mercoledì 29 giugno 2016

Contadinismo

Giorno dopo giorno
nello stesso luogo
lavora il campo
(Shiki 1867-1902)



Scrivo questo post dopo il concerto di ieri sera di Vinicio Capossela.
Un campo di grano "cresceva" sul palco, lunghe spighe abbellivano il copricapo del musicista che, come una antica maschera bucolica studiata da Ernesto De Martino, cantava di muli e Filomene, di ammuri a cui dissetarsi come da funtane, di campi d'estate.
Anche il pubblico sfoggiava attributi del santo cantante, cappelli di feltro dalla foggia studiatissimamente antica, scialli drappeggiati su gonnacchione con le balze adatte solo per ballare sull'aia, cinturoni di cuoio. I tatuaggi sui colli ancora bianchi, su braccia scoperte da magliette tagliate al punto giusto.
Mentre si agitavano gli smartphone per postare su FB questa musica volutamente rurale, che sa di mungitura e cicale, di taverne e ostesse, mi chiedevo: perchè?
Perchè tutta questa voglia di folk (cosa esiste di più reazionario nel 2016), di ancestrale, di san giovanni che sa di streghe e pozioni d'ammuri? Vogliamo ripristinare gli aborti col ferro da calza, i padri-padrone di Gavino Ledda? Cosa c'è di più fuori luogo del "popolare"? Cosa significa, cosa significa oggi? Quali sono gli interlocutori? Chi mai siete, portatori di antiquati cappelli che chattate mentre lui canta del "mulo da bestemmiare"? 
I contadini, quelli di una volta, sono morti, di malaria o schiacciati dalla modernità, vivevano in antri di disperazione e arretratezza culturale e se esistono alcuni sopravvissuti a tutto questo, perché cantarli? Oggi sono laureati e imprenditori, giovani e colti.
Perchè siamo diventati discepoli di questo contadinismo artificioso?

Torno a casa. Domani posso svegliarmi senza il gallo, andrò al supermercato e amo la mia vita lo stesso. E gli alberi, ma questo lo sapete già.


(Piantagione urbana)



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