Una poesia, una notizia e una foto per guardare alla realtà scandendola in tre momenti, come succede nel poco spazio dei tre versi di un haiku giapponese. La poesia è nelle cose di tutti i giorni. "Cuscino di pietra/accompagno/nuvole" (Santōka 1882-1940)
lunedì 10 giugno 2019
Con passi giapponesi
Quello che è mio potrebbe essere vostro?
No, se fosse vostro non sarebbe mio.
Ma il mio cos'è? Dov'è?
Non sono certo io, non lo ritrovo in me.
Di me mi sento infatti mandataria,
ma in nessun modo, mai, la proprietaria.
(Patrizia Cavalli)
"Ma díglielo, no? Dille quanto ti piace!"
Ci ho provato. Anzi l'ho anche fatto, negli anni, nelle occasioni dei festival, ma non mi importa. A casa sua, quando l'ho incontrata la prima volta, una quindicina di anni fa, no, lì non dissi nulla preferendo un sorriso vuoto e gentile, non avevo ancora centrato il suo sguardo poetico, e mi aggiravo in una casa piena di anfratti, di camere, di copriletti colorati e libri. Col registratore e il microfono, la seguivo nei meandri allegri di quella casa romana che se lo dici, abito a Campo de' Fiori, sembra impossibile; la seguivo tipo Fido mentre mi mostrava alcune letture che la impegnavano in quel momento e, mentre parlava allegramente, col suo sorriso, e gli occhi rapinosi, io sorridevo e registravo le sue poesie. Da quel pomeriggio, infisso nella mia testa come una pietra dentro il castone, della sua scrittura, di quel suo disincanto e lo sprazzo di dolcezza improvviso che balena nel verso, non ne ho fatto più a meno. L'ho sempre più capito, aspettandolo. Aspettando quella chiusura ribatatrice di ogni sua poesia, quel kireji della Cavalli e non di uno haiku, fatto di un lampo di gioia, di ironia, di depressione, di amore solo suo. È diventata la compagna di passeggiate romane, quando in motorino attraverso un ponte, se vago nella città barocca dai palazzi color pastello, celestini, arancio e burro penso a quei copriletti. Se scopro un capitello in un angolo, con una vecchia mendicante seduta sopra o incerottato dalle strisce di plastica dei lavori in corso, mi sembra che geolocalizzi un suo verso. E provo a fare mio quel senso di malinconica immanenza e di vita da mangiare. "Con passi giapponesi" è la raccolta di racconti appena uscita, dove, sia ben chiaro, il Giappone non c'entra nulla. Non so cosa dire su questo libro che mi ha colpito tanto (allora cosa scrivi? Scrivo questo: "non so cosa dire"); che è come se qualcuno da lì dentro mi parlasse, anzi mi guardasse, anzi, ci guardiamo riconoscendoci.
Quello che è mio potrebbe essere vostro?
No, se fosse vostro non sarebbe mio.
Ma il mio cos'è? Dov'è?
E una volta finito mi è gravata addosso quella sensazione di sbigottimento, misto a una ansia lieve, succede quando un autore sembra parlare a te, proprio a te, quando capisci che quello che è suo potrebbe essere tuo. E forse lo è anche un pochino.
venerdì 7 giugno 2019
Vecchio cameriere
Vivo qui dentro
senza essere altro
covo pensieri non miei
per sapere chi sei
(Ne "La fine di quest'arte" di Silvia Bre)
C'è un senso tragico nella figura del vecchio cameriere. La giacca bianca, il cravattino, i pantaloni neri, stazzonati, mai della taglia giusta e sempre troppo pesanti.
Lo guardo aggirarsi tra i tavoli, notes e tovagliolo, la testa leggermente reclinata - mal di schiena, sonnolenza di chi si è alzato presto e ritirato tardi per una vita intera. Gli occhi vuoti mentre il cliente sceglie qualcosa dal menù, e la fronte imperlata che denuncia il fremito di chi sta per sparire.
(Vivo qui dentro) |
mercoledì 5 giugno 2019
Eutanasia
Eccomi
dove il blu del mare
è infinito
(Santōka 1882-1940)
È tornata sui giornali la questione, insieme ai dubbi, comprensibili e degni di rispetto. Una ragazza giovane, bella, e dopo più nulla rende tutto ancora più difficile da capire. Eppure.
La possibilità di scegliere.
Rileggo l'haiku di Santōka, quell'eccomi così libero, meditato. Scelto.
(Uscita di emergenza) |
martedì 4 giugno 2019
Comunque sia
Che tu ci sia o non ci sia
ormai è la stessa cosa,
comunque sia io ho la nostalgia
(In "Poesie 1974-1992" di Patrizia Cavalli)
Mi piace cercare on line le foto degli scrittori che amo; capisco capelli, cerco denti, conto nei, mi faccio sorprendere da rughe e ciuffi. Dettagli che sovrappongo alle parole per il mio identikit letterario, per la mia dichiarazione d'amore.
(Amanti) |
sabato 1 giugno 2019
Centro benessere a Cesena
e macchie screziate. La mano
che aiuta ora puzza. Non è nel sogno
del bene il lato migliore
(Mariangela Gualtieri)
Quando tutto intorno sembra non appartenerci o ci rappresenta malamente, se ci sentiamo tapini e derelitti, e un po' soli, quando addirittura i titoli delle copertine di alcuni libri, i caratteri delle lettere stesse, sono nel font littorio pur di vendere qualche copia sdoganando così un'estetica fascia, avvolgente e vincente, dove ci si rintana? Chi ha fede va in chiesa ma chi non ha fede dove va? In biblioteca. (Vale pure chiudercisi dentro, le mura sono spesse e le urla non arrivano, i cellulari non prendono).
Visto che per lavoro sono a Cesena torno alla Malatestiana, in questi tempi foschi e urlati, mi sembra un luogo di benessere, una spa.
Vi propongo il mio bignami per visitarla, due o tre appunti sulla storica biblioteca di Cesena. Fa bene farci un salto, anche per poco tempo. Ci si sente corroborati, pronti per affrontare tutto, anche... vabbè, quasi tutto.
- è la prima biblioteca civica in Italia
- è rimasta perfettamente conservata. Edificio, arredo e posizione degli incunaboli è la stessa dal XV secolo. Conta 250mila volumi.
- la pergamena è morbida al tatto, sembra fragile ma è resistentissima.
- raschiandola i copisti potevano correggere eventuali errori.
- osservandola da molto vicino si intravedono ancora i pori, la traccia del bulbo pilifero della pelle animale. Al contrario, girandola, risulta liscia poiché si alternavano, nella rilegatura, le pagine ottenute dalla pelle dalla parte del pelo con quelle sulla carne.
- il copista era un lavoro molto considerato e ben pagato. Vitto e alloggio a corte garantiti, i migliori arrivavano da Francia e Germania e facevano la loro fortuna.
- alcuni copisti spesso apponevano la loro firma alla fine del testo, impreziosivano le pagine con miniature, piccole foglie d'acanto, cervi e stelle d'oro.
- usavano disegnare la manicula, ovvero una piccola manina con l'indice alzato, tipo puntatore del mouse sulla schermo, dove ci fosse qualcosa d'importante da leggere. Bellissimo, ci si può commuovere.
- come è anche struggente pensare che ogni singola lettera è stata scritta da un uomo con la sua vita, la sua professionalità e la sua storia. Ogni stilo aveva la sua mano e ogni mano la sua vita. Le biografie dei copisti sembrano piccole parabole: uno di loro guadagnò tanto da potersene tornare in Germania, un altro si fidanzò e si stabilì a Cesena, un altro dichiarò che solo in taverna e con le donne avrebbe speso tutti i soldi accumulati scrivendo e copiando.
- l'aula destinata alla lettura si chiama Aula del Nuti, dal suo architetto Matteo Nuti.
- Un piccolo elefante in pietra orna il portone ligneo dell'aula di lettura. Con la proboscide stringe un cartiglio con su scritto elephas indus culices non timet, l'elefante indiano non teme le zanzare a significare che i Malatesta erano forti come elefanti e certo non si sarebbero spaventati dei nemici, al massimo li avrebbero schiacciati come zanzare.
- il portone di legno sembra di cioccolato lucido e marrone, fu progettato e intagliato a piccoli quadretti dal più grande ebanista dell'epoca che si chiamava Cristoforo da San Giovanni in Persiceto. Cristoforo non usava firmare le sue opere ma questa volle autografarla. Solo una in tutta la sua vita, questa. Forse intuì l'onore che gli era toccato, quello di aprire lo scrigno del sapere, dalla cultura, delle lettere. Un umile artigiano che attraverso la sua perizia avrebbe avuto accesso allo scibile umano per i secoli a venire.
(Prezioso manoscritto) |
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