mercoledì 24 maggio 2017

Poesia nelle cose


Corro da voi, con le tasche piene di poesie.
Seleziono: questa poesia vi aiuterà a superare l'esame. 
Eccone una che non è di alcun aiuto,
ma è bella; prendetela.
(...)
E possa la poesia essere per voi
proprio quel numero telefonico nell'universo 
che stavate cercando, e possa essere
per voi la chiave smarrita
del vostro più grande bisogno.
("Trovando poesie per i miei studenti" di Mohja Kahf)


Questa poesia è come se mi fosse arrivata da sola. Come fosse una dedica per il mio compleanno, un messaggio nella bottiglia, come un ciao ciao da lontano.
Nella redazione torinese, ricavata nel retro palco e incasinata di libri e persone, sulla piccola cassettiera in fondo, sotto i resti di una merenda smangiucchiata e mezzo nascosta da fogli e la giacca di qualcuno, una raccolta di poesie dalla copertina azzurra.
"È di qualcuno questo libro? Chi lo ha dimenticato?"
"E-mail da Shahrazad" di Mohja Kahaf, edizione Aguaplano, leggo. Poi lo apro, sfogliandolo un po' a caso, nel trambusto.
È quel numero telefonico nell'universo che continuo a cercare.


(indicazione poetica)


       

martedì 23 maggio 2017

Manchester


La raganella rifugiata
sotto il banano
tremava
(Takarai Kikaku 1661-1707)


Tra le macerie di una serata che doveva essere solo divertente trovo questa foto (clicca QUI) Due orecchie di peluche attaccate a un cerchietto incorniciano occhi sgomenti, lo sbrilluccichio delle strobo finito dentro l'oro delle coperte termiche.  

(in memoriam)




venerdì 19 maggio 2017

Ai miei libri


Ai miei Libri - così bello rivolgermi -
Ultimo lembo di stanche Giornate -
Che fa quasi amare l'Astinenza -
E la Pena - trascurare - nel Plauso -
Come le Fragranze - allietano gli Ospiti in Ritardo
Con promesse di Banchetti -
Così gli Aromi - stimolano il tempo
Fino alla mia piccola Biblioteca -
Può esserci il Deserto - là fuori -
Lontani passi di Uomini imperfetti -
Ma la Festa - esclude la notte -
Ed è Scampanio - dentro -
Ringrazio questi Parenti dello Scaffale -
Le loro Fisionomie di Pelle
Innamorano - nell'Attesa -
E appagano - ottenuti -
(Emily Dickinson)


Esiste un inno ai libri più bello di questo? Sono così fortunata a fare quello che faccio, a lavorare con i libri e per i libri. Per questi parenti dello scaffale.
Può esserci il Deserto, là fuori ma oggi è bello, qui a Torino, cara Emily, perché in questa immensa libreria che è il Salone del Libro, esiste una mensola anche per Santōka.


(Parente stretto)







giovedì 18 maggio 2017

Pasticceria fa rima con...


Io sono innamorato di tutte le signore
che mangiano le paste nelle confetterie.

Signore e signorine -
le dita senza guanto -
scelgon la pasta. Quanto
ritornano bambine!

Perché nïun le veda,
volgon le spalle, in fretta,
sollevan la veletta,
divorano la preda.

C'è quella che s'informa
pensosa della scelta;
quella che toglie svelta,
né cura tinta e forma.

L'una, pur mentre inghiotte,
già pensa al dopo, al poi;
e domina i vassoi
con le pupille ghiotte.

un'altra - il dolce crebbe -
muove le disperate
bianchissime al giulebbe
dita confetturate!

Un'altra, con bell'arte,
sugge la punta estrema:
invano! ché la crema
esce dall'altra parte!

L'una, senz'abbadare
a giovine che adocchi,
divora in pace. Gli occhi
altra solleva, e pare

sugga, in supremo annunzio,
non crema e cioccolatte,
ma superliquefatte
parole del D'Annunzio.

Fra questi aromi acuti,
strani, commisti troppo
di cedro, di sciroppo,
di creme, di velluti,


di essenze parigine,
di mammole, di chiome:
oh! le signore come
ritornano bambine!

Perché non m'è concesso -
o legge inopportuna! -
il farmivi da presso,
baciarvi ad una ad una,

o belle bocche intatte
di giovani signore,
baciarvi nel sapore
di crema e cioccolatte?

Io sono innamorato di tutte le signore
che mangiano le paste nelle confetterie.
("Le golose" di Guido Gozzano



Va bene. Lo so. Torino vuol dire libro, salone e incontri letterari. Eppure, a me, sa di confetterie
Gianduiotti, bicerin, mousse vellutate che si sciolgono in bocca. 
Di vetrine tirate a lucido tra l'ottone che le incornicia, di stucchi neoclassici come riccioli di creme dai nomi francesi, di carta da parati color meringa lisa un pochino nell'angolo, come una sbriciolatura. Vecchie voliere e foto seppiate, specchi grigi con le macchie e sedioline imbottite. 
Torino mi sa di vaniglia. Di biscotti al burro nelle scatole di latta.
La cioccolata in tazza, i vassoi d'argento con le alzatine che traboccano piccole squisitezze in perfetto equilibrio, mi attendono.
Libreria fa rima con... pasticceria, ora che ci penso. 


(pagina d'autore)






mercoledì 17 maggio 2017

Io sono quello che leggo


Il tempo è un fiume che mi trascina,
ma sono io quel fiume;
è una tigre che mi divora,
ma sono io quella tigre;
è un fuoco che mi consuma,
ma sono io quel fuoco.
Il mondo, disgraziatamente, è reale;
io, disgraziatamente, sono Borges.
("Il tempo" di J.L. Borges)


Sono in partenza. Borsa con golf se poi ho freddo, scarpe comode per la mattina, più alte, almeno per la sera, appunti, telefonino, ipad. Biglietto, preso. Libri da leggere in treno? Pure. Un altro festival di parole e persone, un altro salone in cui aggirarsi e che si squadernerà ai miei occhi con tutti i suoi stand e i suoi scaffali come un gigantesco pop up. Infiniti corridoi di libri da percorrere con le scarpe di cui sopra. Sono in assetto giusto: vispa, carica e con sorriso a serramanico, quello pronto da sfoderare con chi non ricordo bene chi è. Ah, se esistesse un file nel cervello dove incasellare, come in un agenda, chi caspita sei, che lo so che ci conosciamo e che ci siamo visti recentemente... Uno scrittore, un ufficio stampa, un editore, un temibile addetto ai lavori che lo dovrei sapere il tuo nome e anche dove lavori, che fai, eppure... Dimmelo tu, fammi capire qualcosa, dammi un indizio mentre io vado di sorriso.
Libri. Scrittori. Lettori.
Torniamo a Borges. Un gioco di specchi che sembra rappresentare il lettore nell'atto della lettura che nel colpo di scena finale diventa l'autore. Anzi, è Borges nel momento preciso dell'immedesimazione con il Borges della poesia. 
Personaggio, autore e lettore.
Semplifichiamo ora a nostra misura: noi siamo quello che leggiamo. 
Siamo fatti di libri. Noi siamo quello che leggiamo.
Siamo lettura fatta di carne e sangue, siamo quel fuoco, quel tempo che scorre come un fiume, siamo noi a mettere, nelle parole di un altro, il nostro vissuto. 
E da algido o cerebrale che sembrava, il gioco, a sorpresa, diventa puro godimento, puro calore.
Sono io quel fuoco.

(Io)





  



martedì 16 maggio 2017

Blues italiano


Questa città avrà, mettiamo, dieci milioni di anime,
C’è chi vive in palazzi e chi in topaie,
Ma per noi non c’è posto, mia cara, no non c’è.

Avevamo una patria, e ci pareva bella,
Se guardi sull’atlante è sempre quella:
Adesso non ci andremo, cara, no, non andremo là.
("Blues del profugo" di Wystan Hugh Auden)


Un blues come musica di benvenuto.
Le prime pagine di oggi sono tutte sugli arresti in Calabria per la gestione di un centro di accoglienza. Coinvolta la mafia e don Edoardo Scordio, parroco dal cognome indicativo, se uno ci si mette un attimo, "Scordo Dio" o ancora "Senza cuore". Ad ogni modo, divagazioni onomastiche a parte, per la coppia della poesia di Auden, solo un'accoglienza da lager e, come cibo, il pastone dei maiali. Bene.
Meglio al Nord? Arresti in Lombardia per infiltrazioni mafiose negli ipermercati e - vuoi ridere, il colmo dei colmi - tra i vigilantes del tribunale.(notizia QUI)


(Da Nord a Sud)



lunedì 15 maggio 2017

A Giulia piasce Braian


Quando in un punto del suo giro
un tram che viaggia in senso orario
sfiora per un istante uno di quelli
che viaggia in senso antiorario
anche noi passeggeri
dalle opposte direzioni
capita qualche volta di sfiorarci
con brevi occhiate da cui sbucano
malinconia e stanchezza
e un'ombra, solo un'ombra di pietà
simili a quelle che si scambiano
chi entra al Pini o in Via Pace e chi ne esce
per pratiche attinenti
alla propria o all'altrui sopravvivenza
(Giovanni Raboni)



"A Giulia piasce Braian" sussurra la ragazzetta magra che ho davanti, capelli tirati in una coda storta in testa e zainetto tra le gambe che sembra ancorarla un po' meglio. Un altro scossone del tram e mi precipita per terra, penso.
Il ragazzo accanto a lei sghignazza, i suoi occhi si stringono ancora un poco di più, occhi che vengono da lontano, scommetto tra me e me, forse dalla Thailandia, chissà, e ancora tradiscono la dolcezza romantica di un eroe salgariano  ma con le All Stars bianche ai piedi.
"Je piasce Braian?" e ride, strizzando ancora di più le palpebre e, sempre ridendo passa parola a quello più serio del gruppetto: "A Giulia piasce Braian". L'altro è seduto, impegnatissimo dentro un telefonino, forse comprato dai suoi per Natale, penso. Un super modello smart, un bel po' di sacrifici, penso, per un'offerta imperdibile compresa nel contratto col gestore, sottoscritta  in Italia, un paese diverso, e pagata ristrutturando i muri di case ricche - 'na fatica! - però così mandiamo anche le foto ai nonni che stanno in Romania. Alza finalmente gli occhi azzurri dallo schermo, capelli biondi rasati ai lati e ciuffo verticale.  
Gli altri due continuano a parlare fitto fitto caracollando ad ogni frenata in sincronia perfetta, lei, pelle cappuccino, tira per le tasche il giubbotto di lui - Braian! - scritto così alla romana, mi dispiace e non correggetemi perché non importa come si scrive in questa storia da tram, dove non succede nulla, ci si sfiora e basta. Eccolo, lui è Braian. Altissimo, il più alto filippino del mondo, penso.
Il mio micro ONU viaggiante ha anche il suo inno contro il razzismo, penso, e fa: 
"A Giulia piasce Braian - A Giulia piasce Braian - A Giulia piasce Braian - A Giulia piasce Braian"

E quando scendo, le pratiche attinenti alla propria o all'altrui sopravvivenza mi sembrano tutte più facili.

(in giro)