martedì 31 maggio 2016

Quasi estate

Torno a vederli
ed i fiori di ciliegio nella sera
sono già frutti
(Yosa Buson 1716-1784)



Qui è quasi estate e godo del primo sole fino a intontirmi.
Le pietre lisce dove cammino sembrano d'avorio, lucidissime, e riverbereranno i raggi, giorno dopo giorno, sempre più implacabilmente. 
I negozi, mezzi chiusi come palpebre, si difendono per tempo con tende scure. Qualche bancarella di collanine indiane, tavolini con tovaglie stirate di fresco che attendono i primi aperitivi serali e gli smartphone da poggiarci su. Sarà una buona estate, arriveranno i turisti? Per adesso nessuna musica lounge nell'aria, ancora solo vociare. 
Il rosso di una cassetta di ciliegie poggiata a terra, una cassetta sola, tra tutto quel bianco e tutto quel blu; il mare è a pochi passi da me.
"Me ne dà un po'?" chiedo al venditore che sovrintende il suo minuscolo commercio. Il vecchio contadino annuisce, sfila dalla tasca una busta di plastica per riempirmela, sta già piegandosi in silenzio sulla sua cassetta. La brezza rinfresca questo inizio di pomeriggio. Guardo la sua mano forte e grossa, un pezzo di ramo che trema, la pelle ispessita delle dita, e guardo il sacchetto che continua a sfuggirgli. Allora acciuffo i manici, tendo la busta ben aperta, e lascio che la riempia. 
Sbuca dall'ombra un ragazzino di circa otto anni con una vecchia bilancia tra le braccia. La poggia per terra e, serio, pesa il mio sacchetto, guarda il nonno e dice che è un chilo.
"Grazie" 
Ho un po' di fretta, devo proprio tornare, prendere il treno.

Alle mie spalle so che quel vecchio sta accarezzando la testa del ragazzino nel modo legnoso e delicato che tutti i nipoti del mondo conoscono e che ricorderanno per la vita. Io sono di nuovo a casa e sto per riempire la fruttiera delle ciliegie del lungomare. 
E sarà quasi estate anche qui.


(sono già frutti)





lunedì 30 maggio 2016

Questi marò

Nella capanna del pescatore
l'odore del pesce seccato
che caldo!
(Shiki 1867-1902)


E i marò sono tornati in Italia. Sono tornati nei telegiornali, uno di loro dichiara serio sotto il cappello della divisa qualcosa che non mi interessa, sfoglio giornali nazionali, gazzette del sud dove nelle foto ali folla sorridente esulta.
Questi marò, che non chiamo nostri (mai sentiti tali), nel cui nome stesso, "marò", intravedo una nota odiosa, sprezzante e sbrigativa, sono tornati.
Spero che non vadano in tv, impettiti, sempre in divisa, a parlare parlare parlare, che non scrivano memoriali che in molti comprerebbero, che nessuna serie televisiva si ispiri alla loro storia, che non sfilino in parate commemorative.
Infine, sperando che Girone non si candidi a sindaco di Roma, che preferiscano essere dimenticati.


(Pesciolini di eucalipto sotto casa)

venerdì 27 maggio 2016

Favour

Luccica nel calore
un cesto di vimini
sotto l'albero di susine
(Akutagawa 1892-1927)


Aspettate! Aspettate, gruppo dei sette economisti più importanti della Terra, per gli amici "G7", aspettate!!! (notizia QUI) Inventatevi qualcosa, fate qualche intervista, un paio di foto ancora - Obama, Merkel, Renzi: cheese! -  una telefonata lunga, prendetevi ancora qualche minuto! Una tartina, qualcosa da bere? Sta arrivando!
Eccola qui, finalmente Favour ce l'ha fatta! Dal suo cesto di vimini, saluta tutti, sorride.
I suoi occhi a stellina cercano quelli degli altri suoi colleghi di G7, luccicano e cercano, luccicano e cercano.
"Piccola Favour, grazie di essere arrivata fin qui! Grazie, dacci una mano tu a risolvere questa questione, la tua esperienza è importante per noi, ci serve tutta! Lui è Obama, vedi? Io sono Renzi, questo è Junker e questa signora che ti tiene in braccio si chiama Angela" "No, brava, lascia stare il naso di Cameron. Piacere Favour, piccolo meraviglioso Favore per tutti, benarrivata! Loro si chiamano Trusk e Trudeau, grazie di essere arrivata qui al G7 dopo tanta fatica! Grazie a nome del mondo!".
Shinzo Abe, padrone di casa, fa uno strappo alla regola (forse l'unico della sua carriera di diplomatico giapponese!), nessun tavolo di lavoro, via tutto, via queste scartoffie che non tutti gli ospiti riescono a capire perchè non sanno ancora leggere, via le sedie, troppo alte. 
Si rimarrà lì, sul prato, ad altezza cesto di vimini. Chi vuole può sedersi sotto l'albero di susine, chi vuole può prenderla in braccio, cambiare il pannolino a Favour. Oppure rimanere in silenzio con lei, all'ombra. 
È sbarcata da poco ma non è stanca, è pura vita luccicante, non ne vuole sapere di dormire.
Sta raccontando la sua storia a tutti, il G7 è diventato G8, la vita irrompe e noi ci inchiniamo a questo regalo.


(Il regalo più bello)









giovedì 26 maggio 2016

Compleanno

Volano i fiori
In cielo - ho cinquant’anni
son forse triste?
(Momoko Kuroda 1938)



E vabbé, e ce devo sta'. In materia di compleanni, e con una cifra così, irrompe il romano altro che giapponese!!!

(foto tessera)
Eppure, se mi guardo bene allo specchio, luce giusta e qualche minuto a disposizione, mi vedo proprio quella là, quella che sognava la maxi gonna e la cintura di cuoio nei passanti sulla vita non esattamente da vespa.
E se mi guardo ancora, ma fisso fisso, trovo sempre quella là che in foto sorrideva con la bocca a forma di "otto" come il suo cartone animato preferito e credeva di essere bellissima, quella che per un vecchio carnevale si vestiva da fata a tutti i costi, nonostante gli orecchioni. Volano i fiori.
Sotto le zampe di gallina a destra, ci sono mio padre, i miei nonni, tante altre persone incontrate, amate e poi sparite. 
Sotto quelle a sinistra, i pianti inutili e le preoccupazioni, e se li stringo, gli occhi, nelle pieghette, ci sono tutte le risate fatte. 
Tutti i ciao, i cuori dati e ricevuti, tutte le cose belle che hanno tracciato un solchetto. Ma non si vede mica poi tanto, eh!

     

mercoledì 25 maggio 2016

Pantelleria

Ho dei libri
del riso
e persino del tabacco
(Santoka 1882-1940)



"Ecco l'isola dai tanti nomi: Yrnm, Cossyra, Qawsra, Bent el-Rhia, Pantelleria" scrive Giosuè Calaciura nel suo libro dedicato a Pantelleria, questa isola minuscola con già dentro il suo nome un elemento panico. 

Pantelleria è l'ultima isola, un distillato di universo, un big bang in formato tascabile.
In questo libro la scrittura coincide precisamente con ciò di cui si racconta. Parole dense, solide, scelte e collocate come piccole pietre su un muretto a secco, una per una. Artificio o natura? Parole per guidarci in un posto nato dalla terra esplosa, mosso da terremoti e che sa più di lava che di mare.
Terra. Pietre. Su cui cresce poco e con grande fatica. L'astuzia dei suoi "jardini", i torrioni di pietra che, come scrigni di ombra e di acqua abilmente convogliata al loro interno, custodiscono una sola pianta di aranci o di limoni. Il nero vetroso della pietra lavica, il suo calore che sa di forno, dice Calaciura.
Da una pietra si può nascere, sulla pietra si può vivere? E se la pietra può essere pane e madre, la morte è come la vita? Pantelleria prende la voce dell'autore e si rivolge ai ricchi turisti che ristrutturano i dammusi e ai migranti che raggiungono la sua costa sui barconi. 
L'elemento ctonio, pauroso eppure così familiare, continua il suo soliloquio eterno, come farebbe una creatura di Ovidio o di Omero, un essere mitico che viene dall'Oriente o dall'Africa. Ci riguarda, ci parla. Ci incanta.

Questa è una guida che non porta da nessuna parte, non suggerisce ristorantini o calette blu da postare su istagram, ci invita a stare fermi, in ascolto. Non parla troppo e, secondo me, assomiglia molto al suo autore.
Calaciura capovolge la bella copertina del suo libro per raccontare, con la lingua adatta, quello che c'è sotto l'isola amata, sotto la superficie del mare. 
E riesce a mostrarci i luoghi oscuri e ribollenti che sorreggono tutta l'umanità prima che affondino di nuovo.


(isole in redazione)