mercoledì 13 novembre 2019

Venezia è una libellula


Una libellula di città
lo sa che tanto non durerà.

Appena nata, lascia il suo stagno.

"Stanotte muoio", grida ad un ragno.

"Serve una mano? - fa lui con brio

- Devi morire? Ti aiuto io".

"Gratis? Davvero? Un'eutanasia?

Come mai tanta galanteria?"
(Da "Una libellula di città" di Tiziano Scarpa)

Oggi mi sono svegliata pensando a Venezia e all'acqua che sale. Cenavo, ieri sera, e al tg andava l'acqua alta, l'operatore zoomava sugli stivaloni e il cronista parlava di record, 187 centimetri - una me più un bel pezzo d'acqua in testa che fa affondare la città, pensavo - qualche parola spesa per il Mose e un'altra inquadratura mortifera.
Cerco una poesia e trovo questa, e sostituisco l'animaletto iridescente del poeta con "Venezia", la sua città, anche il titolo cambia senso se lo pronuncio con intonazione diversa, tipo (è proprio) una libellula di città! Il nome dell'insetto deriva da libra, bilancia, poiché in volo la libellula riesce a tenere le lunghe ali orizzontali in equilibrio nel vento. Infatti è così, se la guardi da vicino Venezia è lieve, ariosa con quei trafori di marmo in giro e si posa leggera sull'acqua. È il dono inutile che posso fare, come fosse un haiku di resistenza all'incuria e agli interessi economici.


(Acqua alta)




lunedì 11 novembre 2019

Note e notazione



Spunta dalla radio
una canzone di quando
stavo diventando grande
(Santōka 1882-1940)


Il triangolo, no? Tuca Tuca? 
Non per tirarmela, ma sono in vetrina tra Renato Zero e i Subsonica. Sotto di me, solo Raffaella Carrà. Evviva la libreria dell'Auditorium di Roma! Ieri sera passavo di là di corsa per non perdere l'inizio di un concerto e ci ho frenato davanti come Will Coyote. Le suole ancora mi fumano.

(gasp!)


domenica 10 novembre 2019

75190


Sabato mattina, mia madre aggiusta le sue gonne,
scuce e ricuce, allarga e poi restringe,
allunga gli orli, li modifica inserendo nastri,
bottoni, fettucce di gros-grain, velluto, raso.
C'è un'attenzione inquieta che la inchioda alla luce
e trasforma il suo viso in un tessuto.
Se la chiamiamo non risponde
ma il suo esistere fa corpo con le cose,
sfavilla come l'ago che imbastisce
anche noi che guardiamo.
("Opere" di Antonella Anedda)

A ottantanove anni Liliana Segre avrebbe dovuto ricevere ringraziamenti, fiori, sorrisi. Non certo una scorta per proteggerla. Mi chiedo cosa provi alla fine della sua lunga giornata. La immagino seduta sulla sponda del letto, in sottoveste prima di andarsene a dormire. Una telefonata, il bicchiere d'acqua, gli anelli poggiati vicino lo specchio della toletta, uno sguardo alle vecchie foto in cornice. I gesti quotidiani di una vita. la luce sul comodino che ancora illumina quel 75190 tatuato sul braccio.


(Mi dispiace)

mercoledì 6 novembre 2019

L'onda della speranza

La notte lava la mente.

Poco dopo si è qui come sai bene,
file d'anime lungo la cornice,
chi pronto al balzo, chi quasi in catene.

Qualcuno sulla pagina del mare
traccia un segno di vita, figge un punto.
Raramente qualche gabbiano appare.
("La notte lava la mente" di Mario Luzi)


Quando leggo dell'ennesimo episodio razzista, questa mamma brianzola che dagli spalti inveisce contro un giocatore dell'età di suo figlio, che avrà avuto tredici anni? quanti anni avranno i "pulcini" partecipanti alla partita Aurora - Sovicese, non lo so, urlandogli "negro di m...a", o di una nuova ordinanza contro "i neri", quando ascolto frasi idiote sulla razza, "casa mia" e "casa loro", quando sento discettare di improbabili differenze tra migranti economici e migranti politici e su quello che noi dobbiamo fare e su quello che loro eccetera, quando si danno numeri a caso, le ong diventano la causa del male insomma, quando l'idrante della sicurezza travolge tutto, mi riprendo pensando al mare. 
L'ondata dei migranti vincerà comunque, chi pronto al balzo, chi quasi in catene. 
Vince per la forza vitale che porta, gambe muscolose capaci di scavalcare il mare, vita che cerca vita. I bambini piangono ma non hanno paura e vanno avanti, le giovani donne sotto turbanti colorati vanno veloci, i grembi fertili. Giovani uomini, ragazzi belli, fieri, lo sguardo lontano procedono a grandi falcate.  
Sbarcano sulle nostre coste gli atleti della sopravvivenza, i campioni mondiali di voglia di vivere.
Ad attenderli ci siamo noi flaccidi e vecchi e pieni di pregiudizi. E ci spalmiamo le creme sulle panze rosicando d'invidia mentre quest'onda splendente di giovinezza ha deciso per tutti.

(Confido nell'onda)



martedì 5 novembre 2019

Ted Hughes

Immagino la foresta di questo momento di mezzanotte:
altro è vivo
oltre la solitudine dell’orologio
e questa pagina bianca dove si muovono le mie dita.

Attraverso la finestra non vedo stelle:
qualcosa più vicino
sebbene sia più profonda entro l’oscurità
sta penetrando la solitudine:

freddo, delicatamente come la neve scura,
il naso di una volpe tocca un ramoscello, una foglia;
due occhi servono un movimento che adesso
e ancora adesso e adesso e adesso

depone chiare tracce sulla neve
tra gli alberi, e cautamente un’ombra
storpia si trascina tra ceppi e nell’incavo
di un corpo che ha l’audacia di giungere

attraverso radure, un occhio,
un verde fondo e dilatato,
brillante e concentrato,
che se ne viene per i fatti suoi
sino a che, con improvviso acuto caldo puzzo di volpe
non penetri la buca nera della testa.
Ancora senza stelle è la finestra; batte l’orologio,
la pagina è tracciata.


La storia d'amore più distruttiva del novecento letterario nacque a una festa. Ted Hughes e Sylvia Plath si incontrarono a un party organizzato per il lancio di una rivista di poesia nel 1956. Google immagini ci restituisce le foto di quei giorni, sul video scorrono ritratti in bianco e nero sui cui poter zoomare. Il tintinnio dei bicchieri quasi si percepisce mentre li spio, il sorriso è quello di chi si sta innamorando. Ted è alto, naso e mento pronunciati, elegantissimo. Sylvia è adorante, gli occhi puntano l’obiettivo della macchina fotografica come a sfidare quello che verrà. Il sopracciglio alzato, i capelli domati da una fascia bianca, sorride. Sorridono sempre in queste foto. Sono belli e giovani, li immagino ballare occhi negli occhi sopra una gigantesca bomba a orologeria.
Quando registro i miei Gettoni di Poesia sono sempre un po' emozionata. Ho tante cose a cui badare, pronunce da rispettare, date da non dimenticare. Per Ted Hughes lo sono stata ancora di più, come se gli dovessi qualcosa, come se mi fosse più caro di altri poeti. Come se toccasse a me riscattarlo. Che presunzione.

(la pagina è tracciata)