venerdì 1 aprile 2016

Zaha Hadid

Centinaia e migliaia 
i tubi a bocca aperta -
cade la neve
(Ishida Hakyō 1913-1969)


A quali tubi si riferisse l'oscuro Hakyō - canne di un bosco di bambù, camini o ciminiere - è un mistero. Se fosse l'immagine poetica di un cantiere fermo per la neve?

Ho sempre amato gli interventi architettonici che rompono l'andamento estetico di una grande città, vedi piramide di vetro dentro l'altero Louvre. A Roma ho amato da subito, ad esempio, l'involucro bianco di Richard Meier intorno l'Ara Pacis che nel tempo è diventato "altro", non più solo scrigno protettivo ma anche luogo di aggregazione spontaneo - ci si può sedere su quel marmo splendente, riposarsi al fresco della fontana verticale facendo due chiacchiere o mangiando un panino - che ha arricchito la mia città. 
O l'auditorium di Renzo Piano che ha bonificato una zona di degrado urbano, bellissima ma abbandonata a se stessa, offrendo alla città un polo culturale ed economico.
Oggi non voglio pensare ai cantieri abusivi, alla speculazione edilizia, alla cementificazione selvaggia, ai bertoni che allignano in attici esclusivi e ristrutturati con l'aiuto di Dio, ma solo all'impronta che lascia nella storia grande e nella micro storia di ognuno di noi, il passo di un grande architetto.
Il modo sbieco di guardare alla città, mai convenzionale, che ti indica come usare i tuoi occhi e lo spazio da condividere con gli altri.
Filosofico sguardo per filosofici cantieri. 


(Zaha Hadid 1950-2016)





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