venerdì 12 agosto 2016

#IostoconAlex

La via
diritta
solitudine
(Santōka 1882-1940)


Che il marciatore Alex Schwazer conosca questo haiku di Santōka lo escluderei, ma che la via per lui sia solo di solitudine, lo sa bene. 

Nella società che esige corpi capaci di qualsiasi performance sportiva, la strada della verità da diritta diventa tortuosa. Lo share si alza solo per bracciate da supereroi, per centesimi di secondo guadagnati da corpi celesti, per ciclisti che, muti e sordi, continuano a pedalare anche da fermi. Quando qualcuno rompe il circolo (vizioso? virtuoso? mediatico?) con lacrime o denunce, viene espulso ed emarginato per essere santificato da pubblico e giornalisti, come è successo a Pantani (su quelle salite veniva raggiunto dagli sputi della folla bue) solo dopo morto. 
Per questo condivido una per una le parole di Susanna Tamaro sulla storia del doping di Schwazer (clicca QUI) e l'hashtag #IostoconAlex.

(Roma. Villaggio Olimpico)

giovedì 11 agosto 2016

Frantumi (dailyhaiku d'estate)

Quante isole!
Va in mille frantumi
il mare d'estate
(Bashō 1644-1699)


Caspita che "foto" ci regala Bashō! Uno scatto che rende con precisione nipponica il dettaglio delle onde lucenti, del riverbero del sole, della terra scura che appare e scompare. 
Raccolgo uno di quei frantumi e mi viene in mente una cosa.

E' urticante per i razionali, faticoso per menti illuministe, semplicemente sciocco per la maggioranza, ma: a volte le cose si aggiustano da sole.
Il tasto della tv si incanta? "Si aggiusta da solo".
La tapparella si incastra?" Si aggiusta da sola".
Il citofono gracchia? "Si aggiusta da solo"  
Solo scrivendo mi accorgo che è un concetto fraintendibile. No, non confondiamo l'auto-cura degli oggetti con quella nociva e insensata praticata da certi umani su altri simili. E non vi sbagliate, non vivo in un tugurio pieno di cose rotte, sportelli che sbattono, tubi che perdono, molle che cigolano; non preoccupatevi, non faccio parte di quelle truppe di protagonisti televisivi, espulsi dalla società, che trovano senso, e asilo, solo sulle real tv; le truppe di obeso-compulsivi, gli accumulatori seriali di oggetti o ancora quei campionari ambulanti di tutte le perversioni subumane che si confessano alla telecamera con sguardo contrito, nooooooooo!
Il "si aggiusta da solo" non è né una religione, né una filosofia, né una nevrosi contemporanea. Alla fine, non merita molta attenzione e neanche una seconda serata. E' un fatto. La semplice, pacata risposta allo sguardo disperato dell'altro.     
Un giorno la serratura della porta ha smesso di girare sulle sue consuete quattro mandate.
Inserendo la chiave nella toppa, una piccola fitta: perché non funzioni più bene? Perché il giro, che hai sempre fatto, non lo compi più completamente? Perché? Che facciamo? Susanna, che facciamo?
"Boh. Secondo me si aggiusta da solo"
"Ogni volta la stessa storia. Si aggiusta da solo, come la lavatrice!"
"Ma la lavatrice era un'altra cosa"
"Co 'sta storia del si aggiusta da solo..."
Abbiamo chiuso a chiave due giri su quattro e siamo usciti e rientrati dando solo due mandate per settimane. Senza forzare troppo "si spezza la chiave!" e senza mai capire perché, da un momento all'altro, così, senza un senso apparente, la serratura serrava a metà. Assestamento delle mura, pensavamo ad ogni fitta, e guardavamo in alto, cercando un segnale tangibile, una prova di quel micro smottamento fantasma, concentrati come ingegneri durante una perizia. Ci siamo assestati anche noi (io partivo avvantaggiata).
Poi è successo. 
Sere fa, ore 20 circa, minuto più minuto meno, uscendo per l'irrinunciabile aperitivo al baretto all'angolo, chiudo casa. Con quattro mandate. Quattro mandate.
"Hai visto??? Si aggiusta da-so-lo! Evvai!" 
Ho rigirato la chiave su stessa per due o tre volte, avanti, indietro, per provare l'accadimento in modo inconfutabile e pure per festeggiarlo. 
"Vabbè va...dai, andiamo".

(si aggiusta da solo)





   
  

       

mercoledì 10 agosto 2016

Olimpiadi (dailyhaiku d'estate)

Eccomi
dove il blu del mare
è infinito
(Santōka 1882-1940)

Guardare le Olimpiadi pensando ad altro. Mentre la sirena Pellegrini mi raggiunge pinneggiando su twitter, mi frulla in testa l'haiku di Santōka. Sono una spettatrice pigra, poco sportiva, non conosco le regole dei giochi. Ma lo stesso dribblo felicemente tra i canali della mia tv perdendomi nel blu delle piscine, nell'esuberanza della pallacanestro, nella compostezza del judo, nella nevrosi della scherma. E finisco dentro il Pandizucchero, meravigliosa scenografia low cost, che cambia colore con l'orario delle gare.


(Vacanze olimpiche)




lunedì 8 agosto 2016

Turista a Roma (dailyhaiku d'estate)

In silenzio 
mangio il bianco riso
al caldo estivo
(Issa 1763-1827)


Vorrei camminare sulle birkenstock dei turisti che vedo in giro nonostante la calura. Fare mio il loro percorso sui marciapiedi fondenti. Bere alla fontanella, cercare il Pantheon su googlemaps, trovarmelo davanti, e pensare solo: ohhhh!
Vorrei stare a quel tavolo a mangiare pizza e cappuccino (ma lo bevete prima, dopo o durante?), farmi una foto con quei due giapponesi e finire nell'album dei loro smartphone viaggiando anche su instagram. Vedere attraverso gli occhiali di quell'inglese che sembra riconoscere un rudere da un altro e lo archivia nel suo taccuino mentale, dipingere una palma en plein air con quel gruppetto di tedeschi all'orto botanico, girare per i Fori e all'unisono osservare, all'unisono sorridere, all'unisono asciugarsi il sudore vicino alla nostra guida. Infine, rinfrescarmi dentro una chiesa barocca senza capire come sia possibile, perché a casa, in Texas, l'aria fresca viaggia solo elettricamente e non attraverso il marmo che mi circonda. 

Caspita, sto per agganciare il mio lucchetto dell'amore sul lampione di Ponte Milvio, proprio come vedo fare a quei due. No. Fermo le birkenstock e le giro dall'altra parte, in un'altra direzione. Il rito turistico-globale più fesso del mondo proprio no. 


(parco tematico)


   

sabato 6 agosto 2016

Primavere d'agosto

Più numerose le primavere
più lunghi i dì
recano lacrime e lamenti
(Issa 1762-1827)



Direte che sono lamentosa, che le mie primavere numerose mi fanno assomgliare a una ziaPina nostalgica, ma... mi mancano cicche e fazzoletti. 

Non fumo, non fumo più, forse non mi è mai piaciuto visto che il vizio l'ho perso facilmente ma spesso avrei ancora voglia di farmi un tiro in relax. Di quelli affacciati alla finestra, del portacenere a tavola con il caffè, magari al bar, di quelli con il braccio fuori il finestrino abbassato mentre si guida. La sigaretta anni settanta, quella dei genitori a cui guardavo, che affumicava i libri rendendo le coste ingiallite come denti.

E poi mi mancano i fazzoletti. No, non i kleenex. Mi mancano proprio quelli di stoffa, bianchi, quadrati.
Quelli dei nostri padri e dei nostri nonni. Freschi, con le pieghe dello stiro ben visibili e che nel cassetto si ricavavano, ordinati e impilati, un spazio preciso tra mutande e canottiere.  
E mi mancano quei gesti quotidiani rassicuranti: tirarlo fuori dalla tasca scuotendolo, porgerlo a chi piange, pulirci la sedia o il sedile in autobus, metterlo fuori il finestrino quando qualcuno in macchina ha bisogno di un ospedale, tamponarci al volo il sangue dal naso...
Mi mancano fronti imperlate e asciugate, nasi gocciolanti e soffiati, starnuti e risate soffocati con il fazzoletto.


Ricordo oggi un'Italia meno aggressiva. Più pop e più candida. Meno salutisticamente dopata.

(Particolare anni settanta)