mercoledì 21 novembre 2018

Piccola città



Il metodo dev'essere purissima carne
e non condimento simbolico,
visioni reali & prigioni reali
come si vedono di quando in quando.

Prigioni e visioni presentate
con rare descrizioni
corrispondenze esatte a quelle
di Alcatraz e Rosa.

Un pranzo nudo è naturale per noi,
noi mangiamo sandwiches di realtà.
Ma le allegorie sono tali lattughe.
Non nascondere la follia.
("Il metodo dev'essere purissima carne" di Allen Ginsberg)


Una poesia che unisca il metodo alla dissipatezza, che mescoli l'ordine con il caso, può essere stata concepita solo da uno dei padri del beat, il mentore di tutti quei giovani degli anni settanta un po' maliardi, un po' sregolati e molto, molto fatti.
Il metodo dev'essere purissima carne
e non condimento simbolico
Si sa, il metodo storiografico impone ricerca e dati, sono le emozioni e la loro purissima carne a scombiccherarli. Ed è ben tenendo presente questo che ho letto Piccola città, il volume che vive di un'intima alternanza: storia e biografia, cervello e cuore. I campi restano distinti, è l'indice stesso del libro a correre in aiuto dell'autrice, da una parte storica dall'altra figlia di un eroinomane, di qua i dati, con bibliografie, numeri e analisi, di là la vita. Da una parte la Storia, dall'altra le storie. 
Ma è quando nella storia entra la droga che si mischia tutto e ogni "piccola città" si squassa. Si sgretolano mura, cedono pavimenti, intorno trema tutto e chi sopravvive allo sfacelo deve rimettere in ordine. Lo riconosci subito chi ce l'ha fatta, è colui che gira, luminoso e abbacinato, mettendo insieme coccetti, recuperando pezzi di vetro colorato con scientifica cura, senza mai farsi male. Perché chi sopravvive al crollo, subìto o procurato che sia, non si ferisce più.






  

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