martedì 18 ottobre 2016

Libellulissima

Una libellula 
sul cappello.
Cammino
(Santōka 1882 -1940)





Me ne vado in giro, libellula sul cappello, con Santōka. Cammino. Viaggio - e vedo gente! - e sono pure vezzeggiata, viziata e intrattenuta.
Eccomi qui, con la lista delle cose da non dimenticare della tappa siciliana che si è svolta tra Palermo e Catania. Sono tante, spero di raccoglierle tutte, però prima una premessa sui miei ospiti librai, il gruppo di "Modus Vivendi" di Palermo e di "Vicolo Stretto" di Catania: senza il loro lavoro, in luoghi dove non si legge quasi e dove le persone le devi attrarre in libreria e pure sedurle, dove insomma combatti giorno per giorno per una pagina letta, senza di loro, dicevo, sarebbe stata una trasferta diversa.



Con Fabrizio Piazza ci conosciamo sulla soglia del negozio dove lavora. Di poche parole, barba bionda e occhi azzurri, un palermitano compassato ma empatico sia con me che con i suoi clienti che cura uno per uno (altro che Orto Botanico!). La libreria sembra piccola ma è capace di aprirsi come una trousse, al volo spariscono le scaffalature e appaiono sedie e microfono, capace di trasformarsi in un luogo ovattato e protetto. Alle pareti vetrine di monili indiani e stoffe colorate. Il gruppo di lavoro, Marcella e gli altri, si aggirano controllando che sia tutto a posto.





Di "Vicolo Stretto", la libreria catanese, ne avevo sentito parlare sui giornali. Le due sorelle libraie sono quelle che in vetrina hanno affisso il foglio con su scritto qualcosa del tipo "qui non vendiamo il libro di Salvatore Riina". Mica poco. Sono belle, allegre, piene di entusiasmo e di idee tra cui quella di coinvolgere la loro città, Catania, in un festival letterario.
Maria Carmela è, delle due, quella con cui ho speso un po' più di tempo insieme. Una forza della natura, lei, le libellule, le acchiappa al volo.
Parla, sorride e nel mentre organizza il lavoro dei volontari, con fermezza e rispetto, monta e rismonta il suo festival alla prima edizione. Ha bellissimi occhi, puntuti. Due pezzetti di lava.
E a proposito delle bellezze locali, ecco la lista di Palermo: 

- la visita a Palazzo Branciforte, dal nome leggendario come quello di un personaggio di un cunto, quello con i pupi di Mimmo Cuticchio che rumoreggiano legnosi e piumati. Le sale cinquecentesche, prima nobiliari poi deposito del banco dei pegni dei poveri, quello detto dei "panni vecchi" e oggi restaurate da Gae Aulenti.
- lo struscio serale, gli incontri, gli amici
- L'Archivio di Stato che è stato prima sinagoga, poi moschea. Oggi solo luogo di libri, tutti, e non di uno solo sugli altri.
- le foglioline del liberty che si fanno largo nel cemento
- Patrizia, solare come il suo cognome
- Luisa che mi ha regalato 155 chilometri per raggiungermi

E quella di Catania:

- Il celestino a sorpresa del cortile di Palazzo Platamone
- la palma, dritta e con le foglie lucide, in quello splendido dell'università
- il mercato del pesce
- il fiume, dentro il barocco della piazza, fiume che non è di marmo
- il teatro Bellini di notte con la luce dentro e fuori buio
- la colazione con granita di mandorle e brioche e il mare 

E poi tutti quelli che mi hanno raggiunto e "fatto faccetta" (nel senso di complicità) quando parlavo.
E ancora: tornando a casa, all'aeroporto di Catania, ho conosciuto un ragazzo. Di "Mito Assoluto" ve ne parlerò domani. La lista è troppo stretta per lui.  







  

lunedì 17 ottobre 2016

Guerra in Siria

Cadono le foglie
dagli alberi
cammino senza tregua 
(Santōka 1882-1940)


(Pini di Aleppo)

sabato 15 ottobre 2016

Buon sabato

Freschezza d'estate
qui me la prendo comoda
e faccio la siesta
(Bashō 1644-1694)

Estate resta qui ancora un po', fermati! Con i tuoi tempi morti, i telefonini che squillano di meno, gli amici, che sì ci sono ed è bello, ma va benissimo che siano ancora in giro. E ora legale, resisti! E soprattutto resistete ancora siesta pomeridiana, ore di ozio utili per leggere e pensare, solo pensare, alle cosa da fare.
Quelle sane ore da Paperino, naso schiacciato contro lo schienale imbottito del divano, e coda in posizione OFF verso il resto del mondo...

(Estate da sogni)

giovedì 13 ottobre 2016

NOBEL

Ai raggi del tramonto

una farfalla
vola sulla città
(Takarai Kikaku 1661-1707)


In occasione dei suoi novantanni ho avuto il piacere di intervistare per Fahrenheit Dario Fo.
Gentile, lieve, pronto alla conversazione e a divagare, parte dal libro appena pubblicato per arrivare a quello che per lui è il vero cuore delle cose: la curiosità come molla per procedere. 
Farfalla vola sulla città.
Al Re dei Guitti, a questo "mistero buffo" della cultura italiana che ha la parola "dio" già nel suo nome e cognome (farò dio) - presa in giro onomastica in carne e ossa - ecco, proprio a lui, a Dario Fo, consegnerei un secondo Nobel per la gioia di vivere che ancora oggi trasmette a novanta anni. 
(clicca e ascolta QUI)
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E oggi? Oggi hanno assegnato il Nobel per Letteratura 2016 a Bob Dylan. 
Fino a questa mattina ero convinta se la battessero ancora una volta Don Delillo e Philip Roth.
Il primo, Delillo il freddo, scrittore dallo stile gigante ma dal fisico che appare così comune, ordinario. Lo ricordo in una via del centro di Roma,  in occasione di un festival di Massenzio di anni fa, il giubbino di tela leggero, i capelli bianchi e sottili, non alto. Stringeva a sé una cartellina arancione, forse conteneva l’intervento che avrebbe letto la sera,  mentre tutti gli altri intorno parlavano parlavano, sembrava cortesemente assente, attaccato a quel rettangolo arancione. Sembrava un amministratore di condominio. Da allora, in casa lo chiamiamo il Ragioniere. Del resto chi ha ragionato meglio di lui dietro a un dettaglio nello spazio di una pagina?
E poi Philip Roth, altra pietra miliare della mia libreria. Forse lo amo ancora di più di Delillo. La sua chiarezza che corrisponde a cervello e viscere, alto e basso, pulsioni e vertici. Roth e la sua giacca di tweed, i suoi capelli arruffati, le labbra sottili. Il suo viso da uccello mi guarda da dietro la mia scrivania in redazione da un ritaglio di giornale fotocopiato.
Sì, parteggiavo per lui, lo ammetto. E sono andata così avanti,  al punto di immaginarli a telefono subito dopo l’assegnazione del Nobel a uno di loro:
"Ciao Philip"
"Ciao Don"
"Congratulazioni, caro"
Ma il mio sogno vola nel vento mentre tutti cantano qualcosa che mi sfugge. Non capisco.

(Everyman)



mercoledì 12 ottobre 2016

Una festa da stadio

Questo autunno
perché mai devo invecchiare?
Uccello tra le nubi
(Basho 1644-1694)


Grande festa per Anderlini Mario, il partigiano, detto Franco! 
Bologna ha appena festeggiato i suoi cento anni e io mi unisco agli auguri. Ed è anche mia una nota che vola lassù, di quel "bella ciao" che hanno intonato ancora una volta tutti in coro.
Cliccando QUI leggerete la sua biografia. Come non conoscerla, come non onorare questo vecchietto sorridente, la cui foto vedo tra le notizie semi nascoste, quelle più in basso - e che di solito si saltano - nella versione on line di un quotidiano. Scorrendole si incappa anche nelle cronache da stadio, nelle foto, a dir poco irritanti, della tifoseria che sbraita durante Israele-Italia  e si sbraccia nel saluto romano (Notizia QUI)
Ma torniamo alla festa che è meglio, anzi, aiuta a mandare giù rospi del genere.
E torniamo alla storia di Mario Anderlini, alla sua beffa, quando nel 1945, giovane e forte, si finse morto e si stampò da solo il ricordino funebre in memoria, appena seppe che gravava sulla sua testa una taglia. E che ebbe la meglio "in quel di Piumazzo e nello scontro di Levizzano intrepidamente e vittoriosamente sostenuto contro forze nemiche dieci volte superiori per numero". 
Cari miei, finora nessuno ce l'ha fatta contro Mario detto "Franco",  nessuno se l'è portato via e seppellito all'ombra di un bel fior. Nessuno ce l'ha fatta!
A "Franco", che era uno contro dieci, alle sue mille vite, ai suoi cento anni. 
Auguri a te (e a noi)! Evviva!


(bianco rosso e verde)