venerdì 3 marzo 2017

Passeggiata minuscola


Il tuo più tenue sguardo
facilmente mi aprirà
benché abbia chiuso me stesso
come dita  
sempre mi apri petalo per petalo
come la primavera fa
toccando accortamente
misteriosamente la sua  
prima rosa  
e io non so quello che c’è
in te che chiude e apre
solo qualcosa in me
comprende che è più
profonda la luce dei tuoi
occhi di tutte le rose  
Nessuno… neanche
la pioggia ha…
così piccole mani



Di E. E. Cummings, anzi, ricomincio. 
Di e. e. cummings amo molto quel piccolo suo snobismo di firmare il foglio usando il minuscolo. 
Mi piace molto, come mi piace la mia minuscola passeggiata di quasi primavera.

Una mezzora a piedi sulla pista ciclabile che mi impongo ogni due o tre giorni - poi mi mancherebbe troppo il motorino - per raggiungere la redazione e stanarmi dalla pigrizia.
Procedo tra il fiume e i runners non troppo velocemente, senza correre. Scorro.  
Un anziano, da solo, passeggia serio con il giornale sotto braccio, pronto per squadernarselo sulla panchina dopo quel cespuglio. Due donne di età indefinibile, lanciate nell'eternità e fasciate nelle tutine fluo, muscoli scolpiti, fanno stretching sul muretto. Un cane annusa qualcosa di imperdibile nell'aria mentre un badante filippino spinge la carrozzina del vecchio pallido che sorride fisso. Una ragazza rom, gonna lunga e quello sguardo, ciabatta vicino un cassonetto e con un ferro lungo aggancia qualcosa. 
Ecco il casottino delle bici a noleggio con i cani dallo sguardo dolce alla catena, ecco nel cielo la "v" dei pappagalli, la vedo che attraversa la sponda e poi la riattraversa ancora, ascolto lo squittio isterico che le fa da sigla, sulla riva un gabbiano e un coro di cornacchie perlustrano i rifiuti che il fiume regala. Una scarpa da ginnastica, un giocattolo, una ghiotta cartaccia di patatine... Scorrono i due ragazzini abbracciati e che, da come si sbaciucchiano, oggi non andranno a scuola. Lei ride, lui ha il ciuffo altissimo e le fa i dispetti per dire ti amo.  
La sento addosso la mia quasi-primavera romana, la annuso, mi scaldo al suo quasi tepore.
Non corro. Scorro. 
Sono un fotogramma di una lunga pellicola che scorre, scorre, scorre e ci sono anche io nel mio piccolo
(quasi primavera)

      







  


giovedì 2 marzo 2017

Oh Romeo, Romeo...

Il ladro fuggito
ha lasciato soltanto
la luna alla finestra 
(Ryōkan 1758-1831)



Ancora un primato, ma di quelli nostri. Pare che la tangente di questo nuovo tizio ora su tutti i giornali, tale Romeo, sia stratosferica, il più grande appalto d'Europa.

Chiudo il giornale e rileggo la raccolta di haiku di Ryōkan come cura disintossicante. Da molti considerato il San Francesco giapponese - l'essersi ritirato a vita monacale abbandonando ricchezza e famiglia, l'atteggiamento santamente folle, l'amore per la natura e la semplicità - il buon Ryōkan compose centinaia di versi  alcuni, per nostra fortuna, sono stati anche tradotti in italiano.
Esempio di frugalità e di equilibrio zen, Ryōkan dimorava in una capanna talmente spoglia che un  ladruncolo, in giorno lontano nel tempo ma racchiuso in haiku trasparente, l'unica cosa che vi trovò... fu la luna alla finestra.

(patrimonio personale)








mercoledì 1 marzo 2017

La vittoria di Trento


O come quando Alessia
va con la sabbia in mano
a bagnarla nel mare
e un attimo si siede in poco d'onda,
torna di corsa e s'asciuga... la faccia
e ride anche il gabbiano che ha lasciato
proprio lì la sua traccia
(Giorgio Orelli da "Il collo dell'anitra")


Versi come una foto qualsiasi, se non fosse quella di un'estate di Giorgio Orelli, poeta grande, e non tanto noto, poeta che sembra parlarci direttamente, guardandoci negli occhi, con sensibilità paterna. 
Versi che sanno della vita che viviamo e che la osservano senza schiamazzi.
Uno scampolo di spiaggia e sole che dedico alla coppia omogenitoriale che ha vinto la sua battaglia presso il Tribunale di Trento che ha appena riconosciuto loro il diritto di essere genitori a tutti gli effetti. Legalmente riconosciuti. (leggi notizia QUI)
Auspico la possibilità di scegliere. 
E ringrazio coloro che lottano ogni giorno per i diritti civili e che amano tanto la vita come DJ Fabo e la coppia dei padri trentini.


(Nei panni degli altri)






martedì 28 febbraio 2017

La scelta

Eccomi
dove il blu del mare
è infinito
(Santōka 1882-1940)

Rileggo l'haiku di Santōka, quell'eccomi. Scelto tra tutte le altre parole possibili, un eccomi, tanto cercato e finalmente trovato da chi ama, adora, la vita.
Sostengo chi desidera mettere fine a una sopravvivenza troppo dura da sopportare e ammiro Marco Cappato e tutti coloro che combattono in prima linea in nome di una battaglia di civiltà e amore.

(Eccomi)

lunedì 27 febbraio 2017

Piccoli riti

Nuvole fluttuanti
e lo splendore del tempio
si riflettono nell'acqua
(Santōka 1882-1940)


L'Oscar più importante è stato per un attimo assegnato al film sbagliato. 

A quelle nuvole fluttuanti (ukigumo), soggetto per la cultura giapponese più poetico che fisico di qualcosa in perenne cambiamento, dedico questo post. 

Ho passato una bella serata al cinema.
Programmavano "Erbe fluttuanti", film muto del 1934 del maestro del cinema giapponese Yasujiro Ozu, colui che nacque lo stesso giorno in cui sarebbe morto, il 12 dicembre, e sulla sua stele funeraria fece incidere un ideogramma che significa "nulla" eppure, ancora oggi, nel tempo, ogni dettaglio, ogni sua inquadratura sembra riverberarsi negli occhi di chi guarda...
Gli anni trenta erano gli anni del mio amato Santōka, il periodo dei suoi cammini disperati e irrinunciabili per il Giappone. Le misere capanne, la pioggia battente, il sakè consumato a litri per tirarsi su dalle tristezze, l'elemento ironico anche nella povertà più cupa che Ozu rende con il continuo grattarsi per le pulci e inquadrature dal basso. Scene come haiku. I protagonisti, un gruppetto di attori girovaghi che non può fare a meno di andare, andare, andare. Proprio come Santōka.
Il vento, la pioggia, i petali e le foglie fluttuano sullo schermo e un'orchestra dal vivo suona per l'occasione. Fluttuare come stato d'animo e di natura, evanescente eppure così preciso, come un tratto di acquerello (avete mai provato a correggere una pennellata?)
Dopo il film, raggiungo per cena una coppia di amici che si è appena trasferita in una nuova casa. Altro quartiere, altra vita. Attraverso mezza Roma per raggiungerli, passando per strade dai nomi che parlano di acqua che sobbolle e antiche marane. La mia città è fluttuante come il Tevere che l'attraversa, i suoi quartieri multietnici sono diffusi, le luci sempre accese dei piccoli rivenditori di frutta aperti ventiquattrore al giorno le donano un baluginio crepitante e inafferrabile. I condomini sfilano uno dopo l'altro, altissimi, conservando antichi sogni di riscatto economico per nuovi inquilini che vengono da lontano. Fluttuanti.
La cena in una casa nuova: il nostro piccolo rito. Tutto è buono e disposto con cura sulla tavola. Ciotole di metallo e di porcellana, il vino e tanti colori. Ogni oggetto un pezzetto di vita, un viaggio. 
Stanze che parlano di gusti e abitudini ora rinnovati, vecchi mobili che entrano perfettamente in quella nicchia, foto finalmente appese con la giusta luce, spazi scoperti per una nuova vita dentro nuovi volumi che sembravano aspettare qualcuno per essere colmati.
Pieni e vuoti, aria e luce. Una finestra su un piccolo giardino.
"D'estate sarà bellissimo".

(Albicocco a Roma Sud)



venerdì 24 febbraio 2017

Enzo Carella


Spunta dalla radio
una canzone di quando
stavo diventando grande

(Santōka 1882-1940) 



A me, Enzo Carella, scomparso pochi giorni fa, mi ha colpito e affondato fin da ragazzina.


Fu da quel suo debutto a Sanremo in un momento in cui andarci era un po' da sfigati quasi quanto guardarlo. Carella cantava una canzone piena di doppi sensi, le ballerine-sandwich ancheggiavano senza faccia e con enormi cartelli di bocche fluo addosso, la scenografia era solo una scritta: Sanremo 1979. Era tutto in sordina, nessuno si filava nessuno, femministe e benpensanti erano sintonizzati sull'altro canale. Era tutto così disperatamente sotto tono, come il tinello di mia zia da dove lo guardavo. Oggi che i vip affollano il festival e i tweet sibilano i momenti topici in presi diretta, che a lui non lo invitano e io non lo guardo, noi, Carella ed io, non ci siamo mai persi di vista.

Mi ha sempre caricato, è stata la molla segreta dei momenti più cupi. Se lo sento, rifiorisco. Fosse vero, Pierina, L'Odissea, Aspetta e spa, l'Anima pagliacciona a memoria. Tutto De Carellis. Tutto, tutto Carella... Malamore. Tutto.
(Lo so, lo so, i testi sono di Panella, quello del Battisti che in molti hanno detestato, quello che qualcuno chiama poeta  ma io non ci penso proprio, come non chiamerei poeta Dylan, ma l'ho già detto) 
Chi è un poeta? Chi lo fa o chi lo è anche se non lo fa di mestiere?
Ecco. Carella è il mio poetanonpoeta di riferimento. 
Una settimana fa ho cenato in un posto fichetto della stazione Termini, al ritorno di un viaggio. Avevo il borsone, ero sola e stanca, la fame ha prevalso sulla voglia di correre a casa e ho spinto con le forze rimaste l'enorme vetrata del ristorante pieno di hipster affamati alle prese con cibi hipster guarniti ad arte. Come la porta si chiude alle mie spalle, parte dagli altroparlanti una canzone di Carella, a palla. E con quella meravigliosa Amara nelle orecchie, orecchie di tutti, ti ho festeggiato in silenzio, caro Enzo. 
Sai che so fare la tua imitazione quando canto? 
Sai che quell'ascolto, quell'evento raro ed epifanico, diffuso e solitario, è stato il mio satori, caro Santōka?
La voce sotto tono, quasi buttata là, allusiva e infantile, vellutata e a un passo dalla stonatura... 


Dove sei, Carella, me lo chiedo quando ascolto i tuoi pezzi, dove sei finito Carella! la tua voce sprofonda dentro la musica - sempre troppo in primo piano - o ancora più giù dentro le parole delle canzoni che canti, così piene dei riccioli di Pasquale Panella, dove sei, che li canti sempre così bene tutti quei riccioli pannosi di parole, parole e parole.

Dove sei. Senza punto interrogativo, perché Carella è un modo di sparire, Carella c'è e non c'è da sempre. 
Una volta l'ho incontrato e ho potuto dirglielo quanto era bravo. Mi ha fatto un sorriso che saprei rifare, giuro, con quel modo tutto suo che sa di Roma d'estate, di pomeriggi noiosi e infiniti, di tempo perso senza aria condizionata. Di canottiere e spalline, di stravacco e stravizio, di sesso e amarezze. 
La vita è un soffio e Carella è il mio poetanonpoeta.   

(ieri,8 gennaio....mio compleanno...)




  

giovedì 23 febbraio 2017

Sette sorellastre


Giorno per giorno appare il giallo sole sopra il colle.
Bello è il bosco, l'oscuro animale,
l'uomo; cacciatore o pastore.

Rossastro sale nel verde stagno il pesce.
Sotto il rotondo cielo
naviga il pescatore lieve in azzurro battello.

Lentamente matura l'uva, il grano.
Quando silenzioso il giorno declina,
è preparato un bene e un male.

Quando scende la notte,
solleva il viandante piano le palpebre grevi;
sole irrompe da voragine cupa.
("Il sole" di Georg Trakl)



Uno non può mai andare a dormire tranquillo, da ieri sera sappiamo che la Terra ha sette pianeti a lei molto simili. Abitabili? Abitati? Lo stiamo capendo. Certo è che la temperatura è accettabile e una qualche presenza di acqua, per ora ipotetica, permetterebbe una qualche forma di vita (notizia QUI)
Insomma, la solita storia della ricerca di un altrove possibile ha fatto un passo in più.
E così, ne ho "parlato" con Trakl, il poeta maledetto del novecento, dalla vita breve e disperata, colui capace di scrivere in una lettera a Klein la frase: "Io anticipo le catastrofi mondiali".
E proprio nella sua nube torbida - se non stiamo attenti, se non abbassiamo al volo la testa, qualche frammento della sua ossessione ci prende e ci stende - in quello strano firmamento poetico che segnerà tutto il novecento, dicevo, rovisto, tentando di capire le cose primordiali e ultime allo stesso tempo.


Rossastro sale nel verde stagno il pesce.
Sotto il rotondo cielo
naviga il pescatore lieve in azzurro battello.

E così, con i miei umili mezzi e con il mio sguardo mozzo, ora, sì, ora!, riesco a vedere anche io sette Terre una dopo l'altra, in fila!
Belle, tonde, spumeggianti di vita. Pulsanti. Le vedo! Vivide, di blu brillante, con i loro sette mari, con le sette catene montagnose che le increspano, i sette poli sud e i sette poli nord che le rinfrescano, vedo sette caldi equatori. Le vedo! 
E poi, cosa vedi? Sì. Ehm... Vedo sette Trump e sette Putin, sette Salvini, sette Le Pen e sette Grilli. E sette tassisti incarogniti sotto sette stadi della Roma.
Sole irrompe da voragine cupa.
Forse mi drogo come Trakl. O forse no. 


(Rifugio)