lunedì 13 marzo 2017

Un papà nell'orecchio


Ventisette ossa,
trentacinque muscoli,
circa duemila cellule nervose
in ogni polpastrello delle nostre cinque dita.
È più che sufficiente
per scriver Mein Kampf
o Winnie the Pooh.
("La mano" di Wislawa Szymborska


Alla fine siamo fatti di ingredienti semplici. Ossigeno, carbonio, idrogeno, azoto, calcio, fosforo, sodio, magnesio, ferro, alluminio, tutta roba riciclabile.
Siamo questo. Siamo il mucchio ambulante di tutto questo. 
Ieri ho rivisto mio padre nell'orecchio di un passante, anzi più precisamente, nel pezzo dell'orecchio che usciva fuori da un cappello, una coppola per la precisione, calcato su una faccia. Che non era di mio padre, mannaggia. 
L'avrei fermato, signore lo sa che... ma non importa. Tanto lo rincontrerò, mio padre, una prossima volta, come mi è già successo al cinema. La mano poggiata sul bracciolo condiviso, bianca e ben proporzionata, stesso modo di distenderla, e il pollice, signore lo sa che lei ha...
Una volta, che attraversava la strada sulle strisce, stesse spalle sotto un impermeabile panna e quella stessa testa piegata un pochino di là, ho visto anche mia nonna.
E' un modo di pregare.


(Lassù)









    

venerdì 10 marzo 2017

Un paese per vecchi


Non posso abbandonare 
il mio bagaglio pesante
davanti e dietro.
(Santōka 1882-1940)


"Ma lo vorrei abbandonare, eccome!, questo bagaglione così pesante, darlo a qualcuno, farmi aiutare! Sono anni e anni che lo porto con me, tutto questo pesante fardello, caro amico Santōka"
Se solo potesse, potrebbe proprio direbbe così uno fra i sedicimila, ripeto sedicimila, ultracentenari italiani (notizia QUI)Contati dall'ISTAT, vivono nel nostro vecchio paese, al centro della vecchia Europa, continuando a trascinarsi, dietro il loro passo malfermo, tre o quattro generazioni sfiduciate e squattrinate 
Sulla relativa geriatricizzazione di una nazione intera, e quindi anche sul calo delle nascite, esisterebbe una soluzione che, nell'ordine, risolverebbe 1) alcuni aspetti economici, 2) la questione minori non accompagnati 3) la felicità di non poche persone: rendere facili le adozioni estendendone la possibilità a tutti i tipi di nuclei familiari. E anche ai single.


(Pino secolare)



















giovedì 9 marzo 2017

Leggere il mondo


Qualcuno stava dicendo
qualcosa riguardo ombre che coprono il campo, riguardo
lo scorrere dell'esistenza, di come ci si addormenti verso il mattino
ed il mattino passi.

Qualcuno stava dicendo
di come il vento muoia ma poi ritorni,
di come le conchiglie siano le bare del vento
ma il tempo continui.

Era una lunga notte
e qualcuno disse qualcosa riguardo a come la luna perdeva il suo 
bianco
sul freddo campo, come non ci fosse nulla davanti a noi
oltre le solite cose.

Qualcuno menzionò
una città in cui era stata prima della guerra, una stanza con due
candele
contro un muro, qualcuno che danzava, qualcuno che guardava.
Cominciammo a credere
che la notte non avrebbe avuto termine.

Qualcuno stava dicendo che la musica era finita e nessuno
se n'era accorto.
Allora qualcuno disse qualcosa riguardo i pianeti, riguardo le
stelle,
di quanto fossero piccole, quanto fossero lontane.
("L'ultima ora" di Mark Strand da "Lungo Party triste")



Mi sa che Strand e Zuckerberg hanno in comune solo il nome Mark.

E così uno dei due, quello che fa di mestiere il nostro grande fratellone, affabile e dinoccolato e molto ricco, scarpe da runner e sguardo mite (della serie vado a mille ma non temete), Mark Zuckerberg, ha stilato la lista dei libri che tutti dovremmo leggere (QUI) .
Si tratta di ventitre testi importanti, ventitre punti di vista per altrettante analisi della nostra realtà. Antropologia, politica, economia, scienza, ecologia utili per leggere il mondo.
Su ventitre titoli non un romanzo in senso classico (che non sia fanta-tecnologico) e, soprattutto, non una raccolta di poesie.
E così ci penso su. E mi girano in testa quelle parole: qualcuno stava dicendo di come il vento muoia ma poi ritorni, di come le conchiglie siano le bare del vento ma il tempo continui... come non considerare un'analisi tale, - puntuale, suggestiva e oggettiva - di quello che ci accade intorno?


(cloud)






   

martedì 7 marzo 2017

8 marzo


La danza delle ore, le stagioni
che in catena si danno la mano.
Io, primavera, mi allaccio al tuo autunno,
il mio autunno alla tua primavera.

Anche gli inverni sono i nostri
natalizi cristalli di champagne.
Anni fa, ricordi? Al tuo paese,
la neve su foreste di germogli.
(Maria Luisa Spaziani "La traversata dell'oasi")


Entro in un negozio fatto di stanze una dentro l'altra, di specchi vecchiotti molati ad arte e appesi sulle pareti bianche. Tanti vestiti colorati sotto luci soffuse, una vera primavera ritagliata e cucita, fatta di colpi di luce e di seta, seducente e ordinata su stampelline foderate in tinta.
Mi aggiro, accarezzo, estraggo, soppeso, ripongo.
"No, non va proprio..."  una voce mesta sospira da una zona più nascosta, un camerino ricavato nei drappeggi che scendono dal soffitto. Sbircio. Vedo una sedia, una manica che penzola dalla spalliera, per terra una borsa.
"Non va... peccato"
Signora che non conosco, infagottata in tutti quei troppi mazzi fioriti riflessi nello specchio, la stoffa non cede e non cederà e le pieghe non ce la fanno e tutti quei boccioli bianchi, azzurrini e pervinca su fondo verde acqua si stanno contorcendo e non te la perdonano quella tua pancia, loro, così vezzosi e morbidi, sappi, signora fiorita, che, per un momento, esattamente quello che precedeva lo strappo facendoti desistere e sfilare veloce l'abito di dosso, ti ho voluto un gran bene. 
E quando ti sei rigirata su te stessa e poi sei sparita dietro la tenda, un gambaletto si è allentato, e ti sei aggiustata i capelli piegando in su le braccia come fai sempre per cambiare argomento, abbassando il mento sul collo, mi hai fatto una tenerezza infinita.
E quando alla giovane commessa dal ciuffetto fuxia e dal colorito di perla, la vedo che ti sta cercando qualcosa da proporti in alternativa, hai confessato, con l'ultimo refolo di vanità rimasto - vi ascoltavo, sì, un po' spiavo - "...sa, volevo una cosa un po' giovane. Ho settant'anni" e lei, la perla, ha proferito quel vellutato "Ma signora se li porta da dio", ecco, sì, sarei uscita dal mio nascondiglio, solo per dirti:
Signora fiorita, è proprio vero, te li porti da dio! E ti fai amare ancora.     
La danza delle ore, le stagioni...

(Un pochino di primavera)




Renzi Renzi Renzi Renzi


Quali radici si afferrano, quali rami crescono
su queste rovine di pietra? Figlio dell’uomo
tu non lo puoi dire, né immaginare
perché conosci soltanto
un cumulo di immagini rotte, là dove batte il sole (...)
(da "La terra desolata" di T.S. Eliot)


La poesia come via di fuga dalla realtà. Chi può capirmi più di T.S. Eliot che scriveva per non impazzire?

Giochino. Accendi la tv. Quale sarà la prima parola che sentirai? E' la parola "Renzi".
E l'ultima, che rimarrà a galleggiare nel tuo salotto silenzioso, nonostante il  click notturno e liberatorio del telecomando, prima di trascinarti a letto? Sempre quella: "Renzi".
Ora. Ma non l'abbiamo esaurito l'argomento? 
Tu, micro particella di un partito in frantumi, che ti sei guadagnato su queste rovine di pietra il tuo spicchietto di sole, che hai ottenuto da quella corrente dei controcorrente sempre e comunque, una bella sfilza di bei partitini tutti molto sinistrini, perché non dici, una volta almeno, quello che farai, come governerai? Tutti, tutti parlate della stessa cosa, tu e quello con lo stemmetto sulla felpa, quello che sta sempre dalla parte di chi si fa il mazzo e i migranti devono stare a casa loro o quello che deride e cambia idea e caccia tutti tranne lui che pure lui si doveva ritirare, ma no poi ci ha ripensato, e lavora con il figlio di e pensa all' euro. Non vi vedete che state dalla stessa parte a dire la stessa unica parola? E pure tu, giornalista-sempre-ospite, dalla Gruber, da Mentana,  dalla Berlinguer e da quelli che non mi ricordo mai come si chiamano, perché ci dai sempre la stessa notizia? E mi fai pure la faccia di quello che ci sta per dire una cosa nuova e invece no, è sempre "Renzi" e rimesti, e sezioni, e ne parli, e poi ancora e ancora... 
E abbiamo capito! 
Non mi preoccupo mica per lui, eh? Sia chiaro. Al contrario, penso che sia fatto d'acciaio. Un panzer (a me, al suo posto, solo tra referendum e il padre Tiziano, mi sarebbe venuta l'osteoporosi pure agli occhiali) ma, mi chiedo, che senso ha tutto questo parlare di Renzi come se impersonasse, da solo, tutto il male dell'Italia, ora finalmente vinto? 
Bene, se ce l'abbiamo fatta, come dici proprio tu, cambiamo argomento. Ne hai?

(seggio elettorale)
  





lunedì 6 marzo 2017

Lo ius soli spiegato da Giulia


(...)
Intanto i piroscafi che dividono orizzonti dichiarano
Noi perduti;
Trovati solo
In opuscoli turistici, dietro ardenti binocoli;
Trovati nel riflesso blu di occhi
Che hanno conosciuto metropoli e ci credono felici qui
(...)
(da "Preludio" di Derek Walcott)


Metropolitana domenica pomeriggio, sulla banchina. Nell'attesa, guardavo le teste di capelli che avevo vicino. Contavo due zazzere, quattro del tipo imbrillantinato, tre crespissime contro due liscissime e spioventi, una nascosta da un velo con perline rosa e una dal berretto con la visiera girata dall'altra parte. Insomma, una babele di teste, tutte diverse e tutte in movimento. 
A un certo punto avverto la sensazione che qualcuno mi stia fissando. Dove sei, chi sei tu che mi guardi e non favelli? E soprattutto, da dove mi raggiungi con questo piccolo laser di occhi insistente, che continua a pungermi da dietro? 
Non lo sapevo ancora che appartenessero alla più grande esperta di leggi e diritto, specializzata con il massimo dei voti. No, non lo sapevo ancora che erano di Giulia.
Insomma, sento di nuovo quel laser di occhi, mi giro e, ad altezza testa, non vedo nessuno. Abbasso lo sguardo e finalmente li intercetto! Sono nerissimi e appartengono a lei. Sì proprio a quell'espertona di diritto internazionale di cui vi accennavo che, sotto due ciuffetti infiocchettati e poco più su della bocca minuscola a forma di cuore cicciotto, continuava a fissarmi con quelle due biglie nere dal basso del suo passeggino. Serissima. 
La mamma, una giovane signora filippina dall'accento romano, aggiustandole un fiocchetto, risponde al mio sorriso e orgogliosa: "Lei è Giulia!". 
"Ciao Giulia, come sei bella. Complimenti signora!"
Giulia continua a fissarmi, immobile, se possibile ancora più seria di prima.
Cosa pensi mai, Giulia? No! Non dirmelo, stamattina volevi telefonare anche tu a Prima Pagina e rispondere al giornalista! E raccontare a gran voce la tua esperienza in materia di ius soli, esperienza che dura da sempre per te - quanti saranno, sei mesi? - e che tua madre si sente italiana, infatti ha la cittadinanza, e che ha fatto mille pratiche, ma che tu sei italiana e basta. Che lo capisci, l'italiano, e che un  giorno lo parlerai da dio e che, sempre un giorno, saprai telefonare a tutti. Ora osservi solamente, ma un giorno, farai un sacco di cose e cucinerai una pasta per primo piatto, col sugo e il basilico, e quel buonissimo secondo di verdura e carne che ti diceva tua nonna. E che le tradizioni uno ce l'ha in testa, come morbidi fiocchetti, e che non sono cappi e che le radici sono dove siamo, caro signor giornalista, volevi dirglielo ma vabbè, e che sono aeree, come quelle di una pianta bellissima che vive nelle Filippine e che ora non sai ancora bene come si chiama ma un giorno sì che lo saprai e che, sempre un giorno, li visiterai tutti quei posti di nonna per poi ritornare a casa, dove ci sarà chi ti aspetta, perché di sicuro, Giulia, uno che ti aspetta, e perde la testa per te, lo trovi. Sicuro.

(Le mie radici preferite)


venerdì 3 marzo 2017

Passeggiata minuscola


Il tuo più tenue sguardo
facilmente mi aprirà
benché abbia chiuso me stesso
come dita  
sempre mi apri petalo per petalo
come la primavera fa
toccando accortamente
misteriosamente la sua  
prima rosa  
e io non so quello che c’è
in te che chiude e apre
solo qualcosa in me
comprende che è più
profonda la luce dei tuoi
occhi di tutte le rose  
Nessuno… neanche
la pioggia ha…
così piccole mani



Di E. E. Cummings, anzi, ricomincio. 
Di e. e. cummings amo molto quel piccolo suo snobismo di firmare il foglio usando il minuscolo. 
Mi piace molto, come mi piace la mia minuscola passeggiata di quasi primavera.

Una mezzora a piedi sulla pista ciclabile che mi impongo ogni due o tre giorni - poi mi mancherebbe troppo il motorino - per raggiungere la redazione e stanarmi dalla pigrizia.
Procedo tra il fiume e i runners non troppo velocemente, senza correre. Scorro.  
Un anziano, da solo, passeggia serio con il giornale sotto braccio, pronto per squadernarselo sulla panchina dopo quel cespuglio. Due donne di età indefinibile, lanciate nell'eternità e fasciate nelle tutine fluo, muscoli scolpiti, fanno stretching sul muretto. Un cane annusa qualcosa di imperdibile nell'aria mentre un badante filippino spinge la carrozzina del vecchio pallido che sorride fisso. Una ragazza rom, gonna lunga e quello sguardo, ciabatta vicino un cassonetto e con un ferro lungo aggancia qualcosa. 
Ecco il casottino delle bici a noleggio con i cani dallo sguardo dolce alla catena, ecco nel cielo la "v" dei pappagalli, la vedo che attraversa la sponda e poi la riattraversa ancora, ascolto lo squittio isterico che le fa da sigla, sulla riva un gabbiano e un coro di cornacchie perlustrano i rifiuti che il fiume regala. Una scarpa da ginnastica, un giocattolo, una ghiotta cartaccia di patatine... Scorrono i due ragazzini abbracciati e che, da come si sbaciucchiano, oggi non andranno a scuola. Lei ride, lui ha il ciuffo altissimo e le fa i dispetti per dire ti amo.  
La sento addosso la mia quasi-primavera romana, la annuso, mi scaldo al suo quasi tepore.
Non corro. Scorro. 
Sono un fotogramma di una lunga pellicola che scorre, scorre, scorre e ci sono anche io nel mio piccolo
(quasi primavera)