lunedì 25 gennaio 2016

Schengen

Notte di brina - un bimbo 
piange, chiama qualcosa
più lontano dei genitori
(Katō Shūson 1905-1993)


Dove guardi, piccolo? Guardi fino a quaggiù, fino all'Europa? 
Il tuo sguardo ce la fa ad arrivare fino a noi? Oltrepassa montagne e mare. Va oltre garitte malinconiche, oltre il filo spinato, sorvola scrivanie di uffici pieni di carte dove elargiscono i permessi. E continua ad andare lontano. Dove vuoi arrivare? Quaggiù, fino alla coscienza di un'Europa vecchia e livida, megera egoista carica di soldi?

Per difendersi dai tuoi occhi, intanto, Svezia e Danimarca si stanno organizzando, i populisti strepitano, tra Ungheria e Croazia alzano muri e il trattato di Schengen sembra scricchiolare...


(Carne da macello)




venerdì 22 gennaio 2016

#bullismo

All'ombra dei fiori,
sono insonne;
il futuro mi spaventa
(Issa 1763-1827)


Dedico questo tenero haiku di Issa a tutti i ragazzini che non riescono a dormire perché hanno paura, piccole vittime di una violenza silenziosa e crudele come quella fra coetanei.
E questa storia di tanti anni fa.

Era un pomeriggio di luglio. Ero al mare, a Ostia, per una di quelle domeniche di quasi vacanza su e giù da Roma in cerca di un po' sole. Il costume sotto la gonna jeans, la borsa carica di asciugamani e giornalini, la postazione nella cinquecento di mamma quella solita: davanti. Così contavo gli alberi della Via del Mare, intravedevo le rovine di Ostia Antica per prima e spiavo meglio quelli che ci superavano.
Ma quel giorno d'estate fu diverso dagli altri e si inserì, nel mio calendario personale, di fatto, tra quelli "indimenticabili". Ma ancora non lo sapevo.
Avevo circa tredici anni anni, ricordo bene il mio costume, era quello optical bianco, rosso e blu. I triangoli del pezzo di sopra si riempivano poco da farmelo sempre spostare e aggiustare, sul corpo ancora senza forme. Ero a metà. Tra quel mondo lì, che ancora vedevo vicino (infanzia, bambole, giochi per terra) e questo qui, quello dove mi trovavo già. Nessun punto vita da evidenziare con una bella cintura, nessuna mossa maliziosa, la seduzione un pianeta sconosciuto che non mi interessava. Piuttosto facevo eccentriche prove generali di bellezza, un po' fai da te, a dire il vero, come attaccare un piccolo ciclista autoadesivo dorato alla lente dei miei ray-ban gialli (ancora ricordo la sensazione di fierezza allo specchio, mai sentita meglio), dormire con il naso schiacciato sul cuscino per cercare di ottenere la bocca che scoprisse un po' gli incisivi, tale e quale a quella, per me bellissima, della mia migliore amica, oppure la fissa della visiera, un triangolo di plastica rigida verde, che mettevo a mo' di cerchietto per evitare che i capelli mi andassero sugli occhi - e quindi sugli occhiali fichissimi - e che finiva per stare ritta, con la punta verso il cielo. Non me ne curavo che stesse all'insù perché, l'avrei capito anni dopo, stavo ancora con un piede lì, ero ancora regina di un interregno pre-tutto.
E così come ero, costume storto, occhiali col ciclista e visiera dritta, mi sentivo una vera miss universo 1980.
Mi apprestavo a passare il mio pomeriggio, con mia madre che stava con le sue amiche sotto l'ombrellone e che si spupazzava la mia sorellina intenta nei castelli di sabbia. Non avevo amici-del-mare ma stavo bene anche sola. La sacca la riempivo di quaderni e pennarelli, dei libri delle vacanze e di bacche che raccoglievo dai cespugli bordo piscina per farne un giorno dei profumi buonissimi. E aspettavo l'ora per il bagno dopo mangiato. Posso dirlo? Mi sa che ero felice.
Vidi un'altalena all'ombra, ci salii e iniziai a dondolare, in quel pomeriggio che non dimenticherò più. Ero sola. Forse cantavo qualche cosa. Figli delle stelle? Possibile. Mi rinfrescavo al vento, sentire l'attrito della visiera era bellissimo. Un po' windsurf. Sul sedile ancora ci entravo. Fra un po' mi farò il bagno, pensavo. 
Alcuni ragazzini si appostarono silenziosi alle mie spalle. Quanti erano? E perché non ridevano tra loro, perché non parlavano? Capii in quell'istante che quella sarebbe stata una giornata che non avrei più dimenticato. Alcuni li conoscevo, li vedevo giocare partite di pallone sulla spiaggia, sgambettavano lucidi, magri, spavaldi, dicevano parolacce, mi sembravano piccoli dei inavvicinabili. Uno di loro era il figlio del gelataio di Ostia, questo lo sapevo, era identico a suo padre. Un bel ragazzino sempre con la sabbia appiccicata alle spalle nere di abbronzatura.
Continuavo a dondolare sulla mia altalena mentre il gruppetto, a un segnale che non vidi ma che immaginai, decise di prendere di mira miss universo 1980. Letteralmente di mira. 
Staccavano le bacche dai cespugli e me le lanciavano sulla schiena. Le staccavano via via, una dopo l'altra, e mi gridavano "ah mostrooo!", "mostro, mostro!", "mostrooo!".
Continuavo a dondolare, mani serrate sulle due catene che reggevano il suo sedile, canticchiando sempre più piano, sempre più piano, sempre più dentro. Non scappavo. 
Non a caso ero miss universo 1980.
Rimasi lì, sempre dondolando, mentre bacche e parole si infrangevano una dopo l'altra sulle mie spalle, sulle gambe, sulle dita, mi si impigliavano tra i capelli. Facevano male.
E poi? Non ne volli sapere di girarmi verso di loro o di scendere dall'altalena. Un misto di coraggio e disperazione. Continuai con il mio su e giù e i ragazzetti si stancarono. Tutto qui. Tutto tacque.
Silenzio e di nuovo le cicale. 
Quanto durò? Non me lo ricordo più. Il mio interregno, di cui ero la regina assoluta, finì quel giorno. 
Presi da terra la mia sacca, me la misi a tracolla facendo sempre molta attenzione alla visiera, mi incamminai verso l'ombrellone di mia madre.
"Susanna, cosa c'è?"
"Niente, mami, tutto ok."
"Che dici, torniamo a casa? Si è fatto tardi..."
"Ok."
Molti anni dopo, ma molti anni, in un pomeriggio di luglio indimenticabile, di quelli che il calendario personale incornicerebbe di rosso, sono tornata a Ostia. 
"Ti va un gelato?"
"Entriamo, so che questa gelateria è la migliore di Ostia"
E dietro al bancone ho visto il ragazzetto di allora, imbolsito e oggi sussiegoso, che mi chiede: 
"Signora, che gusto?"
"Bacche!" 
Ma invece ho detto "Crema e cioccolato, grazie!".
Ho preso il mio cono e sono uscita dal bar.

(Costruzione di sé)



martedì 19 gennaio 2016

SLA

La lampada del vicino
illumina
il banano
(Shiki 1867-1902)


Parto da questo haiku in cui Shiki inquadra il suo piccolo perimetro d'osservazione. Shiki il maestro, il poeta rigoroso, il giovane monaco zen malato e costretto a letto. Samurai nelle origini come nella vita, abituato al sacrificio come ogni persona sofferente.
E così non voglio farmi sfuggire una buona notizia, quella che linko QUI e che illustra gli incredibili risultati positivi che una ricerca, a base di cellule staminali, ha dato ad alcuni malati di SLA che si sono sottoposti al trapianto di midollo osseo. 
E rispondo così alle forme reazionarie di ingerenza nella ricerca scientifica bigottamente brandite, alle superstizioni tribali (vedi post di ieri).
Rispondo con un haiku di Shiki il sofferente, un poeta che amava la vita e i kaki e che, pur da un punto di osservazione limitato, illuminava mondi.
Evviva la ricerca!


(Possibilità)


lunedì 18 gennaio 2016

Coscienza

Viene l'autunno
- cupola di San Pietro 
troppo vicina
(Sono Uchida 1919)


Che si tratti di un ricco colonnato barocco, di un pulpito in una sobria sinagoga o di una fontana zampillante in una fiorita moschea... mi sembra tutto così incombente, così troppo vicino. 
E gli endorsment ai familyday, i diritti acquisiti messi in discussione, le leggi che tutelerebbero nuove forme di famiglia, ostacolate, derise. 

Manca l'aria nello stato laico.


(Libri sacri)
La storia di Sono Uchida? Cercala nelle tags.

venerdì 15 gennaio 2016

Utero in affitto

Limpida torna 
l'acqua mentre la madre
rimane sola
(Momoko Kuroda 1938)



Tutti che sanno tutto. Tutti con le idee chiare. Limpide. Un giorno siamo teologi specializzati in islamistica, il giorno dopo strateghi militari, la domenica torniamo arbitri e sommelier.
Da qualche giorno tutti hanno una cugina con l'utero in affitto di cui conoscono le date dell'ultimo ciclo mestruale. E sono gli stessi che desiderano solo "proteggere il corpo delle donne" cosa a cui mai avrebbero pensato fino a un giorno prima quando forse ancora non intravedevano il "pericolo omosessuale".
Tutti padri e madri di famiglia, tutti buoni, tutti dalla stessa parte. Solo certezze. 
Mai una perplessità, un palpito di attenzione per l'altro, una domanda in più, in queste loro famiglie "normali".


 (Domenica in famiglia)