venerdì 19 luglio 2019

Luciano De Crescenzo



il topo poi rosicchiò
l’anima bianca del foglio
(“…per cosa… per cosa
continueremo a parlare?”)
la candida luna svelò
di essere un cieco budello
la luna immensa brillò
sulla tabe della siepe
(“…che dice… perché
la luna non tace?”)
altissima la goccia arrivò
e la mia lingua
ogni lingua scavò…
(La luna in "Cumae" di Michele Sovente

Andarsene in sordina, senza clamore, aiutato dal calendario e dal fato, ieri c'è stato Camilleri, domani ci sarà la luna. Non gli dispiacerà, Luciano De Crescenzo l'avrebbe presa con filosofia. 

Il mio omaggio attraverso la copertina di un suo vecchio libro - la dedica ancora recita da zio Pasquale, Capodanno 1980 - ricevuto da un vecchio, per la me d'allora, zio napoletano, simpatico e di poche parole. Fu un libro a suo modo importante, prima di tutto la dedica tutta per me, e forse mi iniziò a uno sguardo sulle cose più ironico, come fu quello del suo autore e di quel mio zio.
Fotografare con micro didascalie mi aiuta a misurare il mondo, a metterlo a posto, a cercare di capire dove sono precipitata. Forse lo devo a quel regalo laggiù.






Luna tu


O luna alta nel cielo,
sott'acqua e sotto terra
mostra la terra in cielo
e mostra il cielo in terra!
(da "Belluno" di Patrizia Valduga) 


Nelle religioni dell'antica Grecia, Selene è la dea della Luna, figlia di Iperione e di Teia, sorella del Sole (Helios) e di Eos (l'Aurora).
Mi piace l'aggettivo che ne deriva, selenico, così argenteo e malinconico, con la suggestione chimica della dose di selenio che contiene, e anche un po' acquatica, di marea. Mi piace quando qualcuno usa la parola lunare, che solo ascoltandola fa fare quei salti rallentati alla mente, senza gravità, e anche lunatico, che ha una sua luce tutta sua, felliniana, come quella di un riflettore di Cinecittà puntato su un personaggio strambo. 
E amo il lunapark, il silenzio delle giostre ferme, le luci spente all'alba di un nuovo giorno e il sole che illumina poco a poco il piccolo sogno che è stato e lo fa svanire.      

(a sorpresa)




giovedì 18 luglio 2019

Su Camilleri


l'assenza svapora
e poi che non può avvelenare i serpenti
li gonfia di cose dolci
perché nascano nuovi fermenti
a lenire slabbrature e ferimenti
(Da "La tagliola del disamore" di Jolanda Insana)

Premetto, per chiarezza e correttezza con chi mi segue da tanto e con affetto, che non sono una camilleriana e che non scriverò di Camilleri scrittore. Ma non è questo il punto.
Camilleri parlava, soprattutto attraverso il Montalbano di una Sicilia immaginata e ricostruita nella lingua nel suo laboratorio di via Asiago, ai sognatori. E con la forza dei toni cupi del tabagista e le arrotazioni del vecchio parente meridionale - non lo abbiamo forse tutti un parente così, che un po' gli assomigliava - riusciva a farsi ascoltare da chi non sarebbe stato mai raggiunto da altri. Questo tipo di capacità non so se sia un merito o un dono, non so se si acquisisca con un corso, non credo. Il carisma è fatto di tante cose, evidenti e microscopiche, anche invisibili, che arrivano dentro e sembrano parlarti direttamente. Con Camilleri abbiamo avuto fortuna, il carisma spesso fa brutti scherzi.

(In ascolto)

mercoledì 17 luglio 2019

Guarda che luna


Radioso splendore
del sole sulle pietre
che landa desolata
(Yosa Buson 1715-1783)

Una claustrofobica navicella, omini col casco tipo boccia dei pesci rossi messa al rovescio, i movimenti rallentati. Per pranzo, barrette al sapore di pasta al sugo o di bistecca e le posate da acchiappare al volo, tutto levita in assenza di gravità. Fuori l'oblò, un fondale buio non molto rassicurante, scie luminose, pianeti lattiginosi, la "landa desolata" della luna con i suoi crateri, la terra azzurrina e la palla infuocata del sole. Sparso ovunque, e infinito, un luccichìo tipo quello della porporina. Da lassù il triangolone dell'Africa, le costellazioni in presa diretta, comete fluttuanti e caudate che non hanno mai tradito l'aspettativa bambina di ognuno, frutto di cartoni animati e di presepi.
E silenzio che si "sente".
Quella precisa sonorità di silenzio spaziale che ci è incomprensibile, inimmaginabile. 
Il padre di tutti i silenzi. 


(Cielo stellato)

sabato 13 luglio 2019

È solo un giorno che non va



E' solo un giorno che non va
nun te preoccupà
e poi t'accorgi che anche tu
tu nun ce pienze cchiù
("Un giorno che non va" di Pino Daniele)


Una volta, anni fa, quando ancora era vivo e riempiva gli stadi, andando verso il caffé vicino a dove tuttora lavoro, incontrai Pino Daniele. Nel mio ricordo cammina lento, tipo ralenty, i capelli lunghi, il riverbero di una giornata di sole sulla vetrina con le pastarelle, il vestito chiaro che vi si riflette. Un'apparizione, direte, classica apparizione del cantante alla groupie di turno. Sì, lo era, al suo passaggio, il cuore mi fece tonf come quando si incontra un vecchio amore, uno di quelli persi di vista da anni... Tonf, fece così. Ovviamente non lo avvicinai, mi tenni il tonf e mi diressi verso la mia redazione, solo alcuni uccellini cinguettanti che volavano intorno al mio casco, solo questo.
Pino Daniele torna nella mia vita in modo carsico, come stesse lì, sotteso alle mie vicende con quella voce da muezzin, in sordina o in primo piano a seconda dei momenti. Spesso accade d'estate, dentro una giornata di sole che si collega con chissà quale del mio passato o del mio passato solo immaginato, quello più denso di malinconia. In mezzo, tra me e quello che mi aspetta, ci sono le sue canzoni. 


(Nero a metà)

venerdì 12 luglio 2019

Sul rispondere ai messaggi


E se mi guardi davvero e poi mi vedi?
Io voglio che stravedi non che vedi!
(Patrizia Cavalli in "Datura")

No. Non voglio che stravedi per me ma almeno, autore affermato dall'aria scarmigliata attento a tutti, al migrante e al passante, e a tutto, capace di spenderti in editoriali lunghi e meditati, di mettere su parole su altre parole, almeno un "grazie" o un emotycon dopo un mio sms di cordiale vicinanza per l'uscita del tuo libro - maledetto uozzapp con il piccolo flag di avvenuta lettura - potevi digitarmelo.


(scrivania)



    

giovedì 11 luglio 2019

La scoperta di Mauro Zambuto


Volevo sognare il postino
con una lettera in mano
invece ho sognato il postino
senza una mano
(Vivian Lamarque)


Una poesia come uno slapstick, quel genere cinematografico comico dei primi del Novecento, geniale e immediata come una torta in faccia. Uno che vuole sognare per forza qualcuno, la mano che non c'è, il postino, uno scherzo poetico di poche righe che genera un sorriso e uno sbigottimento leggero. 
Che fosse stato Alberto Sordi a prestare la voce a Ollio, lo sappiamo. Ma che Stanlio fosse doppiato da un grande scienziato, il professor Mauro Zambuto, un fisico trasferitosi in America per la sua attività di ricerca, chi mai lo sapeva?
Vi offro questa intervista a questo misconosciuto geniale signore, un incontro prezioso che solo la rete, esplorata e non subíta, può regalare.  


sabato 29 giugno 2019

Spifferi e poesia


Lunedì 24 aprile
Se si dovessero rispettare le prescrizioni dei fondamentalisti dell'igiene orale, che impongono di lavarsi i denti ogniqualvolta si è masticato qualcosa, si finirebbe per dedicare più tempo alla pulizia dei denti che a mangiare.
(da Diario2000 di Valentino Zeichen)


Vitalismo e paradosso, malinconia e pessimismo abitavano quel bozzolo sulla via Flaminia.
"Lì abita Zeichen." L'ho sempre pensato quando passavo nei pressi della sua baracca. E lo penso ancora quando ci cápito, scesa dal tram, prima di immettermi nel flusso comprarolo dello struscio di via del Corso. Una cosa bella di ieri, giornata faticosa e afosa, dentro e fuori di me, è stato il refolo del secondo volume dei diari di Valentino Zeichen. Un anno di pensieri, di appuntamenti con amici e nemici nei ristoranti e nelle case precedono l'ultima sezione, dove viene ripubblicata l'illuminante raccolta su Roma "Ogni cosa a ogni cosa ha detto addio". In mezzo a pacchi e cartacce che imballavano nuove uscite, lo spiffero di Zeichen sulla mia scrivania.

(Ponentino Zeichen)









venerdì 28 giugno 2019

A Castelporziano


Come la spia rossa che
si accende sul cruscotto
e segnala al conducente,
che la benzina è alla fine,
così, anche il sentimento
che nutrivo per te
è ormai in riserva.
(Valentino Zeichen da Metafisica tascabile )



il 28, 29 e 30 giugno di quaranta anni fa si svolse il festival di Castelporziano, la Woodstock della poesia. 
Erano tutti andati sulla spiaggia di Ostia, il mare vicino Roma, non so se capivano bene a fare cosa, ma erano tutti lì: i poeti e un sacco di gente intorno, e il sole che tramontava. Castelporziano mi è rimasto qua, come si dice a Roma, quel mischione letterario e anarchico, quelle tre sere a cui non ho mai partecipato e che ho recuperato come ho potuto: immaginandolo. Alla mia soggettiva, quindi errata, ma bellissima proiezione mentale di quelle tre notti di poesia e bellicosità, di parole e pernacchie, di versi e parolacce, ho via via aggiunto dettagli reali pescandoli dalle teche rai, libri o vecchie testimoninze (il bellissimo film di Garrone, il video del 1994 caricato su You Tube da Simone Carella nel 1994 (clicca QUI) e anche questo spezzone trasmesso in FUORI ORARIO in una di quelle sue notti insonni e dolenti). E leggendone i resoconti, scoprendo spesso tardivamente quei poeti, avvicinando a me quelli che sento vicini e allontanando, per ora, gli altri (Per ora, lo ripeto. La letteratura è bella perché si può cambiare idea, avvicinarsi e allontanarsi. Ed è sempre meglio.) cerco soprattutto quella Roma lì che mi riappare, sempre più rarefatta, negli scampoli di questa dove sto. Sarà l'estate, l'afa e la malinconia di pomeriggi senza un refolo d'aria, ma mi capita spesso di tornare laggiù. La spiaggia affollata piena di persone incazzate perché arrivate con l'idea di un concerto gratis di Patty Smith che si sono ritrovate Zeichen e la Rosselli e molti altri che declamavano versi, i pantaloni rossi di Victor Cavallo, la blusa cinese della Maraini. E il coro di "ah stroooonzi" che invadeva la pedana di legno e l'aria salmastra di tutta quella gente che aspettava il concerto o almeno un mestolo di quel minestrone, pasto che sarebbe, forse, servito per placarla un po'.

(Gli "irati flutti")

giovedì 27 giugno 2019

Carola Rakete



Come se il mare separandosi
svelasse un altro mare,
questo un altro, ed i tre
solo il presagio fossero

d’un infinito di mari
non visitati da rive –
il mare stesso al mare fosse riva-
questo è l’eternità.
(Emily Dickinson)




Carola Rakete è con la sua nave nelle acque territoriali italiane e si dirige verso Lampedusa. 
La Capitana entra così nel libro della storia che stiamo scrivendo, solca l'altro mare con aria fiera, il vento nei bei capelli lunghi. Come un poeta lei vede dove nessuno guarda, come un poeta leva la sua voce forte rivolgendosi a ognuno di noi che siamo qui, sulla riva.

(una famiglia)



  

mercoledì 26 giugno 2019

Sulla libellula e sulla delicatezza


Una libellula 
sul cappello.
Cammino
(Santōka 1882 -1940)


Gli incontri, le opportunità, sono come le libellule che ogni tanto si poggiano sul cappello, non si dice forse "cogliere al volo" un'occasione? Succede tra umani, con l'innamoramento e l'amicizia, succede anche con gli incontri letterari e i libri. Santōka è stato la mia libellula sul cappello. Notarlo, approfondire la sua poetica e raccontare in "Haiku e Saké" una biografia così complicata e semplice insieme, mischiarla alla mia, proteggere la delicatezza dei suoi haiku traducendoli (dall'inglese!), ha significato per me, autrice disarmata ed entusiasta, provare a ricalcare quella levità. Gli haiku, in questi due anni dall'uscita del mio libro, e dai cinque del blog, mi hanno portato altre libellule sul cappello. Una fra queste è sicuramente l'incontro con Paolo Lagazzi, autore nascosto e prolifico, sua l'antologia di haiku classici giapponesi tradotti con padre Mario Riccò e pubblicata nel 1996 per la BUR. Fu il mio punto di partenza. In questo "Come libellule tra il vento e la quiete" appena uscito per edizioni La vita felice, racconta di Giappone attraverso un'inclinazione personale, originalissima e sorridente. Con i voli improvvisi di Lagazzi si arriva altrove, si parte e si ritorna anche alla nostra cultura, con nuove divagazioni su personaggi amati (da D'Annunzio a Bertolucci, dalla mamma che amava l'opera al maestro zen) fondamentali per la sua formazione umana e intellettuale. 
Lagazzi è un essere magico, francamente non so bene se esista o meno. Ha levità nella scrittura e nei modi, una capacità unica di sparire tra le righe che scrive, stemperando la sua conoscenza dentro un aneddoto o uno scherzetto. Divaga, danza, fa giochi di prestigio. E possiede il volo verticale delle libellule, quel movimento di sincronia assoluta che gli esperti definiscono il volo perfetto. Come loro è capace di volare all'indietro, con ali indipendenti che gli permettono giravolte e capriole anche in atmosfere rarefatte.
Leggiadro, vola quando parla dei suoi maestri, scompare e riappare dietro le loro spalle.
Quando mi sento pesante, ancorata a terra con le mie scarpe di piombo e la testa incassata, cerco di imparare dagli haijin a scuotermi, a cercare leggerezza. 
E aspetto che uno di loro mi si posi di nuovo sul cappello per continuare il viaggio.      




martedì 25 giugno 2019

Dai navigator agli sciator


Notte di neve
c'è della gente
che passa in silenzio
(Issa 1763-1827)

A Milano una notte di neve e festa, il pacco regalo delle Olimpiadi Invernali del 2026 è arrivato tra la soddisfazione generale e il suono di tappi che saltano dalle bottiglie di Lombardia, Veneto e Trentino Alto Adige. Brindo anch'io: che sia un futuro splendente di lavoro e indotto! E poi, nel silenzio bigio che avvolge il resto della penisola, nel caldo torrido di questo finale di giugno, mi chiedo se non sia meglio, in genere, puntare più sugli sciator che sui navigator.


(notte di neve romana)

















lunedì 24 giugno 2019

Gay Pride


Radici e foglie appena sono queste,
profumi recati a uomini e donne dai boschi selvaggi,
dal margine degli stagni,
acetosella del cuore e garofani d’amore, dita che avvincono
più strettamente che rampicanti,
gorgheggi da gole d’uccelli nascosti tra gli alberi, quando
il sole ascende,
soffi di terra e d’amore trasmessi da rive di vita su mari di
vita, sino a voi, marinai!
Bacche addolcite dal gelo, virgulti di marzo offerti freschi
a giovani che per i campi vagano, quando l’inverno
si scioglie,
germogli d’amore messivi innanzi, immessi in voi, ovunque
voi siate,
germogli che si schiuderanno secondo i modi d’un tempo,
se a loro recate il calore del sole si schiuderanno offrendovi
forma, colore, profumo,
se voi divenite alimento e umore, essi saranno fiori, frutti,
alti rami e alberi.
(da "Foglie d'erba" di Walt Whitman)


La sezione Calamus della raccolta di Walt Whitman "Foglie d'erba" prende il nome da Càlamo, una divinità fluviale delle mitologia greca. E' il gruppo di poesie che celebrano “l’amore dell’uomo per l’uomo”, per la critica l’espressione più evidente delle idee di Whitman sull’amore omosessuale.
Calamo era un bellissimo giovane innamorato di un suo coetaneo, Carpo. I due amanti vivevano felici e contenti ma durante una gara di nuoto nel fiume, Carpo affoga. Disperato, Calamo si lascerà annegare. Zeus colpito da tanto dolore, trasformerà Calamo in una pianta palustre, una canna resistente a cui potersi aggrappare e Carpo in un frutto  terrestre.
Da Càlamo deriverà calamaio, il piccolo recipiente-supporto dello stilo con cui scrivere. 
Speriamo di scrivere tutti insieme una storia migliore.  


(germogli vicino al fiume)

Per ascoltare la vita - raccontata da me - di Walt Whitman, clicca QUI.