giovedì 23 giugno 2022

A Patrizia Cavalli

Vecchio post. In memoria di Patrizia Cavalli mancata il 21 giugno appena passato, in un primo giorno d’estate. Con lei va via un pezzo di mondo che mi piace, che cerco tra i sampietrini o sopra un ponte, si azzitta la voce con la pigra cadenza romana e con essa il ritmo nei versi che solo lei poteva restituire così. Se ne va Patrizia Cavalli, sguardo freccia, la seduttiva e vanitosa, intelligente e bizzarra, intransigente solo nel verso e nel rispecchiarsi dentro quello che faceva e che così tanto le assomigliava, invariabile nel tempo eppure cangiante come un cielo romano, come la vita meravigliosa che cantava.

Ed ecco quello che scrissi qui, il 9 giugno del 2019, in occasione dell’uscita di un suo libro di prosa.


Quello che è mio potrebbe essere vostro?
No, se fosse vostro non sarebbe mio.
Ma il mio cos'è? Dov'è?
Non sono certo io, non lo ritrovo in me.
Di me mi sento infatti mandataria,
ma in nessun modo, mai, la proprietaria.
(Patrizia Cavalli) 

"Ma díglielo, no? Dille quanto ti piace!"
Ci ho provato. Anzi l'ho anche fatto, negli anni, nelle occasioni dei festival, ma non mi importa. A casa sua, quando l'ho incontrata la prima volta, una quindicina di anni fa, no, lì non dissi nulla preferendo un sorriso vuoto e gentile, non avevo ancora centrato il suo sguardo poetico, e mi aggiravo in una casa piena di anfratti, di camere, di copriletti colorati e libri. Col registratore e il microfono, la seguivo nei meandri allegri di quella casa romana che se lo dici, abito a Campo de' Fiori, sembra impossibile; la seguivo tipo Fido mentre mi mostrava alcune letture che la impegnavano in quel momento e, mentre parlava allegramente, col suo sorriso, e gli occhi rapinosi, io sorridevo e registravo le sue poesie. Da quel pomeriggio, infisso nella mia testa come una pietra dentro il castone, della sua scrittura, di quel suo disincanto e lo sprazzo di dolcezza improvviso che balena nel verso, non ne ho fatto più a meno. L'ho sempre più capito, aspettandolo. Aspettando quella chiusura ribatatrice di ogni sua poesia, quel kireji della Cavalli e non di uno haiku, fatto di un lampo di gioia, di ironia, di depressione, di amore solo suo. È diventata la compagna di passeggiate romane, quando in motorino attraverso un ponte, se vago nella città barocca dai palazzi color pastello, celestini, arancio e burro penso a quei copriletti. Se scopro un capitello in un angolo, con una vecchia mendicante seduta sopra o incerottato dalle strisce di plastica dei lavori in corso, mi sembra che geolocalizzi un suo verso. E provo a fare mio quel senso di malinconica immanenza e di vita da mangiare. "Con passi giapponesi" è la raccolta di racconti appena uscita, dove, sia ben chiaro, il Giappone non c'entra nulla. Non so cosa dire su questo libro che mi ha colpito tanto (allora cosa scrivi? Scrivo questo: "non so cosa dire"); che è come se qualcuno da lì dentro mi parlasse, anzi mi guardasse, anzi, ci guardiamo riconoscendoci. 

Quello che è mio potrebbe essere vostro?
No, se fosse vostro non sarebbe mio.
Ma il mio cos'è? Dov'è?

E una volta finito mi è gravata addosso quella sensazione di sbigottimento, misto a una ansia lieve, succede quando un autore sembra parlare a te, proprio a te, quando capisci che quello che è suo potrebbe essere tuo. E forse lo è anche un pochino. 



4 commenti:

  1. Avrei scritto, sapendolo fare, usando le stesse tue parole.

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  2. Sono incantata...davvero

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  3. 30 giugno 2018 Recanati celebrazioni Leopardiane .Patrizia Cavalli da voce alle sue poesie ; leggerezza, profondità ,ironia , indimenticabile! "La parola e una superficie profonda" . Sempre grata Susanna

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