venerdì 22 settembre 2017

L'albero delle idee


Caduti i fiori -
tra i rami degli alberi
il tempio appare
(Yosa Buson 1716-1783)


La forza delle radici, la potenza della linfa, lo slancio dei rami, la ricchezza dei frutti, la maestosità della chioma. La sacralità di un albero. Qualcosa di paterno e caro mi avvolge quando tocco, col palmo bene aperto, il legno del tronco. Anche quello di un albero cittadino, anche quello di un'acacia storta a bordo strada.

Due anni fa mi venne in mente di portare a Matera, in occasione del Festival di Radio3, un gesto: piantare un albero. Ci procurammo un arbusto, una zolla di terra e un po' d'acqua e celebrammo il piccolo rito in memoria dell'archeologo siriano Khaled al-Asaad tutti insieme, con gli ascoltatori che ci hanno raggiunto per l'occasione e con quelli a casa. Una cerimonia piena di vita mentre la marcia lunga e commovente di profughi continuava, come adesso, passo dopo passo, il suo cammino in cerca di pace.
Sì, troppi sono i fiori caduti e il poeta indica la luce tra i rami, ci dice di guardare lì, laggiù. Di guardare lontano. Ci si prova...
Per noi fu un bellissimo momento di condivisione non solo radiofonica e certo non vi nascondo il mio orgoglio a ripensarci oggi...
E allora stamattina sono tornata al Museo Archeologico di via Ridola per vedere come stava il "mio" alberello. Il pistacchio ha resistito a gelate e siccità, penso, e scatto la fotina per pubblicarla qui, e verdeggia in un bel chiostro protetto da bianche pietre materane. Mi sembra stia bene, penso, esile ma resistente e, anche se non vedo nessuna targhetta che ricordi l'evento, mi appare come il più significativo, il più bello tra tutti gli altri. E il pensiero torna al professor Khaled al-Asaad ucciso a Palmira il 18 agosto 2015, morto difendendo i valori culturali in cui credeva. 
E davanti al pistacchio  resistente mi è venuta un'altra idea ancora, un'iniziativa che potrebbe riguardare tutti voi che partecipate al Dailyhaiku così attivamente e con tale sensibilità da renderlo un posto unico nella rete. Una piccola idea per lo Ius Soli. 
Se ve la dico, mi aiutate a realizzarla? Ho bisogno di una mano!

(Il pistacchio di Khaled al-Asaad)


giovedì 21 settembre 2017

Les garçons sauvages



Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l'animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato.
Ah l'uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l'ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!
Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti:

ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.


Succede di vedere un film e pensare che sia bellissimo o che il regista sia un genio, succede. Ma vedere un film che non avevate mai visto prima, un film nuovo, anzi lo dico meglio, una "cosa" nuova, se succede, è bellissimo.

Ne Les garçons sauvages, il regista Bertrand Mandico racconta la fase conturbante, e maledetta, della pubertà. Quanto durerà, mah, devo ricordarmelo, un paio di anni?, il periodo che divide "quel" mondo ragazzino di paure e proiezioni, spesso tumultuose e raccapriccianti, da quello dove un giorno atterreremo da adulti fatti e finiti e completi di tutto? 
A Mandico interessa proprio "quel" momento ovvero quella costruzione intima, ma pubblica, di un'identità sessuale. Il film rappresenta, nel senso di teatralizza, l'essere umano mentre è in balìa di tempeste di desiderio, fremente per carezze di tipo nuovo e spaventato dai genitali che gli sbocciano sul corpo come piante carnivore. 
Paura e attrazione, femminile e maschile, seduzione e raccapriccio diventano gli attori di una piece onirica dove il passaggio alla consapevolezza della propria identità sessuale è violenza pura. Una violenza carnale. 
E i ragazzini protagonisti lo sanno bene
Indimenticabile la scena d'amore tra il temibile Capitano e la dottoressa Severine, il loro gioco di amore, e di lotta, e l'eccitazione di uno dei ragazzi mentre li guarda. 
O ancora la spiaggia livida, il colore psichedelico che a spruzzi irrompe nell'isola morbida e voluttuosa e che tutto contiene come un misterioso grembo o la malìa di quell'unico seno nascosto in un petto virile...

Mandico ci rappresenta sospesi nella fase anfibia tra la terra e l'acqua del nostro sviluppo sessuale. Siamo mozzi impudenti e smaniosi, marinai senza paura del viaggio che gli interessa. L'avventura sarà pazzesca, si dovrà andare avanti anche quando in mezzo alle gambe, o sul petto, succedono strane cose. 
Ci sono i nostri sogni, luoghi dove ci viene concesso tutto e tutto ci concediamo, e golette in balìa dei venti come quelle dei viaggi raccontati da Verne o di Kipling. E a coloro che sono arrivati, quelli che ce l'hanno fatta, agli approdati, rimangono l'ombra bucata da occhi ardenti e i fantasmi di esseri pelosi e succulenti.
Veniamo precipitati nel buio di Fussli (pittore amico degli incubi, di cavalli e delle streghe di Macbeth che nel film hanno ruoli non secondari) o nei colori saturi di Dalì. Ci impaniamo come nei peggiori incubi sadomasochisti di Bunuel o di Fassbinder. 
O solamente ci si offre la possibilità di carpire quelli di nostro figlio dodicenne che dorme, non vi sembra tranquillo anche a voi?, nella sua cameretta. E che erano anche i nostri.


Codesto solo oggi possiamo dirti: 
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.


(ciò che non siamo)

mercoledì 20 settembre 2017

San Gennaro alle primarie


Signore
annientami
non mi lasciare più solo
non ora
in quest'ora
non nel declino della luna
e non mio Dio
nell'ora estrema
("In hora mortis" di Thomas Bernhard)


La tristezza che si prova guardando Di Maio che bacia la reliquia di San Gennaro (QUI) è infinita come la fede del popolo cinquestelle (comete) per un figlio che agisce per conto del padre.
Amen.


(in hora mortis)



martedì 19 settembre 2017

Ted


Immagino la foresta di questo momento di mezzanotte:
altro è vivo
oltre la solitudine dell’orologio
e questa pagina bianca dove si muovono le mie dita.
Attraverso la finestra non vedo stelle:
qualcosa più vicino
sebbene sia più profonda entro l’oscurità
sta penetrando la solitudine:
freddo, delicatamente come la neve scura,
il naso di una volpe tocca un ramoscello, una foglia;
due occhi servono un movimento che adesso
e ancora adesso e adesso e adesso
depone chiare tracce sulla neve
tra gli alberi, e cautamente un’ombra
storpia si trascina tra ceppi e nell’incavo
di un corpo che ha l’audacia di giungere
attraverso radure, un occhio,
un verde fondo e dilatato,
brillante e concentrato,
che se ne viene per i fatti suoi
sino a che, con improvviso acuto caldo puzzo di volpe
non penetri la buca nera della testa.
Ancora senza stelle è la finestra; batte l’orologio,
la pagina è tracciata.
("Pensiero volpe" di Ted Hughes)


Ted Hughes e Sylvia Plath, poeti
Ted Hughes e Sylvia Plath, sposi. 
Come quando si contano i parenti a un matrimonio, mi sembrano molto più affollati i banchi dietro la sposa, sì, tra i due si preferisce sempre Sylvia.
E' a Sylvia che si è devoti, è per lei che si parteggia, una diva rotta, bella e disperata. Ed è sulla sua ara che celebriamo i femminismi e le sconfitte, siamo con lei, lei simbolo di forza e di fragilità, capace di incarnare tutto e il suo contrario. 
Cara Sylvia senza pace e che ci pacifichi, scusami, scansati che oggi celebro Ted. 
Ted dalla vita chiacchierata e luttuosa. Ted sfortunato in amore. Ted lo stronzo, il marito traditore. Ted il grande poeta, che fa tornare a galla cose sepolte e pensieri-volpe.
... e cautamente un’ombra storpia si trascina tra ceppi e nell’incavo di un corpo che ha l’audacia di giungere attraverso radure, un occhio, un verde fondo e dilatato, brillante e concentrato, che se ne viene per i fatti suoi...
E come sfogliando un vecchio album, immagino foto leggendo poesie. Gli occhi supplicanti di Sylvia, il ciuffo rockabilly di Ted. Giro una pagina ancora. Ma i poeti non vedevano lontano? Chissà se avrebbero proferito quel "sì"... 

Sullo scaffale della mia libreria li ho messi vicini ma non so se ho fatto la cosa giusta. 


(Scene da un matrimonio)
























  

lunedì 18 settembre 2017

Solo con gli altri

Questa solitudine
verresti a condividerla?
Foglia di paulonia
(Bashō 1644-1694)



Della paulonia, e delle sue foglie, so poco. 
Allora guardo su internet. Scorro le foto: il portamento maestoso, i fiori lilla e bianchi che sembrano vellutati e carnosi dentro la chioma, "profumatissimi", dice wikipedia. 
Il suo legno è fonoassorbente, perfetto per il koto, lo strumento a corde giapponese, ed è un ottimo isolante termico. E' usato, continua la paginetta, in ebanisteria; sono di paulonia i mobili che custodiscono i kimono e i geta, gli zoccoli tradizionali. 
Un legno musicale, robusto, flessibile, caldo, protettivo. E che sa di passi per casa.

Un haiku-albero come dichiarazione d'amore e progetto di vita.

(cercando la foglia giusta)

venerdì 15 settembre 2017

Yoga casalingo


La cucina è gremita di oggetti
e veramente può sembrare un bosco.
Ogni pianta è al suo posto
sorge là dove è messa
con pazienza infinita riposa.
Pensate alle cose
alla flora
metallica delle posate.
(Valerio Magrelli, da“Nature e Venature")


Casa.
Metto il sale, grosso, nella lavastoviglie; il suo sciacquio liberatorio ed è come se digerissi meglio anch'io. 
L'orecchio lo affino a quel "tac" del programma numero 12, lavatrice, la manopola che scatta appena terminato il ciclo "delicati". Assoluto. 
Il frigo raffredda e vibra. Smette di vibrare. E ricomincia. Inspiro. Espiro. Vibrazione.
Yogini casalinga, scrosto una briciola vecchia per festeggiare l'armonia raggiunta, corpo e anima.
"Sarebbe bello cucinare qualcosa al forno" penso "inondare la casa di profumo di buono e aspettare amici per cena". Sì. Quando qualcosa funziona e va come deve andare, mi sento meglio anche io.
Inspiro. Espiro.
Quel barattolo di vetro trasparente? Espiro. Può sempre servire. 
Domani mi compro un'asse da stiro nuova, con quell'affare per le maniche, leggera e pieghevole.  
Lì fuori, ora, a un metro dallo zerbino, il caos.
Inspiro. 
Sono pronta per uscire.


(Saluto al sole)












giovedì 14 settembre 2017

Stupro consenziente


Vieni, entra e coglimi, saggiami, provami...
comprimimi discioglimi tormentami...
infiammami programmami rinnovami
Accelera... rallenta... disorientami.

Cuocimi bollimi addentami... covami.
Poi fondimi e confondimi... spaventami...
nuocimi, perdimi e trovami, giovami.
Scovami... ardimi bruciami infiammami.

Stringimi e allentami, calami e aumentami.
Domami, sgominami poi sgomentami...
dissociami divorami... comprovami.

Legami annegami e infine annientami.
Addormentami e ancora entra... riprovami.
Incoronami. Eternami. Inargentami.
(da Medicamenta di Patrizia Valduga)


Mi fermo sulla parola "consenziente". Gergo da ufficio, da verbale con grammatica stentata battuto a macchina nei commissariati, ma che suggella un dubbio: ma ti pensi così fico?
Tale da far gridare a chiunque si imbatta nella tua irresistibile persona, magari dopo essere scampata a una difficoltà, magari rientrando a casa di notte mezzo ubriaca: Vieni, entra e coglimi, saggiami, provami... comprimimi discioglimi tormentami... infiammami programmami rinnovami. Accelera... rallenta... disorientami. ?
Vorrei proprio vederlo in faccia, questo carabiniere di Firenze così fascinoso e seduttivo, ammaliante come una divinità greca.


(Uccello di guardia)