelle scarpe fichissime me le compro, vedo la lattina condivisa, gli scherzi a lei, le prove di abbraccio di uno dei due.
Un po' sono felice.
Qualcosa, loro tre, si inventeranno.

(Bosco romano)



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NOTA
Ricordate Favour, la neonata arrivata a Lampedusa l'anno scorso? (video QUI) 
Qui l'haiku e il mio post a lei dedicato.

Luccica nel calore
un cesto di vimini
sotto l'albero di susine
(Akutagawa 1892-1927)


Aspettate! Aspettate, gruppo dei sette economisti più importanti della Terra, per gli amici "G7", aspettate!!! (notizia QUI) Inventatevi qualcosa, fate qualche intervista, un paio di foto ancora - Obama, Merkel, Renzi: cheese! -  una telefonata lunga, prendetevi ancora qualche minuto! Una tartina, qualcosa da bere? Sta arrivando!
Eccola qui, finalmente Favour ce l'ha fatta! Dal suo cesto di vimini, saluta tutti, sorride.
I suoi occhi a stellina cercano quelli degli altri suoi colleghi di G7, luccicano e cercano, luccicano e cercano.
"Piccola Favour, grazie di essere arrivata fin qui! Grazie, dacci una mano tu a risolvere questa questione, la tua esperienza è importante per noi, ci serve tutta! Lui è Obama, vedi? Io sono Renzi, questo è Junker e questa signora che ti tiene in braccio si chiama Angela" "No, brava, lascia stare il naso di Cameron. Piacere Favour, piccolo meraviglioso Favore per tutti, benarrivata! Loro si chiamano Trusk e Trudeau, grazie di essere arrivata qui al G7 dopo tanta fatica! Grazie a nome del mondo!".
Shinzo Abe, padrone di casa, fa uno strappo alla regola (forse l'unico della sua carriera di diplomatico giapponese!), nessun tavolo di lavoro, via tutto, via queste scartoffie che non tutti gli ospiti riescono a capire perchè non sanno ancora leggere, via le sedie, troppo alte. 
Si rimarrà lì, sul prato, ad altezza cesto di vimini. Chi vuole può sedersi sotto l'albero di susine, chi vuole può prenderla in braccio, cambiare il pannolino a Favour. Oppure rimanere in silenzio con lei, all'ombra. 
È sbarcata da poco ma non è stanca, è pura vita luccicante, non ne vuole sapere di dormire.
Sta raccontando la sua storia a tutti, il G7 è diventato G8, la vita irrompe e noi ci inchiniamo a questo regalo.

(Il regalo più bello)

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Al profumo dei pruni
d'improvviso, appare il sole
sul sentiero montano
(Bashō 1644-1694)



La storia di Anina Ciuciu, rom rumena che con la sua famiglia fugge dalla Romania per arrivare nel più grande campo nomadi d'Europa, il Casilino 900, non finisce in quella periferia romana.
Dopo anni passati a mendicare per le strade del centro - quante Anine che vedo in giro, quanti sguardi da regine che sfidano il mio, quanti palmi protesi verso di me, molli, ciondolanti come i lattanti appesi che succhiano - fugge verso la Francia. Lì viene aiutata da qualcuno - chi sarà questa persona generosa, cosa ha intravisto negli occhi di Anina che l'ha spinta a interessarsi a lei e alla sua famiglia? Quale sarà stata la prima frase che le avrà rivolto? Una parola gentile o un piccolo gesto? - impara il francese e va a scuola. Poi una borsa di studio, una laurea e ora un master alla Sorbona. 
Anina abita questa nostra Europa sbilenca e chiusa. La attraversa costruendo se stessa, riscattandosi, strappandosi dal mio sguardo perso e colpevole. Nell'intervista appare fiera, consapevole (leggila QUI), ricorda il profumo delle arance in Romania e la puzza di legni arsi con le lamiere del campo. 
Al profumo dei pruni, d'improvviso, appare il sole.

E, a quel sole, ci scaldiamo un po' anche noi.


("Grazieee e tanta bona fortuna")

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Vette di nuvole.
Appaiono in sogno
senza confini
(Kato Shuson 1905-1993)



Una serata come tante, una tavolata di vecchi amici, un locale del centro di Roma. E come sempre il passaggio dei venditori di tutto (accendini, pupazzetti, reggi telefonino, cover colorate, rose acciaccate). 
A capotavola, una mia amica che vive in Sicilia da tanti anni, a Roma per qualche giorno, sulla tovaglia antipasti a volontà, fritti e controfritti, nell'aria le nostre chiacchiere.
"Oddio, eccone un altro!" Solita frase, solita mercanzia, soliti sorrisi di compatimento che vogliono significare "ti prego, non sono razzista, ti accolgo, ma ti prego, l'ennesima cianfrusaglia no". Penso alle rose buttate nella spazzatura la mattina stessa, così cimiteriali nel loro appassire istantaneo, acquistate la sera precedente all'uscita di un film, mentre dall'altra parte: "Fratello, ciao! Compra? Ciao miss mondo, bello questo, dai!" 
Fa caldo, sono stanca, o forse a causa di un piatto pieno di mozzarelle che girava, non so, qualcosa nel frattempo mi sfugge quando la mia amica racconta che è appena arrivata dalla Sicilia. Il ragazzo africano  si illumina e dice, mentre si aggiusta il cappello e risponde a una telefonata, che in Sicilia tutti buoni, che quando arrivato gente gentile. Viva Sicilia!
E lo dichiara serio, ricoprendo la mia amica di braccialetti colorati "No soldi. Omaggio Sicilia."
"Lasciali stare" dico automaticamente "che ti tocca comprare tutto. Vedrai come tra poco non ritorna e ti chiede i soldi".
La serata finisce e con lei le nostre chiacchiere. La mia amica ha indossato i braccialetti di perline verdi, giallo e rosse come la bandiera del Senegal.
Il ragazzo non è tornato.

"Omaggio Sicilia" mi ha fatto male.


(senza confini)

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Tempesta sotto gli alberi.
C'è qualcosa che pesa
nelle onde del mare
(Yamaguchi Seishi 1901-1994)


Ma possibile che non si trovi una soluzione? Che buona parte dell'Europa non stia ai patti, non provveda ad assorbire, integrandola, questa benedetta quota di migranti che spetta ad ogni paese?
E che si continui solo a strumentalizzare? Uomini, donne e bambini muoiono e si parla sempre di confini, muri e oggi di hotspot galleggianti. 
C'è qualcosa che pesa nelle onde del mare.

Sono circa le sette di sera nella Roma elettorale. 
Sui muri sono attaccati manifesti con colossei dall'aria cattiva e fiamme tricolori che non scaldano. "Sei profugo? Avrai lo stipendio!". L'odio in formato elettorale con l'obiettivo di una caput mundi littoria, decisa e sicura del fatto suo, mi ricorda che di notte è un mio diritto girare tranquilla. Identità, radici e soprattutto sicurezza. 
Quello lì, quello sulla destra, quello che vedo sotto il gazebo elettorale sempre a destra, sì, lui, temo mi voglia proteggere.

Noi vorremmo farci solo un bell'aperitivo primaverile, per questo siamo usciti. Due passi e magari una birretta, l'aria è fina, poi c'è il Tevere liscio liscio con sopra le anatre e a quest'ora è sempre tutto così dolce, così possibile. Ma quell'altoparlante, quei rayban neri nonostante il tramonto, quei bicipitoni istoriati ci avvisano che è meglio rimandare a un altro giorno.
Ok, ok.Torniamo a casa, va. Mi è un po' passata la voglia, anche a te? 

Vediamo un ragazzo africano, la sua mercanzia low cost che dondola sul piccolo espositore sotto il braccio (appiccichini volanti, accendini che si scaricano subito, braccialetti), procedere esattamente nella direzione di quel gazebo e dei suoi affabili locatari assai impegnati politicamente. 
Amico, lo sai dove stai andando? L'hai capito, amico?
Si aggiusta il borsone sulle spalle, è alto e magro, i pantaloni larghi sul corpo scattante, e avanza sicuro verso quei coetanei lì, verso quel gazebo. 
Li attraversa. Letteralmente, li attraversa. Leggero, felpato, silenzioso. 
Vincerai tu, amico. Ci vuole tempo, ma sei il più forte di tutti. Sei potente.

(the end)

venerdì 13 febbraio 2015

Amore zen

Senza cipria
che candore ha il tuo viso
giovane sposa
(Ryōkan 1758-1831)



Si sta chiudendo la settimana più stucchevole dell'anno quella che a ranghi serrati va da Sanremo a San Valentino. Cuore e amore non sono proprio parole tipiche degli haiku ma... anche Ryōkan sa cantare l'amore. E nel modo più zen che esista!

Ryōkan nasce ricco e in una famiglia colta. Primo di sette fratelli, lascia la sua bella famiglia - suo padre era un poeta che preferì le lettere alla vita del feudatario - per iniziare un cammino errabondo al seguito di un monaco zen con il quale perfezionerà il cinese, la calligrafia e la poesia.
Dopo la morte del suo maestro è assalito da una crisi profonda e vive per qualche anno come unsui, nuvola e acqua - mica male potere essere per qualche tempo nuvola e acqua! - ovvero come un sacerdote errante. 
Decide di tornare sui suoi passi dopo un'ulteriore luttuosa notizia. Il suicidio del padre lo vedrà sistemarsi in un eremo nei paraggi del villaggio natale, un posto minuscolo ma isolato quanto basta per poter scendere ogni tanto tra gli altri. Solo ma con gli altri. Al villaggio, i contadini si vedevano comparire Ryokan, il monaco che amava danzare e giocare a palla con i bambini. E che beveva e mangiava qualcosa di caldo nella taverna.

Ryōkan non distingue tra uomini e cose. Conosce satori e meditazione. Una pulce, un albero, un bambino provocano in lui stupore e ispirazione. Maestro delle cose semplici, abitante del mondo. Questi due haiku non possono anche ricordarci l'atmosfera di luminosa povertà che fu di Charlot in "Tempi moderni"?

Lavo il paiolo
e il rumore si unisce
a quello delle ranocchie verdi
...

Ah! Se tutti i giorni
mi sentissi così bene
come dopo il bagno!
  
E Ryōkan si innamorerà! Di una ragazza bellissima, la sua discepola prediletta di ventinove anni di nome Teishin. Amante, allieva, segretaria adorata e devota, colei che gli rimarrà accanto fino all'ultimo giorno di vita, che contribuì a sollecitarlo nella scrittura e a cui dobbiamo la raccolta e pubblicazione dei suoi scritti. 

Ma soprattutto ispiratrice di una serie haiku "innamorati" e così profondamente zen. Come lo fu la vita di quest'uomo coltissimo, ridente e ispirato, mite e semplice. 
Forse il monaco zen più monaco zen che io abbia mai...conosciuto.  


(Amore di un'estate)




lunedì 19 febbraio 2018

Danza del lunedì


Danza

a) Appenditi al corpo lattine e bottiglie vuote
Danza senza far rumore

b) Porta sulla schiena un oggetto pesante
Danza il più velocemente possibile 
(da "Acorn" Yoko Ono)


Una poesia di Yoko Ono tratta dal suo "Acorn - Ghianda" dove sono raccolti pensierini lievi, colorati, pieni di gioia di vivere e ferrea autodisciplina, il tutto per una filosofia pret a porter tra sopravvivenza e disincanto, tra Osho e Candy Candy. Lo ammetto, mi aggancia ogni volta. Yoko fa allegria. L'immagine delle lattine e della danza silenziosa sembra una delle sue performance, l'artista in cima alla scala, i video con il cielo dentro, l'albero dei desideri. Al pubblico si consegna un pensiero, lieve come un pezzetto di carta velina. La leggerezza di una fatina spietata o quella di una bambina rock?
     
Sui social tendo a dare un'immagine da diva. Da snob, o così penso di essere vista dagli altri. I miei pochi like mi emarginano dalla risonanza algoritmica, poche le persone che seguo e chi segue me, a sua volta, deve come passare un esame. E poi sono pigra e nella piazza di FB non mi ci metto proprio, dire la mia o sentire la sua mi annoia e considero gli hashtag etichette sempre troppo piccole per racchiudere il cosmo. 
Stamattina, stavo facendo colazione, il momento più godurioso della giornata, vedo che la mia amica Yoko Ono ha appena annunciato il suo compleanno su istagram.
"Sono 85, mai avrei pensato sarebbe potuto accadere", scrive sotto la sua foto in tenuta da mago, cilindro e occhiali scuri. "Ma le cose impossibili, come piccole magie, accadono."
Le ho messo un emoji a forma di torta e candeline, tra gli auguri cuorati di Paris Hilton e un messaggino di Cindy Sherman.
E ho iniziato così la mia settimana da diva.



  

lunedì 25 aprile 2022

25 aprile

Spuntano i germogli
al tronco d'un grande albero
poggio l'orecchio
(Hosai 1885-1927)


Quando ascolto le testimonianze dei partigiani quei vecchi corpi diventano legno vigoroso, si coprono di foglie verdi, le braccia rami fronzuti sotto cui ripararmi.

                                                                           (Partigiano)



venerdì 17 novembre 2017

Cielo


Preghiamo - il Cielo -
Chiacchieriamo - del Cielo -
Ci chiediamo - quando muoiono i Vicini -
A che ora in Cielo - fuggirono -
Chi li vide - Perché volano via?
È il Cielo un Luogo - una Volta Stellata - un Albero?
Lo sterile esercizio di ubicarlo è per Noi soli -
Per i Morti
Non c'è Geografia -
Ma Rango - Investitura - Epicentro -
Dove - l'Onnipresenza - si libra?
("Tutte le poesie" di Emily Dickinson)



Una poesia in memoria delle vittime della mafia. Oggi.
A che ora in Cielo - fuggirono -
Chi li vide - 

(Luogo-Volta-Alberi)







lunedì 6 febbraio 2017

Concerti rock


Se la voce dei profeti
soffiasse
nei flauti-ossa dei bambini uccisi,
espirasse
l'aria bruciata da grida di martirio -
se costruisse un ponte
con gli spenti sospiri dei vecchi -

Orecchio degli uomini,
attento alle piccolezze,
sapresti ascoltare?
(Nelly Sachs da "Le stelle si oscurano")


Un concerto. Flauti-ossa che suonano e suonano e suonano. E come nel più nero degli incubi la sordità di un mondo che pensa solo a impedire l'ingresso a qualcuno. L'Europa azzoppata e l'America cotonata. La Brexit. Siamo dentro un grande stadio, si capisce dal clangore delle prove audio.
Ma le voci di coloro che dalla Libia vedono la costa come unico approdo per scampare a povertà, a dittature, sapresti ascoltare?

Torno ieri sera a casa dopo un paio di giorni fuori. È tardi, pesco qualcosa dal frigo e accendo la tv. In Francia, migliaia di uomini e donne esultanti affollano uno stadio fluorescente per gli effetti speciali delle luci. Lontani, guardano in alto, verso Marie Le Pen, la loro stella polare. I politici di destra come le rockstar che non ci sono più, penso, gli altoparlanti che sfondano al ritmo delle stroboscopiche, gli sguardi ipnotizzati del pubblico, tutte le teste che vanno a tempo con gli slogan, le magliette con la scritta...
Giro canale. Alcuni leghisti, grigi e più casarecci, sbraitano in coro.

Mi alzo dal divano, cerco un "fuori" qualsiasi, un po' di silenzio. 
È buio. Piove forte e l'albero che ho davanti è scrollato da raffiche di vento e i suoi rami neri emettono un fruscio sinistro. 
L'aria brucia di grida di martirio.


(Le nostre stelle)
  
   

mercoledì 12 agosto 2015

Viaggio con Bashō (1)

"Viaggiatore" voglio essere chiamato

ora che cade
 
il primo scroscio della stagione.

(Bashō 1644-1694)


Proprio in questo mezzo agosto, in piena zona vacanze, quando tutti chiacchierano di tramonti, mojito e sabbie rosate, voglio anche io parlarvi di viaggi. Ma lo faccio con Bashō quindi riponete parei e carte geografiche e mettetevi comodi.


Bashō fu colui che codificò la poesia breve, la ridusse a soli tre versi e la arricchì linguisticamente inserendo termini legati alla quotidianità ma che al contempo fossero in grado di comunicare con le sue emozioni. 
Bashō fondò una scuola di poesia che gli procurò fama e agio economico ma... cambiò repentinamente strada: scelse i sandali e il cappello di paglia tipici dei monaci zen, tabi e kasa, e incominciò a viaggiare per il Giappone. Uomo coltissimo, conosceva il cinese e le poesie Tang, scelse la povertà assoluta e raccolse le sue riflessioni in alcuni diari di viaggio giunti fino a noi. Il suo itinerario prediletto? La fioritura dei ciliegi. 
Matsuo Munefusa, questo il suo vero nome, era un samurai, e si tramanda che i suoi discepoli, colpiti dalla sua grande velocità e incredibile agilità fisica, lo immaginassero essere stato un ninja, la misteriosa spia che dal quel Giappone feudale è arrivata fino ai manga dei nostri giorni.
Eppure il nostro sorprendente monaco, così agile fisicamente e così rapido nel cambiare il corso della sua esistenza, si scelse, come nome zen che lo identificasse, quello della creatura più stabile e radicata al suolo che esiste. Bashō, albero di banano, questo il significato in italiano, viaggiò tanto e per lunghi mesi. Ed è la sua stessa biografia ad apparirci come sintesi tra tensione ed equilibrio, tra movimento e staticità. 
Tutta la sua vita di eremita la spese componendo haiku innovativi e innamorati della natura che osservava. Morì, circondato dall’affetto degli allievi, in seguito all’aggravarsi delle sue condizioni di salute che, alla fine dei suoi giorni, lo obbligarono alla sedentarietà.
In questo haiku, uno degli ultimi che compose, è lo stesso Bashō a indicarci ancora i suoi sogni, i suoi desideri. E i campi che ci mostra, un tempo attraversati con energia, sono un presagio di fine:

Mi sono ammalato in viaggio
I miei sogni vagano
per i campi spogli 


(Traversata)







Prima puntata di tre tappe dedicate a tre grandi viaggiatori zen e ai loro viaggi, esistenziali e reali, che potete leggere anche su questa rivista on line QUI che, nel numero di questo mese, è interamente dedicata al viaggio.
Appuntamento sul mio blog domani con il viaggio di Shiki.

lunedì 17 aprile 2017

Pasquetta


Sotto l'albero tutto si copre
di petali di ciliegio,
pure la zuppa e il pesce sottaceto
(Bashō 1644-1694)

Non so se Bashō amasse mangiare fuori porta uova sode e fave fresche, certo è che questo suo haiku sa tanto di pic nic e di una giornata di sole primaverile.
Buona Pasquetta!


(Avanzi pasquali)

lunedì 29 dicembre 2014

NOVEMBRE 2014

Sapendo che mangia la serpe
orrenda la voce
del fagiano verde
(Bashō 1644-1694)




A proposito dell'uso propagandistico dei fatti di Tor Sapienza.
Ma qualcuno di Roma o di Ostia, si ricorda gli appellativi all'indirizzo dei "romani" urlati prima da quei palchetti delle sagre padane e poi dagli scranni del Parlamento? Dove sono finiti orgoglio e memoria?

Negli ultimi giorni abbiamo assistito al tifo per la calata su Romaladrona di eleganti personaggi con cravatta verde.
Abbiamo ascoltato slogan da ultras che rivendicano la proprietà del territorio e poi, in tv e sui giornali, la raffica delle testimonianze dei cittadini della "porta accanto"  - ma non potrebbe rimanere chiusa a chiave quella "porta"? - seriamente allarmati perchè "cce stanno troppi negri che ce rubbeno il lavoro".

Un'ideale risposta a queste proteste arrivava sere fa da "8 e 1/2" dove il Ministro Alfano prometteva ai cittadini, accigliato e forbito, di rendere più sicure le periferie. 
"Ma il problema" - gli rispondevo dal divano - "è renderle più vivibili, non più sicure! Più vivibili, Alfano!  V I V I B I L I !".
Una periferia con dei bar più accoglienti (magari #noslot), un bel campo giochi funzionante con annesso asilo nido, una biblioteca fornita e allegra... Poi una scuola ripulita, nei cui paraggi anche qualche albero, panchine dove sbaciucchiarsi, servizi e mezzi pubblici adeguati... 

Con la vivibilità, si attenuerebbero visibilmente i conflitti e si potrebbero disinnescare le intolleranze. 

"Altro che sicurezza, ronde e manganelli!" strepitavo inascoltata, mangiandomi il cuscino dove ero seduta. "VIVIBILITA'!".

Solo con la vivibilità anche i "fagiani verdi", o neri, sarebbero afoni.


(Vivibilità)

sabato 5 aprile 2014

#sakurandom

L'usanza giapponese dell'ammirare i ciliegi in boccio chiamata Hanami è antica di mille anni e la sorpresa non è come abbia resistito nel tempo ma come sia potuta diventare anche  social.
Foto spettacolari dove il rosa esplode via pixel ritraggono fiori, pistilli e grappoli. Petali zoomati e archi di trionfo in boccio digitale. Ubertosi e fluorescenti, i sakura sono postati e condivisi in un istante. Probabilmente l'antico aspetto meditativo si è perso ma la globalizzazione, lo abbiamo capito, dove svuota, riempie con cose inaspettate.
Allora partecipo al #sakurandom postando la mia foto e raccontando, a chi avesse perso un post a lei dedicato (vedi anche tag  "sakura") la storia di Momoko Kuroda, haijin dei ciliegi.


(Vi ricordate quegli angoletti trasparenti che fissavano la foto al foglio di cartone dell'album?)


Momoko Kuroda nasce nel 1938 a Tokyo.
A trent'anni, pur perfettamente inserita nella società giapponese - lavorava come pubblicitaria e caporedattrice di una rivista-  decide di mettersi in viaggio lungo tutto il Giappone alla ricerca di ciliegi nel momento esatto della loro massima fioritura (Hanami).
Momoko nel fiore degli anni che si mette in viaggio in cerca dei ciliegi in fiore!



Torce e ciliegi
ho salito il pendio
dei quarant'anni.

In Giappone ci sono tante varietà di ciliegio ma quella veramente speciale che le interessa si chiama Yamazakura. Ogni pianta di questa specie puo' vivere centinaia d'anni e, caratteristica incredibile, invecchiando, mentre il tronco si svuota, i suoi rami continuano a fiorire stagione dopo stagione.
Un po' come la maturità che si acquisisce via via nel tempo o  come i ricordi che lascia una persona cara che non c'è più.

Nel 1970 Kuroda diventa allieva del maestro di haiku  Yamaguchi Seishi (1901-1994) e
a cinquantotto anni ricomincia le sue peregrinazioni, da nord a sud, sempre alla ricerca di alberi di ciliegio.
Ma in questa seconda fase le interesserà il momento in cui i fiori iniziano ad appassire e i petali a cadere e gli haiku che compone restituiscono magicamente questa malinconica atmosfera di distacco.


E nel tramonto
sembra il ciliegio pendulo
abbia più fiori
.........................

Ci separiamo
ciliegio di montagna
a rivederci
........................

Di quale valle
di quale albero
danzano i petali?
........................

Per tutti i ciliegi che ha visto e letteralmente "visitato" negli anni, per i pellegrinaggi sui passi dei monaci zen suoi maestri, Momoko è chiamata haijin dei ciliegi (haijin =compositore di haiku).

giovedì 2 novembre 2017

Feste e saké


Essendo ancora vivo,
vengo rimproverato
dai creditori!
(Shiki 1867-1902)


Ma povero Shiki, che mette il suo pezzetto di misera quotidianità dentro tre righe! 
Passare dal cosmo al dettaglio in un colpo è tipico dell'haiku e così, approfittando della suggestione della festa dedicata ai santi appena trascorsa, desidero festeggiare i miei poeti giapponesi individuando per ognuno di loro quello che nell'iconografia dei santi viene definito "attributo". Come per il giglio di s.Antonio, lo strumento musicale di s.Cecilia, come per gli occhi sul piatto di Lucia, ecco un elenchetto di oggetti che identificherebbero immediatamente in un dipinto, un elemento biografico caratteristico dei miei "non santi".
Qui non ci sono miracoli, né messe. E' il loro cammino esistenziale, poetico e soprattutto spirituale, nelle cose di tutti i giorni, il rito che tocca anche me, quaggiù.
Per Shiki scelgo i caki più maturi e dorati, frutto di cui era ghiotto e a cui dedicò l'ultimo haiku prima di morire e per Issa una tazza di tè, questo il significato del suo nome, simbolo di armonia con la natura. 
I fiori di ciliegio, i più rosa, per Momoko Kuroda, poetessa a noi contemporanea che un giorno mollò il suo lavoro di pubblicitaria per mettersi sulle tracce delle fioriture stagionali seguendo l'esempio di Bashō. 
Per il maestro dei maestri, vissuto a metà del diciassettesimo secolo e viaggiatore instancabile, uomo dallo scatto fulmineo che pare fosse stato un ninja, proprio un bashō (banano), ovvero l'albero che scelse per rappresentarsi nella sua vita di monaco zen. Una creatura stabile e che di certo non se ne va in giro di qua di là come al contrario Matsuo Bashō adorava fare.
Per il dolce Yosa Buson una tavolozza, per l'acido Akutagawa un fazzoletto per il naso, per Kaneko Tōta una bomba atomica, per Ryōkan un cuore da innamorato di quelli con la freccia che lo trafigge. 
Per Santōka, inutile dirlo, una bottiglia di sakè. E dei migliori.

(calendario)



giovedì 28 febbraio 2019

Bei pensieri


Nascono i bei pensieri sopra i ponti
e sempre ci si ferma sopra i ponti
per contenere quell’atomo di grazia
sospeso in equilibrio
tra gravità di sponde e cieca corsa d’acqua.
Ti darò appuntamento sopra un ponte,
in questa mezza terra di nessuno.
 ("Ponti" di Patrizia Cavalli)


La Roma dell'architettura fascista, quella che attraverso ogni giorno. Quei grugni, identici l'uno all'altro sotto l'elmo, e sbalzati nei rilievi di marmo che ornano l’entrata al ponte. Davanti a me l'obelisco con la scritta DVX dove qualcuno si fa la foto ricordo: da star male ogni volta. 
Dopo la doppietta di colazione e GR, come ogni mattina attraverso il ponte per raggiungere la redazione.  "Crescita zero e stop alle riforme, la Commissione UE richiama l'Italia", diceva la radio.
Vedo il fiume sotto di me scorrere lento, in questa mezza terra di nessuno. Un gabbiano ha puntato il solito cassonetto ancora da svuotare, un albero caduto ancora in mezzo alla strada, un autobus cigola dietro di me come il vecchio carrozzone che siamo diventati.


(manovra economica)






mercoledì 3 aprile 2019

Clima


Nei luoghi chiusi dei monti
mi hanno raggiunto
mi hanno chiamato
toccandomi ai piedi.

Sulle orme incerte delle fontane
ho seguito da vicino
e senza distrarmi
le tenebre tenere del polo
ho veduto da vicino
le spoglie luminose
gli ornamenti perfettissimi
dei paesi dell'Austria.

Hanno fatto l'aria tutta fresca
di ciliegi e di meli nudi
hanno lasciato soltanto
che un piccolo albero crescesse
sua soglia della sua tristezza
hanno lasciato fuggire in un riverbero
un tiepido coniglio di pelo.

Per le estreme vie della terra caduta
assistito da giorni tardi e scarsi
discendo nel sole di brividi
che spira da tramontana.
("Dietro il paesaggio" di Andrea Zanzotto)


Presentandosi davanti ai principali consessi internazionali, Greta Thunberg ha fatto del suo sdegno un gesto poetico. Indicandoci con la sua grazia caparbia il nostro pianeta malato di riscaldamento, è riuscita a trasportarci in quei luoghi che riescono a vedere solo i grandi poeti, in un paesaggio di ombre incerte delle fontane, di tenebre tenere del polo e tra le spoglie luminose.

(Nello stesso viaggio)