mercoledì 18 novembre 2015

?

Piccole case
somiglianti ai visi
della festa dei morti
(Yosa Buson 1716-1783)



Non ho notizie da segnalarvi o novità particolari da commentare, ho solo un haiku. 

Da venerdì sera è come se tutto si fosse fermato. Sì, continuiamo a fare le nostre cose, lavoriamo, studiamo, prepariamo da mangiare, difendiamo come soldati pacifici la "quotidianità". Nelle nostre piccole case il sottofondo della nenia funebre che conta vittime e arresti fuoriesce dai tg, dalle radio in cucina, da quelle viteindiretta pomeridiane, dai pc sulle scrivanie
Non diciamo nulla, in gola ci muoiono domande che vorremmo fare a qualcuno.
Continuiamo a guardare quei visi sorridenti, uno dopo l'altro, rosario a loop di belle vite che potevano essere. 
E guardiamo anche i visi degli "altri", seri nelle loro foto-tessera, e così fieri mentre stringono tra le mani bandiera e corano. 
Giovani sulla rampa di lancio dell'esistenza e giovani capaci di fermare tutto. 

Ho solo un haiku. 


(?)







martedì 17 novembre 2015

Parole

Una parola uscita di bocca
fredda le labbra,
qual vento d'autunno
(Bashō 1644-1694)


Parole scarne, fredde e che si fermano su labbra secche in questo haiku desolato.

François Hollande ha dichiarato che la Francia è in guerra. Claudio Magris, in un editoriale lungo e come suo solito argomentato, esprime un concetto che mi appare solo raggelante: "la violenza va repressa con la violenza" (clicca QUI).

Ma come si può pensare che la guerra risolva questa "cosa" che sta succedendo? E poi a chi dichiararla? Che mezzi e che stategia usare se bastano al massimo otto o nove soldati pronti a tutto per piegare una nazione intera? E chiudere cosa se i kamikaze possono essere nati e cresciuti fra noi?
Venti di guerra, parole al vento. Vento d'autunno.


(Venti di pace. Entrata.)





venerdì 13 novembre 2015

Sentirsi

Spuntano i germogli
al tronco d'un grande albero
poggio l'orecchio
(Hosai 1885-1927)




Mi piace pensare che Radio3 contribuisca non solo a raccontare il mondo ma anche ad ascoltarlo, nel suo rumore e nei suoi silenzi. E che l'ascoltatore di Radio3, come accade in questo haiku, poggi il suo orecchio per "sentire" qualcosa. 

Che responsabilità che abbiamo, noi che la facciamo! Dove è possibile un confronto sulle cose se non in quell’universo della radio dove lavoro? E in quale posto il confronto con il pubblico è concreto, sommesso e costruttivo? Quando incontro qualcuno che ascolta Radio3 l'empatia è immediata. Ho subito voglia di sapere di più, di farci due chiacchiere, di trattenermi un po' di più del tempo di uno sbrigativo "tanto piacere"!

Da oggi fino a domenica siamo a Perugia con una serie di programmi ripensati per una messa in onda fuori dagli studi consueti e con un palinsesto studiato apposta per l'occasione. Da Fahrenheit a Tutta la città ne parla, dalla musica classica a Hollywood Party tante le trasmissioni impegnate, tanti ospiti e tanti gli spunti di riflessione. 
E se qualcuno mi raggiungerà alle 18 cercherò di dare il mio contributo a una piccola tavola rotonda sulla letteratura alla radio. 
Leggere i classici alla radio sembra una cosa facile, che ci vuole? Ne scegli uno e lo leggi. Eppure, dietro le quinte di un programma che sembra in apparenza così semplice come per esempio Ad alta voce, esiste un lavoro di scelta, cura e competenza del mezzo radiofonico che mi piacerebbe, se ne avrò l'occasione, di illustrare. 

"Ascoltare" la radio, "sentire" la radio. Noi e voi di Radio3 facciamo, al di qua e al di là dell'apparecchio, una cosa simile con la medesima passione. Siamo in sintonia!


(ON AIR)













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giovedì 12 novembre 2015

Legge 40

Triste un bimbo cieco 
in un angolo di veranda.
Fiori d'ibisco
(Kaya Shirao 1738-1791)




Grande rivoluzione sulla legge 40, quella che regola la procreazione assistita. 
Dopo anni e anni di aggiustamenti, discussioni e crociate, non è più reato la selezione degli embrioni affetti da malattie genetiche (notizia QUI). Sarà garantita alla coppia, in sintesi, la nascita di un figlio senza malattie genetiche. Un passo in avanti visto che l'accesso alla procreazione medicalmente assistita rimane un'opportunità da cogliere o meno a seconda di ciò che se ne pensi.

In che modo festeggi questo risultato la parte della sinistra PD più radicale, coloro che hanno contribuito a vincere battaglie come questa e che, distaccandosi, ora preferiscono marciare da soli, può essere una domanda politica lecita.
Ma non me la pongo. Non mi va.

(Fiori d'ibisco)




mercoledì 11 novembre 2015

Trasloco (1)

Acqua che scorre -
a nessuno in particolare
arrivederci
(Santōka 1882-1940)



E mica sono Santōka a cui bastava una sacca a tracolla dove infilare la ciotola per le elemosine - sacca che serviva anche per mangiare e bere - un taccuino, la penna e una bottiglietta di saké! E che attraversava il Giappone senza legarsi troppo né alle cose né alle persone!
Non viaggio così leggera, purtroppo, e i miei duecento "colli" (centocinquanta scatole di libri e il resto tra mobilia e carabattole) la dicono lunga.
Tutti che mi dicevano "Ahia il trasloco! Un dolore pari al lutto! Una rogna infinita! Un vero incubo!"
Ma alla fine, il trasloco, ha una sua utilità "igienica". Si tira una linea, si buttano tante cose scegliendo solo quelle che servono. Si impilano anni e si incartano ricordi. 
Le foto spuntano a tradimento, è vero. Una "tu" vecchia di anni fa eppure così giovane, un papà che scherza con un nonno, un vecchio fidanzato, sguardi che non ci sono più, sguardi che ancora non avevano visto le cose che avrebbero visto. 
meno male che ci sono i traslocatori che ingombrano, spostano, impilano e non ti permettono alcuna commozione. Prendere o lasciare. Portare o buttare. 
Allora preferisco farmi solo queste domande: che fare di quel vecchio porcellino di vetro (fragilissimo e racchietto) che ha resistito a quattro traslochi? E di quella pentola? Quel vaso che fa molto "zia pina" peró irrinunciabile? E quelle pedule mai usate? 

Su come è possibile che dieci anni siano passati così in fretta, a chi sorridesse mio padre in quella foto, e come può succedere che "quella" che mi porto dentro la senta sempre come una "me", che "io" sia sempre "lei", quella tipa felice che il giorno del suo decimo compleanno si abbracciava la compagna di banco e che posava per una foto che avrei trovato secoli dopo e infilato nella tasca dei jeans per non perderla, no, queste domande non me le faccio.
Ah, vado a vivere nel quartiere che fu di quella mia compagnetta di classe che abbraccio lì dentro, laggiù nel tempo. Come adesso.


(Acqua che scorre)