martedì 2 gennaio 2018

Haiku del 2 gennaio


Un filo di fumo
disegna adesso
il primo cielo dell'anno
(Issa 1763-1828)


Gli ultimi petardi stanno esplodendo anche adesso, sento gli scoppi ritardati che rompono la quiete di un 2 gennaio qualsiasi. Altrove, proiettili vaganti travestiti da fuochi d'artificio, continuano a marcare il territorio. 
Tutte le città del mondo non vorrebbero essere disturbate. 
I tappi di sughero, i sigilli di fil di ferro incastrati tra i sampietrini, resti di micce esplose come desideri, giacciono sull'asfalto. 


(primo cielo)

domenica 31 dicembre 2017

2018


Il pugno stretto intorno al mio cuore
si allenta un poco, e io respiro ansioso
luce; ma già preme di nuovo.
Quando mai non ho amato
la pena d'amore? Ma questa si è spinta

oltre l'amore fino alla mania. Questa
ha la forte stretta del demente, questa
si aggrappa alla cornice della non-ragione, prima
di sprofondare urlando nell'abisso.

Tieni duro allora, cuore; così almeno vivi.
("Il pugno" di Derek Walcott)


Una poesia d'amore così forte da far alzare il pugno per spaccare l'aria vorrebbe essere il mio modo di guardare al nuovo anno. L'autore di Omeros, un poema epico dove Derek Walcott ha trasposto l'Odissea nella misera quotidianità del posto dove è nato, l'isola di Santa Lucia, continua a parlarci.
Tieni duro allora, cuore; così almeno vivi.
Con gli occhi di Derek Walcott, che guardano lontano anche se non vedono più, gli auguri per un 2018 pieno di vita.
Susanna

(qualcosa di rosso)








venerdì 29 dicembre 2017

i Tre Magi


Pare che il Paradiso sia il presente
con i suoi comunque e i pressappoco; e infatti
anche questo tuo malandare
manda chiarore.

Ora ascolti la palla che rimbomba contro un muro
e mentre il naso ti cola - roba da bambini -
vai gorgogliando qualche suono oscuro.
Però numerosi sono gli strati del pensare
e sai riconoscere almeno la grandezza
di quel trapassato polverone,
quell'allungare il ritmo, il mantenere
l'andatura degli anni; e adesso

come soldato di ossa sull'attenti
saluti tanti volti che furono rispettabili.
custodi di notizie seppellite (quante
te ne racconteranno con un soffio!) Certo 
la questione rimane irrisolta, ma fantastica
ti si prospetta la schiera dei defunti.

Si spera in nuova storia, nuove doglie.
("Pare che il Paradiso" di Tiziano Rossi


Ogni anno, l'anno trascorso pare un vecchio moribondo che cede il passo tremulo a quello che arriva baldanzoso.Con questo blog, giorno dopo giorno - ecco che torna il tempo che passa - scopro di amare molto i poeti milanesi, la cosiddetta Linea lombarda. Sereni, Raboni, De Angelis e anche Orelli, e Pusterla che non c'entra ma un pochino sì, e il poeta scelto per oggi, Tiziano Rossi. 
I dettagli, le ombre, i muri e le strade di passaggio, i percorsi verso interni borghesi. Vicende dimesse, sfondi familiari che mi colpiscono, ogni volta, e che fanno centro dentro di me che pure sono così lontana da quel sentire per storia, anagrafia, letture... Eppure eppure, sarinagara, direbbe un mitico haijin.
Allora: cosa ci porti di bello, anno nuovo 2018? Tre Magi: Berlusconi, Tajani e Salvini!
Se, come diceva bene il poeta pare che il Paradiso sia il presente, mi tengo stretto questo 29 dicembre fino all'ultimo secondo.


(stellina cometa)

giovedì 28 dicembre 2017

Natalino


VI
Riempivano i ghiaccioli il finestrone
Di barbarico vetro,
Dove l'ombra del merlo
Trascorse e ritrascorse.
Scovò lo stato d'animo
Cagione indecifrabile
Nell'ombra.
(da "Tredici maniere di guardare un merlo" di Wallace Stevens)


"Natalino". Cosi mio padre chiamò il nostro merlo indiano, in onore del suo maestro, lo studioso Natalino Sapegno.
Non ricordo come capitò a casa, intendo il Natalino pennuto, ma giurerei che era compito di mio padre coprire la gabbia di notte, mettergli l'acqua fresca e rifornirlo di cibo. Natalino lo ricambiava con una compagnia modesta. Non era un virtuoso del canto, al massimo ripeteva, a pappagallo, il fischio che sentiva alla radio, imitandolo però talmente bene che sembrava che l'apparecchio lo tenessimo acceso ventiquattro ore al giorno. Ad un repertorio, quindi, abbastanza limitato, Natalino suppliva con un'ottima mira: sparava schizzi di guano fin sulle coste dei libri. "La storia letteraria del Trecento", "Commento alla Divina Commedia", "Poeti minori del Trecento", volumi che sono ancora nello studio marcati da macchioline scure. 
Un Natalino che sparava bordate all'altro Natalino...
Una mattina lontana, dopo colazione, mio padre mi disse che un colpo di vento aveva fatto cadere la gabbia a terra e che, dalla porticina aperta nell'impatto, l'incontinente ma simpatico Natalino se ne era volato via. Aggiunse con aria seria che, prima di sparire in cielo, si era girato verso di lui e lo aveva guardato fisso fisso, con quegli occhietti che sembrano piccole biglie di vetro, come a chiedergli il permesso di andarsene.
Nell'ombra.

(memorabilia)

mercoledì 27 dicembre 2017

ius sóla


(...)
Intanto i piroscafi che dividono orizzonti dichiarano
Noi perduti;
Trovati solo
In opuscoli turistici, dietro ardenti binocoli;
Trovati nel riflesso blu di occhi
Che hanno conosciuto metropoli e ci credono felici qui
(...)
(da "Preludio" di Derek Walcott)


Metropolitana domenica pomeriggio, sulla banchina. Nell'attesa, guardavo le teste di capelli che avevo vicino. Contavo due zazzere, quattro del tipo imbrillantinato, tre crespissime contro due liscissime e spioventi, una nascosta da un velo con perline rosa e una dal berretto con la visiera girata dall'altra parte. Insomma, una babele di teste, tutte diverse e tutte in movimento. 
A un certo punto avverto la sensazione che qualcuno mi stia fissando. Dove sei, chi sei tu che mi guardi e non favelli? E soprattutto, da dove mi raggiungi con questo piccolo laser di occhi insistente, che continua a pungermi da dietro? 
Non lo sapevo ancora che appartenessero alla più grande esperta di leggi e diritto, specializzata con il massimo dei voti. No, non lo sapevo ancora che erano di Giulia.
Insomma, sento di nuovo quel laser di occhi, mi giro e, ad altezza testa, non vedo nessuno. Abbasso lo sguardo e finalmente li intercetto! Sono nerissimi e appartengono a lei. Sì proprio a quell'espertona di diritto internazionale di cui vi accennavo che, sotto due ciuffetti infiocchettati e poco più su della bocca minuscola a forma di cuore, continuava a fissarmi con quelle due biglie nere dal basso del suo passeggino. Serissima. 
La mamma, una signora filippina dall'accento romano, aggiustandole un fiocchetto, risponde al mio sorriso: "Lei è Giulia!". 
"Ciao Giulia, come sei bella. Complimenti signora!"
Giulia continua a fissarmi, immobile, se possibile ancora più seria di prima.
Cosa pensi mai, Giulia? No! Non dirmelo, stamattina volevi telefonare anche tu a Prima Pagina e rispondere al giornalista! E raccontare a gran voce la tua esperienza in materia di ius soli, esperienza che dura da sempre per te - quanti saranno, sei mesi? - e che tua madre si sente italiana, infatti ha la cittadinanza, e che ha fatto mille pratiche, ma che tu sei italiana e basta. Che lo capisci, l'italiano, e che un  giorno lo parlerai da dio e che, sempre un giorno, saprai telefonare a tutti. Ora osservi solamente, ma un giorno, farai un sacco di cose e cucinerai una pasta per primo piatto, col sugo e il basilico, e quel buonissimo secondo di verdura e carne che ti diceva tua nonna. E che le tradizioni uno ce l'ha in testa, come morbidi fiocchetti, e che non sono cappi e che le radici sono dove siamo, caro signor giornalista, volevi dirglielo ma vabbè, e che sono aeree, come quelle di una pianta bellissima che vive nelle Filippine e che ora non sai ancora bene come si chiama ma un giorno sì che lo saprai e che, sempre un giorno, li visiterai tutti quei posti di nonna per poi ritornare a casa, dove ci sarà chi ti aspetta, perché di sicuro, Giulia, uno che ti aspetta, e perde la testa per te, lo trovi. Sicuro.

(Le mie radici preferite)

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Senza di te,
in verità, i boschi
son troppo ampi!
(Issa 1762-1826)




"Anvedi, me stavo p'ammazzà" dice, sedendosi a piombo sul sedile, quello più alto dei due, dopo essere quasi caracollato sull'altro per una frenata improvvisa dell'autobus.
"Mèttete qua, va" gli dice l'amico, sogghignando.
Sono seduti davanti a me, identici, stesso ciuffo scolpito, stessi tatuaggi, stesso telefonino da compulsare, stessa aria di chi conosce la vita dall'alto dei sedici anni.
Non proprio dei secchioni, direi. Più frequentatori di baretti all'angolo o di curve dello stadio per urlarci dentro la domenica. 
Lei. Appare dopo una fermata. È appena salita, li raggiunge venendo verso di noi.
Sì, c'ero anch'io, ma loro tre non lo sapevano.
È scura di pelle, stessa età. Occhi seri sulla bocca sorridente, un piercing sul naso. Iniziano a chiacchierare un po' a mugugni, un po' a risate, un po' mostrandosi lo screen del telefonino.
"E che mica lo so daa prossima settimana" sento che dice lei sotto i cento fermaglietti che ha in testa "È mi' padre che me deve ffa capì come se fa, ma non se capisce gnente. Figurate, capace che se me scade me ne devo annà e tornà laggiù. Perchè io so' itagliana ma me scade..."
"Ma che, davero te ne devi annà?" Dice uno dei due ragazzi con la voce che gli esce da sola dalla bocca che intravedo mezza aperta, sospesa. 
Anche l'altro, che ora lo guarda sgomento e poi guarda lei, scuote quell'opossum di capelli con aria persa. Le facce che vorrebbero essere da cattivissimi, i tatuaggi con i gladiatori uguali a quelli Totti, non fanno paura a nessuno. Loro non vogliono fare paura a nessuno, figurati a lei.
"E che sse fa?"
"Boh, qualcosa se inventàmo, io nun ce capisco gnente. Ecco semo arrivati, scennemo va."
"E sì, qualcosa se inventamo"
I boschi sono troppo ampi, senza di te!
Li vedo, i tre. Veloci verso il corso con i negozi, magari la prossima volta quelle scarpe fichissime me le compro, vedo la lattina condivisa, gli scherzi a lei, le prove di abbraccio di uno dei due.

Un po' sono felice.
Qualcosa, loro tre, si inventeranno.

(Bosco romano)


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NOTA
Ricordate Favour, la neonata arrivata a Lampedusa l'anno scorso? (video QUI) 
Qui l'haiku e il mio post a lei dedicato.

Luccica nel calore
un cesto di vimini
sotto l'albero di susine
(Akutagawa 1892-1927)




Aspettate! Aspettate, gruppo dei sette economisti più importanti della Terra, per gli amici "G7", aspettate!!! (notizia QUI) Inventatevi qualcosa, fate qualche intervista, un paio di foto ancora - Obama, Merkel, Renzi: cheese! -  una telefonata lunga, prendetevi ancora qualche minuto! Una tartina, qualcosa da bere? Sta arrivando!
Eccola qui, finalmente Favour ce l'ha fatta! Dal suo cesto di vimini, saluta tutti, sorride.
I suoi occhi a stellina cercano quelli degli altri suoi colleghi di G7, luccicano e cercano, luccicano e cercano.
"Piccola Favour, grazie di essere arrivata fin qui! Grazie, dacci una mano tu a risolvere questa questione, la tua esperienza è importante per noi, ci serve tutta! Lui è Obama, vedi? Io sono Renzi, questo è Junker e questa signora che ti tiene in braccio si chiama Angela" "No, brava, lascia stare il naso di Cameron. Piacere Favour, piccolo meraviglioso Favore per tutti, benarrivata! Loro si chiamano Trusk e Trudeau, grazie di essere arrivata qui al G7 dopo tanta fatica! Grazie a nome del mondo!".
Shinzo Abe, padrone di casa, fa uno strappo alla regola (forse l'unico della sua carriera di diplomatico giapponese!), nessun tavolo di lavoro, via tutto, via queste scartoffie che non tutti gli ospiti riescono a capire perchè non sanno ancora leggere, via le sedie, troppo alte. 
Si rimarrà lì, sul prato, ad altezza cesto di vimini. Chi vuole può sedersi sotto l'albero di susine, chi vuole può prenderla in braccio, cambiare il pannolino a Favour. Oppure rimanere in silenzio con lei, all'ombra. 
È sbarcata da poco ma non è stanca, è pura vita luccicante, non ne vuole sapere di dormire.
Sta raccontando la sua storia a tutti, il G7 è diventato G8, la vita irrompe e noi ci inchiniamo a questo regalo.

(Il regalo più bello)

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Al profumo dei pruni
d'improvviso, appare il sole
sul sentiero montano
(Bashō 1644-1694)



La storia di Anina Ciuciu, rom rumena che con la sua famiglia fugge dalla Romania per arrivare nel più grande campo nomadi d'Europa, il Casilino 900, non finisce in quella periferia romana.
Dopo anni passati a mendicare per le strade del centro - quante Anine che vedo in giro, quanti sguardi da regine che sfidano il mio, quanti palmi protesi verso di me, molli, ciondolanti come i lattanti appesi che succhiano - fugge verso la Francia. Lì viene aiutata da qualcuno - chi sarà questa persona generosa, cosa ha intravisto negli occhi di Anina che l'ha spinta a interessarsi a lei e alla sua famiglia? Quale sarà stata la prima frase che le avrà rivolto? Una parola gentile o un piccolo gesto? - impara il francese e va a scuola. Poi una borsa di studio, una laurea e ora un master alla Sorbona. 
Anina abita questa nostra Europa sbilenca e chiusa. La attraversa costruendo se stessa, riscattandosi, strappandosi dal mio sguardo perso e colpevole. Nell'intervista appare fiera, consapevole (leggila QUI), ricorda il profumo delle arance in Romania e la puzza di legni arsi con le lamiere del campo. 
Al profumo dei pruni, d'improvviso, appare il sole. E, a quel sole, ci scaldiamo un po' anche noi.



("Grazieee e tanta bona fortuna")

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Vette di nuvole.
Appaiono in sogno
senza confini
(Kato Shuson 1905-1993)



Una serata come tante, una tavolata di vecchi amici, un locale del centro di Roma. E come sempre il passaggio dei venditori di tutto (accendini, pupazzetti, reggi telefonino, cover colorate, rose acciaccate). 
A capotavola, una mia amica che vive in Sicilia da tanti anni, a Roma per qualche giorno, sulla tovaglia antipasti a volontà, fritti e controfritti, nell'aria le nostre chiacchiere.
"Oddio, eccone un altro!" Solita frase, solita mercanzia, soliti sorrisi di compatimento che vogliono significare "ti prego, non sono razzista, ti accolgo, ma ti prego, l'ennesima cianfrusaglia no". Penso alle rose buttate nella spazzatura la mattina stessa, così cimiteriali nel loro appassire istantaneo, acquistate la sera precedente all'uscita di un film, mentre dall'altra parte: "Fratello, ciao! Compra? Ciao miss mondo, bello questo, dai!" 
Fa caldo, sono stanca, o forse a causa di un piatto pieno di mozzarelle che girava, non so, qualcosa nel frattempo mi sfugge quando la mia amica racconta che è appena arrivata dalla Sicilia. Il ragazzo africano  si illumina e dice, mentre si aggiusta il cappello e risponde a una telefonata, che in Sicilia tutti buoni, che quando arrivato gente gentile. Viva Sicilia!
E lo dichiara serio, ricoprendo la mia amica di braccialetti colorati "No soldi. Omaggio Sicilia."
"Lasciali stare" dico automaticamente "che ti tocca comprare tutto. Vedrai come tra poco non ritorna e ti chiede i soldi".
La serata finisce e con lei le nostre chiacchiere. La mia amica ha indossato i braccialetti di perline verdi, giallo e rosse come la bandiera del Senegal.
Il ragazzo non è tornato. "Omaggio Sicilia" mi ha fatto male.



(senza confini)

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Tempesta sotto gli alberi.
C'è qualcosa che pesa
nelle onde del mare
(Yamaguchi Seishi 1901-1994)





Ma possibile che non si trovi una soluzione? Che buona parte dell'Europa non stia ai patti, non provveda ad assorbire, integrandola, questa benedetta quota di migranti che spetta ad ogni paese?
E che si continui solo a strumentalizzare? Uomini, donne e bambini muoiono e si parla sempre di confini, muri e oggi di hotspot galleggianti. 
C'è qualcosa che pesa nelle onde del mare.



Sono circa le sette di sera nella Roma elettorale. 
Sui muri sono attaccati manifesti con colossei dall'aria cattiva e fiamme tricolori che non scaldano. "Sei profugo? Avrai lo stipendio!". L'odio in formato elettorale con l'obiettivo di una caput mundi littoria, decisa e sicura del fatto suo, mi ricorda che di notte è un mio diritto girare tranquilla. Identità, radici e soprattutto sicurezza. 
Quello lì, quello sulla destra, quello che vedo sotto il gazebo elettorale sempre a destra, sì, lui, temo mi voglia proteggere.

Noi vorremmo farci solo un bell'aperitivo primaverile, per questo siamo usciti. Due passi e magari una birretta, l'aria è fina, poi c'è il Tevere liscio liscio con sopra le anatre e a quest'ora è sempre tutto così dolce, così possibile. Ma quell'altoparlante, quei rayban neri nonostante il tramonto, quei bicipitoni istoriati ci avvisano che è meglio rimandare a un altro giorno.
Ok, ok.Torniamo a casa, va. Mi è un po' passata la voglia, anche a te? Vediamo un ragazzo africano, la sua mercanzia low cost che dondola sul piccolo espositore sotto il braccio (appiccichini volanti, accendini che si scaricano subito, braccialetti), procedere esattamente nella direzione di quel gazebo e dei suoi affabili locatari assai impegnati politicamente. 

Amico, lo sai dove stai andando? L'hai capito, amico?
Si aggiusta il borsone sulle spalle, è alto e magro, i pantaloni larghi sul corpo scattante, e avanza sicuro verso quei coetanei lì, verso quel gazebo. 
Li attraversa. Letteralmente, li attraversa. Leggero, felpato, silenzioso. 
Vincerai tu, amico. Ci vuole tempo, ma sei il più forte di tutti. Sei potente.

(the end)