mercoledì 10 febbraio 2016

Sanremo e Madonna

Tolto il cotone
troviamo invecchiate 
le facce delle bambole
(Takarai Kikaku 1661-1707)



E anche quest'anno ho partecipato al rito collettivo sanremese. Cena anti macchia da mangiare sul divano, birra, frappe e massima concentrazione.
Ieri mattina avevo già iniziato il rito leggendo qualcosa su Madonna che ha postato, per sbaglio, credendo fosse sua, una foto di Paola Barale. Un sinistro mix di identità e chirurgia estetica per facce di bambole invecchiate in modo identico.
Mi sono in questo modo predisposta alla visione annuale del rito canterino, passerella del "guarda com'è diventato", tappeto rosso del "come eravamo" e, soprattutto, del "come siamo". L'Ariston è una cartina tornasole sociologica che funziona sempre benissimo, specchio dei tempi con pupazzi cotonati. Solo da ultimo, occasione canora.
Enrico Ruggeri, eternamente dei Decibel per quelli della mia età - di noi un po' fieri che conosciamo Mengoni ed è già qualcosa con cui parlare con la nipote che disquisisce su come abbia influenzato Lorenzo Fragola con una serietà da tesina su Wittgenstein - e Arisa, i Blu Vertigo, Caccamo e signora, Garko. 
Garko. Scampato, immane, esotico Garko anche se nato a Torino. 
In mezzo al trucco, al cotone, in mezzo alla scenografia tra talent e balera, alla fine, dobbiamo ammetterlo, ci si ritrova tutti. Frappe da sgranocchiare sul divano, poche aspettative, qualche risata e...il colpo di scena? Sì, c'è stato, c'è stato e non è stato il signore di cento anni che intonava "Vecchio scarpone" e la voleva fare tutta, no.

Il nastrino arcobaleno sul microfono è stato il vero colpo di scena. Ha cantato anche lui, sì, dal palco più nazional popolare (e rassicurante) che esista, sì quel nastrino, si è fatto proprio una bella cantata. 
Un assolo sui diritti civili delle coppie di fatto che finalmente ha ascoltato anche "il grande" pubblico, quello che in piazza, di solito, non va. 


(Singing in the rain)



martedì 9 febbraio 2016

Giulio Regeni

Il piccolo tamburo
cade dal suo zoccolo
tempesta d'autunno
(Shiki 1867-1902)


Il Museo Egizio di Torino ha dedicato a Giulio Regeni una sala che raccoglie reperti preziosi, significativi per lo studio e la cultura (leggi notizia QUI)
È stata veramente un'idea bellissima.
Sulla morte di Giulio Regeni non ho altro da aggiungere a tutto quello che in questi giorni è stato detto. L'ho solo immaginato al suo pc intento nella raccolta di dati, notizie da incrociare, testimonianze da contattare, articoli da inviare, tesi da aggiornare. Cartelle, files, documenti, foto. 
Il suo piccolo mondo di ragazzo in gamba contro lo stesso mondo che tentava di ordinare sul monitor.

RIP

(Incubo)

lunedì 8 febbraio 2016

Grilli

Oh grillo canta!
Ecco piatti e scodelle
pronti per due
(Momoko Kuroda 1938)


Mentre un grillo canta ai suoi di escogitare ostacoli sul percorso della legge Cirinnà - percorso per il centrosinistra lungo quasi dieci anni - io apparecchio la tavola.
Per due, per tre, per quattro, qui Giovanni vicino a Marco, che lo ama da un po', poi Anna e accanto Giulia, lo sai che Giulia aspetta un bimbo? Qui mi metto io, vicino alla cucina e a Mauro.
Poi aggiungo altri due posti per quelli del piano di sopra, che festeggiano venticinque anni di non matrimonio, poi aggiungo altri due coperti per quei due laggiù che sono secoli che desiderano sposarsi.
Lì, vicino alla libreria, il tavolo per i bambini. Un posticino in più per lui, che è timido, lo troviamo? Qui, ok, porta pure i pennarelli.

La vita canta più forte dei grilli.

(A tavolaaaaa!)


venerdì 5 febbraio 2016

L'uomo del futuro

Ho del riso
dei libri 
e persino del tabacco.
(Santoka 1882-1940)


Sono poche le cose che ci fanno andare avanti, sembra dire Santoka, e il libro di oggi può essere  una di quelle. 
"L'uomo del futuro" è la storia di un educatore, Affinati stesso, che ricostruisce alcuni momenti della vita di don Lorenzo Milani e lo fa con il solo mezzo che conosce: la letteratura. E non sono gli aspetti biografici del prete di Barbiana ad essere centrali nel racconto, ma l'osservazione di una tensione, di quel moto dell'animo, di quell'energia meravigliosa proprie della costruzione di un essere umano. Che sia Lorenzo Milani prete o giovane privilegiato, Affinati professore o studente, un ragazzo povero degli anni sessanta o il giovane Mohamed adesso arrivato dal Marocco in una delle nostre classi. 
Affinati è capace di mostrarci questo movimento invisibile ponendosi al centro di una forza - così umana - che si svela in tutto il suo impeto. Si interroga, si "usa", come usa il materiale letterario e biografico che ha accumulato nel tempo e che ora, leggendo, abbiamo anche noi davanti agli occhi: autori scoperti e amati, e le scelte di vita, le esperienze, gli incontri.
"L'uomo del futuro" è un libro sulla paternità, un tema caro ad Affinati e da lui sempre indagato per strade alternative. Una scrittura alta, aristocratica, piena di tenerezza.
Diventiamo padri dei nostri padri quando li superiamo per scelte, per cultura, per la nostra posizione nel mondo. Padri di figli mai generati eppure amati, cresciuti. 
Alunni che diventano i padri protettivi del loro insegnante, proprio loro, così scoperti e così esposti, che proteggono il professore Eraldo quando un giorno capita nell'officina dove lavorano che non vogliono che il loro maestro senta le parolacce, sono imbarazzati, vogliono preservarlo dalle brutture del mondo.
Vi sembra eccentrico definire la scrittura di Affinati "paterna"?
Di un un suo libro precedente mi sono portata dentro, ed è con me, l'immagine di un padre poverissimo che da ragazzino dormiva mettendo i pantaloni sotto il materasso per essere in ordine la mattina dopo a lavoro. Un'immagine che mi galleggia in testa da anni, nella sua carica di dignità e insieme di amore filiale. 
"L'uomo del futuro" continua il racconto che fu de "La città dei ragazzi" cercando ora le radici di una missione, le ragioni di una scelta come quella di insegnare agli adolescenti difficili. L'educatore si cerca, si perde e si ritrova e il colloquio con don Milani è fermamente letterario, di ricostruzione devotamente bibliografica. Mai un cedimento, mai una scorciatoia nell'andamento di questo libro.
Quale sarà l'immagine che conserverò di questa lettura non lo so. 
Per ora, ad accompagnarmi, è una sensazione di movimento. Una sensazione fisica e intellettuale, di energia pura, che non mi molla.






giovedì 4 febbraio 2016

Una storia

Al profumo dei pruni
d'improvviso, appare il sole
sul sentiero montano
(Bashō 1644-1694)



La storia di Anina Ciuciu, rom rumena che con la sua famiglia fugge dalla Romania per arrivare nel più grande campo nomadi d'Europa, il Casilino 900, non finisce in quella periferia romana.
Dopo anni passati a mendicare per le strade del centro - quante Anine che vedo in giro, quanti sguardi da regine che sfidano il mio, quanti palmi protesi verso di me, molli, ciondolanti come i lattanti appesi che succhiano - fugge verso la Francia. Lì viene aiutata da qualcuno - chi sarà questa persona generosa, cosa ha intravisto negli occhi di Anina che l'ha spinta a interessarsi a lei e alla sua famiglia? Quale sarà stata la prima frase che le avrà rivolto? Una parola gentile o un piccolo gesto? - impara il francese e va a scuola. Poi una borsa di studio, una laurea e ora un master alla Sorbona. 
Anina abita questa nostra Europa sbilenca e chiusa. La attraversa costruendo se stessa, riscattandosi, strappandosi dal mio sguardo perso e colpevole. Nell'intervista appare fiera, consapevole (leggila QUI), ricorda il profumo delle arance in Romania e la puzza di legni arsi con le lamiere del campo. 
Al profumo dei pruni, d'improvviso, appare il sole.

E, a quel sole, ci scaldiamo un po' anche noi.



("Grazieee e tanta bona fortuna")