venerdì 27 settembre 2019

#Fahre20



Se questo è amore, mi dico. Ma sì,
questo è l’amore che conosciamo. Ora.
Amore appiccicato, che incolla
quel poco di ala modesta sulla schiena.
Amore legato. In cui si ripete la solfa
del tu e dell’io. Non siamo capaci
di essere insieme acqua e moto,
sale e onda, unica impresa spettacolare.
Come il mare laggiù, lo vedi?
("Se questo è amore, mi dico" di Mariangela Gualtieri)


I miei venti anni di Fahrenheit sono una costellazione di ricordi. 
Da dove iniziare non lo so, forse dalla passeggiata a Mantova con Roberto Saviano prima che diventasse Roberto Saviano - sarà lui stesso a ricordarla oggi pomeriggio nella breve registrazione augurale che ci ha regalato - o dalla nuvola di capelli bianchi di Seamus Heaney, dal cappellino da rapper di Ferlinghetti, il sorriso mite di Yehoshua, i ritagli di carta velina rosa che volavano via dalle tasche di Ceronetti e si impigliavano sui capelli di chi lo ascoltava i studio. Da coloro che saluto ogni mattina prima di entrare in redazione, una nebulosa di affetti quotidiani, le guardie giurate al portone, gli addetti alla discoteca in pausa sigaretta, i tecnici in pensione e in attività, operai in tuta che spostano casse e aspettano l'ascensore. Le signore della mensa! O da quell'incontro con Mauro, che fu in due puntate, la prima in Via Asiago dove arrivò per essere intervistato e quello successivo a un festival, e ci fermammo, mentre intorno gli stand coi libri giravano a mille. Oppure gli scazzi redazionali che, come si accendono, finiscono (e meno male!) e si sovrappongono alle risate tutti insieme. Con Fahre posso dire di essere cresciuta, di essermi innamorata e forse pure di essere cambiata, è stato la mia palestra, la mia sala hobby, la camera dei giochi e lo studio dove s'impara, si studia e s'imparano altre cose.
Sono stati venti anni fatti di ore e minuti passati insieme ai colleghi e agli ascoltatori, entrambi parte della stessa invisibile, vivace, comunità. E poi sempre grazie alla radio che faccio ho iniziato a occuparmi di poesia e ho scritto due libri e l'ultimo, che alla fine è incredibilmente dedicato a tutto questo che ho detto fin qui, è come la candelina sulla torta di questi miei venti anni di vita lavorativa. E innamorata.

(cose preferite)


giovedì 26 settembre 2019


Eccomi
dove il blu del mare
è infinito
(Santōka 1882-1940)

Storica sentenza della Corte Costituzionale (leggi QUI).
Ringrazio Marco Cappato, e tutti coloro che come lui amano talmente la vita da farsi carico della scelta di un altro essere umano, e mi rileggo l'haiku di Santōka, quell'eccomi così libero, meditato. Scelto. La mia preghiera laica.


(Uscita di emergenza)

martedì 24 settembre 2019

Della radio e della poesia


...il soffio dell'altalena...
(da un inedito di Milo De Angelis)


"Porterei tre poesie inedite" mi dice Milo De Angelis al telefono quando lo raggiungo per invitarlo in diretta, una delle tante, tantissime dirette di Fahrenheit.
"Parlerei poco, non ho molto da dire" ha aggiunto con la voce che ha, che poi è identica a quella poetica - nel tempo ho capito che i poeti veri hanno la voce dei loro versi e mettono insieme le parole che dicono come fanno sulla pagina. E le parole cadono una a una, ma cadono nell'aria. 
Di tutta la lettura nella mente fisso quattro parole e l'immagine di un'altalena lontana su cui dondola una bambina di nome Lauretta che adesso avrebbe i suoi anni. 
Alle 18.00 una poesia è stata appena detta nel soffio di una voce, e galleggia nell'etere della radio che faccio e nella testa di chi, lontano, è in ascolto.
La radio e la poesia a volte si assomigliano. 


(poesia alla radio)


domenica 15 settembre 2019

Il mio libro


Spuntano i germogli
al tronco d'un grande albero
poggio l'orecchio
(Hosai 1885-1927)

Questo è l'haiku a cui mi riferisco nel pezzo uscito ieri su "Il Fatto". Lo dedico agli ascoltatori, a chi fa la radio e a chi la sente e a chi sa quello che ha significato per me questo viaggio nelle vite degli altri. Yuppi!
Ed ecco il testo per chi l'avesse perso:

Ho sempre amato la radio. Da bambina puntavo la sveglia alle 5.45 per ascoltare il bollettino del mare dalla mia radietta a forma di scatola che tenevo sotto il cuscino. Immaginavo un capitano vero, con tanto di barba, cappello e timone che, ritto sulla tolda della nave, leggeva agli ascoltatori le sue misteriose informazioni: Libeccio, Forza 8, Stretto di Sicilia, 10 nodi, Mar Libico. In quel limbo tra sogno e realtà bastava solo aspettare sotto le coperte: mamma e papà si sarebbero svegliati, avrei fatto colazione e infilato la cartella, pronta per affrontare una nuova giornata. Magari il famoso libeccio avrebbe soffiato proprio quel giorno, chissà
Dalla voce professionale del bollettino di Radio Rai sono passati decenni e adesso in quella scatola ci lavoro. E così ho finito per amare anche la radio che non va in onda. La lotta al montaggio per un minuto irrinunciabile, il turno di registrazione che salta, le riunioni di redazione, la soddisfazione di una sfumata” giusta o di un taglio” impercettibile, lattesa di un ospite che non arriva e intanto la diretta procede inesorabile verso il precipizio… Amo fare la radio, costruire una scaletta, organizzare gli speciali dai festival o da posti meno fotogenici come una mensa per i poveri, un carcere, un quartiere difficile. 
Un giorno di qualche anno fa chiamò un ascoltatore per partecipare alla diretta. Nulla di nuovo, la radio non è forse per chi lascolta? Cosa c’è di straordinario in una telefonata per rispondere a un quiz? Eppure quel giorno, un giorno come tanti di qualche anno fa, quando lascoltatore fu collegato per andare in onda, dentro di me scattò qualcosa.
Da dove chiama, Michele?” gli fu chiesto. Da un alpeggio, faccio il pastore, rispose. Cera poco tempo, il segnale orario incombeva, il conduttore raccolse la risposta e lo salutò. Da un alpeggio. Un pastore. Un pastore che sente la radio, mi ripetevo, da un alpeggio. Uno che ci telefona e dice: la risposta per me è Autodafé di Canetti, mentre in sottofondo si sentono belati e campanacci. Avrei voluto piantare tutto e andare lì in Piemonte, tra quelle montagne che dun tratto mi sono apparse davanti agli occhi ascoltando il signor Michele. Volevo conoscere la sua storia, capire chi fosse, come fosse arrivato lassù in quellalpeggio e da dove. Ecco, è stato allora che ho scoperto per la prima volta cos’è un ascoltatore, intendo la persona ascoltatore in carne e ossa. Uno che poggia la radio sempre sullo stesso sasso perché solo lì trova la sintonia giusta, come potevo non andare a conoscerlo? E così ho copiato il suo numero di telefono e lho messo da parte, senza sapere ancora cosa farne.
Fino a quel momento per me gli ascoltatori erano una comunità astratta. Grazie a Michele ha cominciato a girarmi in testa unidea diversa: potevo andare io da loro, provare a restituire un corpo allorecchio, farli immaginare, farli sentire, renderli visibili. Conoscerli nelle loro case, tra i loro affetti, raccogliere le loro esperienze di vita, magari proprio davanti agli apparecchi dai quali ci ascoltano ogni giorno. Dopo Michele di Mondovì ho incontrato Stefano, un ex sacerdote ora portiere di uno stabile romano, e Ivo, anche lui romano, un vecchio rugbista amante della rassegna mattutina dei giornali, e Adriano a Castelfranco Veneto, e Armando che insegna scacchi in una scuola media di Castellamare di Stabia, per me un vero samurai, e Valeria, di nuovo a Roma, e poi Angela e Angelo di Andria, e Paola a Brescia, Lisa e Francesco a Levico Terme, e Vinni ad Alghero. Ho provato a forzare la loro ritrosia, a farli parlare. Forse, chissà, ho imparato la loro larte: drizzare le antenne, mettersi in ascolto. E’ stato un lungo viaggio, per certi versi ho compiuto un giro completo: è come se fossi tornata ad ascoltare la mia radietta a forma di scatola.
Continuo a pensare che la radio contribuisca non solo a raccontare il mondo ma anche ad ascoltarlo, nel suo rumore e nei suoi silenzi. In un'antica poesia giapponesequalcuno poggia lorecchio sul tronco di un albero per sentire il germoglio, è unazione così bella. Attiene al rispetto, allattesa, comporta tolleranza, riflessione. E’ una disciplina, e come tale richiede tempi lunghi, meno contratti. Così, anche se intorno tutti strepitano, resiste una comunità invisibile e ricchissima, unarcadia di persone capaci di ascoltare chi sta dicendo qualcosa.
("Ascoltatori. Le vite di chi ama la radio" edizioni add)

giovedì 12 settembre 2019

Primo giorno di scuola


Se anche mio figlio, ieri, col libro di grammatica
greca aperto sul tavolo, sorridendo confuso tra il desiderio
di non dispiacermi e il pragma
della cosidetta realtà, chiede "A che serve?"
io dico a voi, ragazzi: la bellezza
è gratuità del gesto,
come quando vi amate,
è il momento preciso in cui un essere umano
si stacca da terra,
s'inginocchia e disegna
un toro
sulla parete
della sua grotta,
a Lascaux. Così,
senza motivo. 
O ha scoperto il modo
per non essere solo
- e ha scoperto il modo
per non morire.
("Risposta per Arturo" di Maria Grazia Calandrone) 

Mi sarebbe piaciuto avere una maestra come Maria Grazia Calandrone. Avrebbe fatto lezione con serietà, usato le parole giuste, pacate, per far capire alla classe quel toro sulla parete, e nessuno le avrebbe ridacchiato dietro o tirato fuori il telefonino, sì lo so non c'erano telefonini quando andavo a scuola io, ma non importa, nessuno le avrebbe sparato sulla schiena palline di carta da una Bic-cerbottana.
Settembre sa di progetti e di matite temperate e questa poesia vuole essere il regalo di un buon inizio per chi torna a scuola come alunno o come insegnante. E se la poesia civile riesce a fondersi con versi d'amore come in questo suo libro, allora, ogni settembre della vita sarà più dolce.