martedì 6 luglio 2021

Raffaella Carrà


Spunta dalla radio
una canzone di quando
stavo diventando grande
(Santōka 1882-1940)

“È morta la Carrà!”, e alza lo sguardo dal telefonino. Dall’accento mi pare russa. La sento ripetere la notizia alla signora che le siede accanto, scandisce parola per parola nell’orecchio della vecchia ben pettinata e con l’abitino fresco in tinta con le scarpette che adesso sta sgranando gli occhi liquidini “la Carrà? Ma quanti anni mai aveva…” 
Risponde la vicina di sedia, allentandosi la maglietta di dosso, “Settantotto, era malata forse, non si sa…”. Questa volta l’accento è ispanico (quanto fa caldo nella sala d’aspetto del medico della mutua, fa sempre troppo caldo ) e continua a fissare il cellulare coi pendagli sulla cover.
“Povera!” fanno in coro la donna col numero dopo il mio e il bambino appeso al ginocchio, e l’uomo che sembrava sonnecchiare fino a quel momento, uno schiavo dei pasti a domicilio o forse un aiuto benzinaio, catapultato nella mia città chissà da dove, chissà da quando, giusto nel tempo di Raffaella. 
Eravamo tutti tristi ieri pomeriggio in quella sala d’aspetto di una palazzina qualsiasi a squagliarci nell’afa, e tutti un po’ parenti.

                                                               (la grande bellezza)






1 commento:

  1. La Carrà, popolare sino alla sua morte, che è passata di bocca in bocca in un battibaleno, come un tam tam, come una danza africana in cerchio al suono di un tamburo che arriva dritto al cuore di tutti

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