giovedì 31 agosto 2017

Il falco nella pioggia


Affogo nel tambureggiante campo, estraggo
un calcagno dopo l’altro dall’ingorda bocca della terra,
dal fango che mi afferra ogni passo alla caviglia
con la tenacia della fossa, ma il falco

libra in alto senza sforzo l’occhio fermo.
Le sue ali tengono il creato in una imponderabile quiete,
ferme come un’allucinazione nell’aria che scorre.
Mentre il vento percuote a morte queste ostinate siepi,

mi prende gli occhi, mi toglie il fiato, mi afferra il cuore,
e la pioggia mi incide la testa fino all’osso, il falco regge
il punto adamantino della volontà che guida come un nord
la resistenza del naufrago: ed io,

stordito, ghermito boccone di sangue che conta l’ultimo istante
nelle fauci della terra, tendo al supremo
fulcro della violenza dove posa il falco.
Che forse incontra quand’è l’ora la bufera

proveniente dalla parte sbagliata, sopporta, scagliato a testa in giù,
che l’aria gli cada dagli occhi, le pesanti contee gli crollino addosso,
l’orizzonte lo intrappoli; e, sfracellato quell’occhio tondo
d’angelo, il sangue del cuore si mischi alla mota
("Il falco nella pioggia" di Ted Hughes)


Non sembra la cronaca di un viaggio da continente a continente, non vi appare come la fuga di un migrante verso una possibile salvezza? E che poi, finalmente giunto, tra noi, finirà per dibattersi nella medesima angoscia? 
All'ombra di quei palazzoni del Tiburtino III a Roma solo ieri pomeriggio o tra gli scorci pittoreschi di Treviso, in un campo di pomodori, in una trasmissione televisiva di una retequattro qualsiasi o sulla spiaggia tra gli ombrelloni e il mare, nel tambureggiante campo, estraggo un calcagno dopo l’altro dall’ingorda bocca della terra, dal fango che mi afferra ogni passo alla caviglia con la tenacia della fossa.
Ovunque la sua fuga continua, e con lei cresce la nostra vergogna.


(Occidente al tramonto)

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