martedì 4 giugno 2019

Comunque sia


Che tu ci sia o non ci sia
ormai è la stessa cosa,
comunque sia io ho la nostalgia
(In "Poesie 1974-1992" di Patrizia Cavalli)

Mi piace cercare on line le foto degli scrittori che amo; capisco capelli, cerco denti, conto nei, mi faccio sorprendere da rughe e ciuffi. Dettagli che sovrappongo alle parole per il mio identikit letterario, per la mia dichiarazione d'amore.


(Amanti)

sabato 1 giugno 2019

Centro benessere a Cesena


Il bene ha vermi
e macchie screziate. La mano
che aiuta ora puzza. Non è nel sogno
del bene il lato migliore
(Mariangela Gualtieri)


Quando tutto intorno sembra non appartenerci o ci rappresenta malamente, se ci sentiamo tapini e derelitti, e un po' soli, quando addirittura i titoli delle copertine di alcuni libri, i caratteri delle lettere stesse, sono nel font littorio pur di vendere qualche copia sdoganando  così un'estetica fascia, avvolgente e vincente, dove ci si rintana? Chi ha fede va in chiesa ma chi non ha fede dove va? In biblioteca. (Vale pure chiudercisi dentro, le mura sono spesse e le urla non arrivano, i cellulari non prendono). 
Visto che per lavoro sono a Cesena torno alla Malatestiana, in questi tempi foschi e urlati, mi sembra un luogo di benessere, una spa.
Vi propongo il mio bignami per visitarla, due o tre appunti sulla storica biblioteca di Cesena. Fa bene farci un salto, anche per poco tempo. Ci si sente corroborati, pronti per affrontare tutto, anche... vabbè, quasi tutto.

- è la prima biblioteca civica in Italia   
- è rimasta perfettamente conservata. Edificio, arredo e posizione degli incunaboli è la stessa dal XV secolo. Conta 250mila volumi.
- la pergamena è morbida al tatto, sembra fragile ma è resistentissima. 
- raschiandola i copisti potevano correggere eventuali errori.
- osservandola da molto vicino si intravedono ancora i pori, la traccia del bulbo pilifero della pelle animale. Al contrario, girandola, risulta liscia poiché si alternavano, nella rilegatura, le pagine ottenute dalla pelle dalla parte del pelo con quelle sulla carne. 
- il copista era un lavoro molto considerato e ben pagato. Vitto e alloggio a corte garantiti, i migliori arrivavano da Francia e Germania e facevano la loro fortuna.
- alcuni copisti spesso apponevano la loro firma alla fine del testo, impreziosivano le pagine con miniature, piccole foglie d'acanto, cervi e stelle d'oro.
- usavano disegnare la manicula, ovvero una piccola manina con l'indice alzato, tipo puntatore del mouse sulla schermo, dove ci fosse qualcosa d'importante da leggere. Bellissimo, ci si può commuovere.   
- come è anche struggente pensare che ogni singola lettera è stata scritta da un uomo con la sua vita, la sua professionalità e la sua storia. Ogni stilo aveva la sua mano e ogni mano la sua vita. Le biografie dei copisti sembrano piccole parabole: uno di loro guadagnò tanto da potersene tornare in Germania, un altro si fidanzò e si stabilì a Cesena, un altro dichiarò che solo in taverna e con le donne avrebbe speso tutti i soldi accumulati scrivendo e copiando.
- l'aula destinata alla lettura si chiama Aula del Nuti, dal suo architetto Matteo Nuti.
- Un piccolo elefante in pietra orna il portone ligneo dell'aula di lettura. Con la proboscide stringe un cartiglio con su scritto elephas indus culices non timet, l'elefante indiano non teme le zanzare a significare che i Malatesta erano forti come elefanti e certo non si sarebbero spaventati dei nemici, al massimo li avrebbero schiacciati come zanzare. 
- il portone di legno sembra di cioccolato lucido e marrone, fu progettato e intagliato a piccoli quadretti dal più grande ebanista dell'epoca che si chiamava Cristoforo da San Giovanni in Persiceto. Cristoforo non usava firmare le sue opere ma questa volle autografarla. Solo una in tutta la sua vita, questa. Forse intuì l'onore che gli era toccato, quello di aprire lo scrigno del sapere, dalla cultura, delle lettere. Un umile artigiano che attraverso la sua perizia avrebbe avuto accesso allo scibile umano per i secoli a venire.

(Prezioso manoscritto)


venerdì 31 maggio 2019

Walt Whitman


Senti, m'informò l'anima,
Scriviamo per il corpo (siamo infatti una cosa), versi tali,
Che, dopo morte, dovessi invisibil tornare,
O, più tardi, più tardi, in altre sfere, 
A un gruppo di compagni i miei canti riprendere, 
(In accordo con suono, alberi, venti della terra, tumulto delle onde),
Possa con soddisfatto sorriso continuare,
A sempre riconoscere miei questi versi – come, qui ed ora, per la prima volta,
Firmando per anima e corpo, il nome mio v'appongo (...)
(Da "Foglie d'erba" di Walt Whitman)

Festeggio il padre della poesia americana, e del verso libero, nato oggi come duecento anni fa, con l'incipit di "Foglie d'erba". La raccolta l'ho trovata sopra una bancarella dell'usato, per pochi euro è diventata mia. Non è un'edizione rara ma ha una dedica amorosa.  
L'acquisto di un libro usato è un sottovalutato gesto poetico - chissà chi lo ha letto, chi l'ha sottolineato? - ed è passaggio di sentimenti, di aspettative, di pensieri. Dino Campana, quando s'imbarcò verso l'Argentina, in valigia aveva "Foglie d'erba" e poco altro; il suo "fratello" giapponese, l'haijin Santōka, nato e morto negli stessi anni e vittima di disperazioni simili a quelle del poeta di Marradi, si sarebbe riconosciuto nell'accordo con suono, alberi, venti della terra, tumulto delle onde e negli anni venti del secolo. Viaggiando in solitudine per il Giappone e vivendo di elemosine, un giorno avrebbe composto questo haiku:

Erba verde -
Torno
a piedi scalzi

Leggere porta altrove, si sa e fa anche tornare a piedi scalzi quando ci si imbatte in un grande autore. E il libro usato è come se tra le pagine nascondesse vite e sentimenti di cui è ancora possibile avvertire il palpito. 

(con amore)





giovedì 30 maggio 2019

Sono una motorinista


Dopo argomenti di fuoco
mi butto in strada-
divento una moto.

Tota Kaneko (1919)

E basta! Troppa tristezza, troppi grigi, troppi grugni. Mi faccio pena da sola, abbattersi no, meglio andare avanti. Magari in motorino, girando per Roma. È il mio crack, la mia slot, la mia connessione invisibile col resto del mondo.

Mi basta un semaforo rosso.
Macchinine guidate da adolescenti multitasking che con una mano fumano e con l’altra reggono il cellulare, berline dai vetri fumée dei genitori degli stessi ragazzini, intenti anche loro in lunghe telefonate.
Facendo lo slalom tra queste due falangi, scivolano i “motorinisti”.
Vanno di fretta perché sono sempre in ritardo, hanno i capelli schiacciati dal casco, la fronte con il solco orizzontale della stretta. La borsa a tracolla sul giubbotto, il figlio stretto contro il bauletto, bollette da pagare accartocciate in tasca e il lavoro da raggiungere. Tutto insieme.
Il motorino era il sogno adolescenziale di questi ragazzi che vedo invecchiati sulla sella, e che ottenevano con solenni giuramenti di telefonare quando arrivavano. Hanno tra i quaranta e i cinquanta anni, sono di “mezza età”, un tempo sinonimo di obiettivi raggiunti, ma che oggi significa solo continuare a rincorrerli, come criceti sulla ruota. Nati alla fine degli anni Sessanta, quando il boom ha fatto flop, in quel tempo grigio pre-telefonino e pre-web – al massimo colorato dalla disco e dai sogni di Drive In – economicamente dipendono ancora da quegli stessi genitori che un tempo acquistarono loro lo scooter. I “motorinisti” visti oggi, sembrano il simbolo vivente di una generazione poco interessante.
I trentenni hipster, i barbuti surfisti del web che sgusciano smilzi su eco-biciclette con un cervello pieno di idee e di app, fanno tendenza molto più di loro. I sessantenni, colti e ideologici che, mentre affondano i denti sui polpacci degli ottantenni seduti su poltrone da cui non si alzeranno, li guardano con dolciastra condiscendenza.
Sono tutti più interessanti di loro, tutti su rampe di lancio irraggiungibili, tutti avanti di una casella.
I motorinisti sono anche miti, e sorridono. Un po’ idealisti, un po’ cazzari, un po’ fregati dalla vita ma sempre allerta, sono i veri supereroi di una sopravvivenza non solo stradale.

(Ricciolina)



mercoledì 29 maggio 2019

Brutti, sporchi e cattivi



Desiderando solo camminare,
cammino con la mia sacca piena –
Luna della sera
(Santōka 1882-1940) 


Questa mattina ho avuto la rappresentazione plastica di quello che siamo diventati. Ero in fila dal tabaccaio, aspettavo che arrivasse il mio turno per pagare una bolletta.
Nel negozio, lugubre, buio né più né meno del solito, la padrona dietro la cassa con aria scocciata si dava da fare quel minimo a cui ormai siamo abituati. Sorrisi? No. Da quel grugno fisso dietro il banco direi mai fatti. La padrona, dicevo, serviva la prima della fila, una donna (ragazza, vecchia, bambina?) che, lo ammetto, scannerizzerei partendo dalle unghie coriacee, quei carapaci istoriati che stanno frugando nel portadocumenti D&G, ha l'incarnato sottile, giallastro, poggiato su gote prefabbricate fatte risalire fino al punto omologato, quello da selfie, hashtag aperitivo. Alle 19 la bocca tumida si protruderà gommosa verso il vetro del bicchiere e l'occhio a mezz'asta, fisso ai follower, prometterà ogni concepibile sì. Postmoderna, quindi più virtuale che reale, gira tacchi alti e fianchi stretti e si avvia verso l'uscita. Dopo di lei tocca al tizio della ricarica per le sigarette elettroniche, vanigliato e assorto dentro una nuvola, prefabbricata anch'essa, quelle belle sigarette, quella bella puzza di fumo stantìo quanto mi manca! E così anche il tizio vanigliato viene servito e se ne va, compreso di kit. Una slot cigola, visto che il suono le è stato silenziato, le sue luci intermittenti nell'angolo più buio, macina euro mentre la leva scende per risalire. Un nigeriano muscoloso è il suo manovratore, sbarcato e arruolato, qualcuno gli fa vendere portafogli tarocchi D&G che un giorno una tumidona, uguale a quella appena sparita nella nuvola di vaniglia di quell'altro, gli acquisterà dopo una trattativa identica a sempre. Ma per ora il nigeriano non ha ancora venduto una mazza, quindi meglio giocarci su, una volta e ancora un'altra e magari caderci nella dipendenza della ludopatia, non ne parlano anche i giornali quando decidono fare servizi sul sociale, sulle dipendenze? Sei uguale ai vecchi dall'aria livida che verranno dopo di te, fratello, giocatori pensionati incattiviti e strenui sostenitori di governi razzisti che ti vogliono ricacciare da dove sei venuto e tu che ingrassi il meccanismo con i tuoi pochi euro, cazzo, non li vedi e non lo sai.        
L'ultimo della fila, io ho pagato, sono quella che infila in borsa la ricevuta, è quello con la visiera calata sul ciuffo bianco. Guarda il giocatore, e dai denti gialli gli esce chiaro chiaro, affinché io senta e magari ci rida su, con lui, insieme, complici, come quelli che stanno dalla stessa parte quella giusta: "Hitler. Ce vorrebbe Hitler."
Ho aperto il bauletto del motorino, ho tirato fuori il casco e me lo sono messo in testa, senza sapere bene cosa fare e dove andare. 


(scusate tutti)