Foglia che cade -
l’istante che tocca il suolo
s’allenta il tempo
(Katō Shūsōn 1995-1993)
Ora sono a casa, col gesso e una placca che salda i pezzetti di radio tutti insieme e, tra antidolorifico e relax obbligato, la mia vita procede. A proposito. Torniamo a quella sera, alla vita di quella sera.
Ero a duecentometri da casa, bel bella coi miei “grandi” progetti sotto il casco (la cena, che film vedere domenica, cose così) quando… già lo sapete. Ma proviamo ad andare avanti con le immagini, allargando, zoomando, vediamo chi in quel momento era lì con me.
Ecco i due ragazzi che chiamano i soccorsi e i vigili, lei premurosa, lui con una collana di perline di legno al collo imbufalito col guidatore del macchinone che si è appena dileguato, ecco la passante con la maglia viola che scuote la testa, pure col rosso è passato quello, ecco gli occhi di Mauro con dentro tutto. Ecco l’autista dell’Atac che prova anche lui a tranquillizzarmi (io che sto pensando dove avrà mai parcheggiato il suo autobus con tutta la gente dentro, mica l’avevo capito di stare in mezzo al mio fermo immagine!) e che mi dice che tutto è successo davanti a lui, che meno male, che poteva andarmi peggio, che il mezzo è provvisto di telecamera, che non è giusto che succedano queste cose. Ha la barba. Mentre parla penso che gentile, anche lui come i ragazzi che persone gentili, tutto questo casino e io in mezzo, a terra, senza potermi muovere o peggio levare il casco, meglio che stia ferma signora. Ferma. Fermato tutto nella mia testa.
Quanto sia durato “quel momento”, e se il filo a cui sono, siamo, appesi, lo si veda nel mio filmino mentale, non mi è chiaro. Ma una cosa sì, è nitidissima. Quell’angolo di città era un cuore pulsante. Il tizio? Boh.
Ero a duecentometri da casa, bel bella coi miei “grandi” progetti sotto il casco (la cena, che film vedere domenica, cose così) quando… già lo sapete. Ma proviamo ad andare avanti con le immagini, allargando, zoomando, vediamo chi in quel momento era lì con me.
Ecco i due ragazzi che chiamano i soccorsi e i vigili, lei premurosa, lui con una collana di perline di legno al collo imbufalito col guidatore del macchinone che si è appena dileguato, ecco la passante con la maglia viola che scuote la testa, pure col rosso è passato quello, ecco gli occhi di Mauro con dentro tutto. Ecco l’autista dell’Atac che prova anche lui a tranquillizzarmi (io che sto pensando dove avrà mai parcheggiato il suo autobus con tutta la gente dentro, mica l’avevo capito di stare in mezzo al mio fermo immagine!) e che mi dice che tutto è successo davanti a lui, che meno male, che poteva andarmi peggio, che il mezzo è provvisto di telecamera, che non è giusto che succedano queste cose. Ha la barba. Mentre parla penso che gentile, anche lui come i ragazzi che persone gentili, tutto questo casino e io in mezzo, a terra, senza potermi muovere o peggio levare il casco, meglio che stia ferma signora. Ferma. Fermato tutto nella mia testa.
Quanto sia durato “quel momento”, e se il filo a cui sono, siamo, appesi, lo si veda nel mio filmino mentale, non mi è chiaro. Ma una cosa sì, è nitidissima. Quell’angolo di città era un cuore pulsante. Il tizio? Boh.
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