martedì 28 febbraio 2017

La scelta

Eccomi
dove il blu del mare
è infinito
(Santōka 1882-1940)

Rileggo l'haiku di Santōka, quell'eccomi. Scelto tra tutte le altre parole possibili, un eccomi, tanto cercato e finalmente trovato da chi ama, adora, la vita.
Sostengo chi desidera mettere fine a una sopravvivenza troppo dura da sopportare e ammiro Marco Cappato e tutti coloro che combattono in prima linea in nome di una battaglia di civiltà e amore.

(Eccomi)

lunedì 27 febbraio 2017

Piccoli riti

Nuvole fluttuanti
e lo splendore del tempio
si riflettono nell'acqua
(Santōka 1882-1940)


L'Oscar più importante è stato per un attimo assegnato al film sbagliato. 

A quelle nuvole fluttuanti (ukigumo), soggetto per la cultura giapponese più poetico che fisico di qualcosa in perenne cambiamento, dedico questo post. 

Ho passato una bella serata al cinema.
Programmavano "Erbe fluttuanti", film muto del 1934 del maestro del cinema giapponese Yasujiro Ozu, colui che nacque lo stesso giorno in cui sarebbe morto, il 12 dicembre, e sulla sua stele funeraria fece incidere un ideogramma che significa "nulla" eppure, ancora oggi, nel tempo, ogni dettaglio, ogni sua inquadratura sembra riverberarsi negli occhi di chi guarda...
Gli anni trenta erano gli anni del mio amato Santōka, il periodo dei suoi cammini disperati e irrinunciabili per il Giappone. Le misere capanne, la pioggia battente, il sakè consumato a litri per tirarsi su dalle tristezze, l'elemento ironico anche nella povertà più cupa che Ozu rende con il continuo grattarsi per le pulci e inquadrature dal basso. Scene come haiku. I protagonisti, un gruppetto di attori girovaghi che non può fare a meno di andare, andare, andare. Proprio come Santōka.
Il vento, la pioggia, i petali e le foglie fluttuano sullo schermo e un'orchestra dal vivo suona per l'occasione. Fluttuare come stato d'animo e di natura, evanescente eppure così preciso, come un tratto di acquerello (avete mai provato a correggere una pennellata?)
Dopo il film, raggiungo per cena una coppia di amici che si è appena trasferita in una nuova casa. Altro quartiere, altra vita. Attraverso mezza Roma per raggiungerli, passando per strade dai nomi che parlano di acqua che sobbolle e antiche marane. La mia città è fluttuante come il Tevere che l'attraversa, i suoi quartieri multietnici sono diffusi, le luci sempre accese dei piccoli rivenditori di frutta aperti ventiquattrore al giorno le donano un baluginio crepitante e inafferrabile. I condomini sfilano uno dopo l'altro, altissimi, conservando antichi sogni di riscatto economico per nuovi inquilini che vengono da lontano. Fluttuanti.
La cena in una casa nuova: il nostro piccolo rito. Tutto è buono e disposto con cura sulla tavola. Ciotole di metallo e di porcellana, il vino e tanti colori. Ogni oggetto un pezzetto di vita, un viaggio. 
Stanze che parlano di gusti e abitudini ora rinnovati, vecchi mobili che entrano perfettamente in quella nicchia, foto finalmente appese con la giusta luce, spazi scoperti per una nuova vita dentro nuovi volumi che sembravano aspettare qualcuno per essere colmati.
Pieni e vuoti, aria e luce. Una finestra su un piccolo giardino.
"D'estate sarà bellissimo".

(Albicocco a Roma Sud)



venerdì 24 febbraio 2017

Enzo Carella


Spunta dalla radio
una canzone di quando
stavo diventando grande

(Santōka 1882-1940) 



A me, Enzo Carella, scomparso pochi giorni fa, mi ha colpito e affondato fin da ragazzina.


Fu da quel suo debutto a Sanremo in un momento in cui andarci era un po' da sfigati quasi quanto guardarlo. Carella cantava una canzone piena di doppi sensi, le ballerine-sandwich ancheggiavano senza faccia e con enormi cartelli di bocche fluo addosso, la scenografia era solo una scritta: Sanremo 1979. Era tutto in sordina, nessuno si filava nessuno, femministe e benpensanti erano sintonizzati sull'altro canale. Era tutto così disperatamente sotto tono, come il tinello di mia zia da dove lo guardavo. Oggi che i vip affollano il festival e i tweet sibilano i momenti topici in presi diretta, che a lui non lo invitano e io non lo guardo, noi, Carella ed io, non ci siamo mai persi di vista.

Mi ha sempre caricato, è stata la molla segreta dei momenti più cupi. Se lo sento, rifiorisco. Fosse vero, Pierina, L'Odissea, Aspetta e spa, l'Anima pagliacciona a memoria. Tutto De Carellis. Tutto, tutto Carella... Malamore. Tutto.
(Lo so, lo so, i testi sono di Panella, quello del Battisti che in molti hanno detestato, quello che qualcuno chiama poeta  ma io non ci penso proprio, come non chiamerei poeta Dylan, ma l'ho già detto) 
Chi è un poeta? Chi lo fa o chi lo è anche se non lo fa di mestiere?
Ecco. Carella è il mio poetanonpoeta di riferimento. 
Una settimana fa ho cenato in un posto fichetto della stazione Termini, al ritorno di un viaggio. Avevo il borsone, ero sola e stanca, la fame ha prevalso sulla voglia di correre a casa e ho spinto con le forze rimaste l'enorme vetrata del ristorante pieno di hipster affamati alle prese con cibi hipster guarniti ad arte. Come la porta si chiude alle mie spalle, parte dagli altroparlanti una canzone di Carella, a palla. E con quella meravigliosa Amara nelle orecchie, orecchie di tutti, ti ho festeggiato in silenzio, caro Enzo. 
Sai che so fare la tua imitazione quando canto? 
Sai che quell'ascolto, quell'evento raro ed epifanico, diffuso e solitario, è stato il mio satori, caro Santōka?
La voce sotto tono, quasi buttata là, allusiva e infantile, vellutata e a un passo dalla stonatura... 


Dove sei, Carella, me lo chiedo quando ascolto i tuoi pezzi, dove sei finito Carella! la tua voce sprofonda dentro la musica - sempre troppo in primo piano - o ancora più giù dentro le parole delle canzoni che canti, così piene dei riccioli di Pasquale Panella, dove sei, che li canti sempre così bene tutti quei riccioli pannosi di parole, parole e parole.

Dove sei. Senza punto interrogativo, perché Carella è un modo di sparire, Carella c'è e non c'è da sempre. 
Una volta l'ho incontrato e ho potuto dirglielo quanto era bravo. Mi ha fatto un sorriso che saprei rifare, giuro, con quel modo tutto suo che sa di Roma d'estate, di pomeriggi noiosi e infiniti, di tempo perso senza aria condizionata. Di canottiere e spalline, di stravacco e stravizio, di sesso e amarezze. 
La vita è un soffio e Carella è il mio poetanonpoeta.   

(ieri,8 gennaio....mio compleanno...)




  

giovedì 23 febbraio 2017

Sette sorellastre


Giorno per giorno appare il giallo sole sopra il colle.
Bello è il bosco, l'oscuro animale,
l'uomo; cacciatore o pastore.

Rossastro sale nel verde stagno il pesce.
Sotto il rotondo cielo
naviga il pescatore lieve in azzurro battello.

Lentamente matura l'uva, il grano.
Quando silenzioso il giorno declina,
è preparato un bene e un male.

Quando scende la notte,
solleva il viandante piano le palpebre grevi;
sole irrompe da voragine cupa.
("Il sole" di Georg Trakl)



Uno non può mai andare a dormire tranquillo, da ieri sera sappiamo che la Terra ha sette pianeti a lei molto simili. Abitabili? Abitati? Lo stiamo capendo. Certo è che la temperatura è accettabile e una qualche presenza di acqua, per ora ipotetica, permetterebbe una qualche forma di vita (notizia QUI)
Insomma, la solita storia della ricerca di un altrove possibile ha fatto un passo in più.
E così, ne ho "parlato" con Trakl, il poeta maledetto del novecento, dalla vita breve e disperata, colui capace di scrivere in una lettera a Klein la frase: "Io anticipo le catastrofi mondiali".
E proprio nella sua nube torbida - se non stiamo attenti, se non abbassiamo al volo la testa, qualche frammento della sua ossessione ci prende e ci stende - in quello strano firmamento poetico che segnerà tutto il novecento, dicevo, rovisto, tentando di capire le cose primordiali e ultime allo stesso tempo.


Rossastro sale nel verde stagno il pesce.
Sotto il rotondo cielo
naviga il pescatore lieve in azzurro battello.

E così, con i miei umili mezzi e con il mio sguardo mozzo, ora, sì, ora!, riesco a vedere anche io sette Terre una dopo l'altra, in fila!
Belle, tonde, spumeggianti di vita. Pulsanti. Le vedo! Vivide, di blu brillante, con i loro sette mari, con le sette catene montagnose che le increspano, i sette poli sud e i sette poli nord che le rinfrescano, vedo sette caldi equatori. Le vedo! 
E poi, cosa vedi? Sì. Ehm... Vedo sette Trump e sette Putin, sette Salvini, sette Le Pen e sette Grilli. E sette tassisti incarogniti sotto sette stadi della Roma.
Sole irrompe da voragine cupa.
Forse mi drogo come Trakl. O forse no. 


(Rifugio)

martedì 21 febbraio 2017

Taxi/Uber


Veemente dio d’una razza d’acciaio, 
Automobile ebbrrra di spazio, 
che scalpiti e frrremi d’angoscia 
rodendo il morso con striduli denti... 
Formidabile mostro giapponese, 
dagli occhi di fucina, 
nutrito di fiamma 
e d’olî minerali, 
avido d’orizzonti e di prede siderali... 
io scateno il tuo cuore che tonfa diabolicamente, 
scateno i tuoi giganteschi pneumatici, 
per la danza che tu sai danzare 
via per le bianche strade di tutto il mondo!... 
(da "L'automobile da corsa" di Filippo Tommaso Marinetti)


Gradiranno i tassisti l'eroismo, un po' pataccaro francamente, ma altamente suggestivo e roboante di queste rime marinettiane? 
La lettera "r" che si ripete, che motorizza la parola, e che le dona un suono aggressivo e da denti digrignati, la grrrradiranno?
Avidi d'orizzonti e prede siderali, a motori scalpitanti, li osservo, mio malgrado, in attesa di una regolamentazione che veda lo scontro Uber e Taxi finalmente appianato e con la agognata risoluzione delle richieste degli uni e degli altri. 
E questi sono i fatti di attualità. 
Ma il tassinaro un po' Alberto Sordi - navigato, cinico quanto basta alla sopravvivenza, sempre sorridente e battutaro - ecco, io, uno così, non l'ho mai incontrato. Mai nella vita.

Fuori la stazione o agli arrivi dell'aeroporto, li vedo palleggiarsi i passeggeri come in un campo da rugby. Chi è il primo della fila? Ci si chiede, frastornati e vinti, badando al trolley e alla borsetta e a quel figuro losco che sbuca dal nulla e che ti si appiccica per un passaggio alternativo senza ricevuta, chi è il primo della fila? La voce ci si spezza visto che quella che ci si para davanti è un groviglio diabolico di occhi e lamiere, non può essere una fila. 
Chi è il...
Accigliati, ti caricano, spesso solo dopo aver saputo se sei una corsa conveniente e, se parlano, ti sciorinano rimostranze sindacali che si attivano con il clik del tassametro. 
Le bianche strade percorse a scatti, nervosamente, i più giovani, specialisti di questo stile di guida, gonfiano l'abitacolo con lo stereo a palla e riescono a compiere tutto il percorso senza mai guardarti in faccia. Siamo finiti in un rave, tump tump tump, dove ognuno balla il suo ritmo, bella!
Tump tump tump tump
È un clangore futurista, è l'intonarumori di Luigi Russolo, la macchina musicale generatrice di suoni di inizio secolo. È guerra.

È la guerra del traffico, del grugno, dell'aggressione verbale. Siamo diventati questo. E la storia Taxi/Uber ce lo dimostra nella sua sfigata crudeltà. 
Siamo tutti contro tutti, mettiti l'elmetto, fatti riconoscere. Siamo miliziani e "Ce devi da sta', fraté. È guera!"
È guerra, amico.


(Campo di battaglia)



  



lunedì 20 febbraio 2017

PD all'asilo


Io vo... tu vai... si va...
Ma non chiedere dove
ti direbbero una bugia:
dove non si sa.
E' tanto bello quando uno va.
Io vo... tu vai... si va...
perchè soltanto andare
in un mondo di ciechi
è la felicità.
("Movimento" di Aldo Palazzeschi)


Dove se ne stia andando, il partito democratico insieme ai suoi dirigenti, non si capisce da un po' di tempo. Io vo... tu vai... si va... suona come una vecchia poesia delle elementari, come quel gioco dell'asilo, che in qualche regione si chiama "uno, due, tre, stella!", dove bisogna stare fermi e muoversi solo quando il compagno, girato dall'altra parte, non ti guarda. Dove non si sa. E' tanto bello quando uno va dice il poeta...

Al contrario, a Piacenza non ci si muove, anzi, si sta tutti insieme e pure nella stessa stanza. 
È nata una struttura e, vi giuro, alla sola lettura della notizia (QUI) mi sono commossa (quando qualcosa va per il suo verso, ormai, è solo commovente), dove bambini e anziani dai tre ai novanta anni passano qualche ora insieme. Preparano una torta, ascoltano una favola, cantano una canzone. Piccole cose. Soprattutto imparano, insieme, a non temere il lupo cattivo o la vecchiaia.
"Le esigenze di un anziano e di un bambino sono simili", avranno pensato gli ideatori - geni veri - "un po' di affetto, un po' di attenzione, un posto accogliente dove stare, cose così". Cose semplici.
E attraverso questo micro esempio di civiltà, anche noi qui, adulti presi dalle nostre cose, apprendiamo il significato profondo di parole come "società", "solidarietà", "esempio", "progetto comune", 
Un asilo che sarebbe bello che venisse frequentato da una classe politica di siffatta statura e dal rancoroso popolodelweb.
L'asilo piacentIno, vero progetto politico senza tanto clamore, piccolo talismano per affrontare la settimana, che vi offro. Con tutto il mio cuore.

(sorpresa nel traffico)

venerdì 17 febbraio 2017

Kounellis (1936-2017)


(...)
E' come tutti,
contiene la città enorme in cui cammina,
si attiene, nell'andare, alla sua morte -
il sonoro è il vento,

un accompagnamento primordiale
basta aderire senza toccare nulla
a lei che s'accontenta di portarle.
La sua realtà è la mia arte.
(da "La fine di quest'arte" di Silvia Bre)



L'incanto sospeso di questo ultimo verso per ricordare, nel mio diario poetico, la scomparsa dell'artista Jannis Kounellis (QUI e una bellissima intervista video QUI).
La sua realtà è la mia arte.
Continuare a leggere la complessità di quel gesto artistico (portare cavalli, vivi, nel 1969, dentro una galleria romana, ora storica, L'Attico), o capire sempre meglio la ruggine dei suoi ferri appesi, o ancora comprendere, un altro poco, un pochino di più, ogni sua pietra, incastrata, accatastata, impilata, osservarne con acribia ogni concrezione e residuo organico, il nostro compito.
La sua realtà è la mia arte. E io lo ringrazio.     


(opere d'arte)