In profondità io vado
Montagne verdi
(Santōka 1882-1940)
La circolarità di un cammino che non ha meta se non il cammino stesso, le montagne eternamente uguali nei secoli, il peso di un senso di colpa che diventa universale.
Domani parto. Vado a Bergamo, non ci sono mai stata!, per presentare il mio libro su Santōka.
Sono ospite di un festival di viaggi nel cui programma spiccano esploratori, esperti camminatori, persone che hanno girato il mondo. Ma lo sanno che non ho slides da mostrare con il K2 o esperienze estreme a cui fare riferimento? Porto poche cose, viaggio leggera come Santōka. Non so se sono proprio una viaggiatrice, di foto ne ho fatte tante e a alcune sono anche nel libro, ma tendo a viaggiare da ferma. Spero che valga.
Intanto, sul suo diario, Santōka scrive:
28 febbraio 1932
Tutti i giorni brutto tempo; oggi di nuovo a chiedere l'elemosina nella neve.
Forse è troppo dire che qui le strade sono le peggiori di tutto il Giappone, ma sono di sicuro straordinariamente fangose.
Le porte dei negozi infangate, i passanti infangati.
Le suole di gomma dei miei tabi da lavoro affondano e procedere è veramente molto dura.
Però la zona è piena di rivendite di sakè e quindi il suo prezzo è molto basso.
Esattamente il posto per uno come me!
Santōka è il più diseredato dei poeti zen, il più solo e povero, colui che aveva sbagliato tante volte e che ha perso molti treni in vita sua. E colui a cui penso quando vedo un uomo disperato, senza lavoro, senza casa o qualcuno biascicare qualcosa che nessuno capisce e poi si butta in un angolo.
Santōka ci ricorda che la pratica ascetica e, infine, anche la letteratura, non sono patinati. Non "vendono" molto. Che il buddismo non si pratica dalle 18 alle 20 in una palestra esclusiva, non veste alla moda. È per pochi, spesso mette a disagio e puzza di umanità.
Senza quiete, camminava per chilometri e chilometri su e giù per il Giappone consumando i suoi tabi, i leggeri sandali in paglia dei monaci. Viveva di elemosine e dormiva dove capitava. San-to-ka che significa "alta cima fiammeggiante", a dispetto dl suo nome altisonante dormiva spesso per terra, sotto le stelle e con i grilli. Si ubriacava di sakè per riprendersi dalla fatica esistenziale, dai fallimenti professionali, dalla stanchezza fisica, dalla solitudine. Osservatore delle piccole cose quotidiane come foglie, lucciole, un pugno di riso, una mosca, una pozzanghera, le annotava in forma di haiku sul suo diario.
Nel suo cammino Santōka ci ha lasciato versi trasparenti e universali.
Personalità caratterizzata da una tensione psicologica strettamente novecentesca, di colpevolizzazione e fallimento, Santōka scrive nel suo diario che "la fede è l'origine, lo haiku la sua espressione. Per questo devo camminare, camminare, camminare fino a che non arrivo".
Forse questo mio libretto, la traduzione del diario e dei suoi haiku, il dialogo che ho immaginato tra noi due, averlo come calato tra le mie cose, nella mia quotidianità, dentro l'esperienza di Radio3, ha prolungato di un po' il suo viaggio. Mi piace pensarlo.
E anche il mio, di viaggio, è sicuramente diventato più bello.
(Unpof) |