lunedì 31 agosto 2015

Buchi neri

La sfera di fuoco del sole
è caduta, lasciandosi dietro
risaie gelate
(Saito Sanki 1900-1962)



Un po' da day after questo haiku, non è vero? 

Sono sfinita. Volevo guardare i Campionati Mondiali di Atletica in tv ma ho passato il weekend studiando fisica, cosmologia e astrofisica ovvero solo alcune delle discipline di Stephen Hawking, lo scienziato che tre giorni fa ha dichiarato: "Se finite in un buco nero, non datevi per vinti. Un'uscita c'è" (leggi QUI)
E giù a ripassare. Dunque, un buco nero...cos'era di preciso preciso? E Einstein cosa diceva, forse che una volta finiti tutti dentro questa stella collassata non rimaneva molto da fare? Buco nero...buchi neri... Allora, noi siamo qui, la via Lattea era, no, è laggiù...

Ma ecco la notizia: questa nuova teoria di Hawking, questa improvvisa visione "rosea" dei buchi neri che ha sorpreso il mondo accademico e che escludo di comprendere dal punto di vista scientifico, questa nuova teoria, dicevo, proverò ad applicarla io stessa da oggi in poi, ogni qual volta leggerò delle chiamiamole dichiarazioni sui migranti da parte dei leghisti televisivi, dei nazistoidi caserecci o dei razzisti condominiali. 
Se non ci arrivano da soli, se quelle immagini di barconi non li smuovono, se non si connettono empaticamente e umanamente con ognuna di quelle esistenze, se ancora pensano che "ce rubbeno il lavoro", chiuderò gli occhi (e le orecchie) e applicherò la nuova teoria di Hawking, ovvero: se è possibile uscire da un buco nero, vuoi che non ci sia una via di uscita per non sentire più blaterare cose di questo tipo?

Ma siccome nel weekend ho studiato moltissimo, ma tanto proprio, ho capito che Hawking si è sbagliato.
Il bel buco nero, di quelli vecchio stile e senza via uscita, se li potrebbe pure inghiottire insieme alle loro meschine dichiarazioni.
Sarà la storia a dimostrare la mia teoria anche se proprio oggi la Gran Bretagna anche di Mo Farah, il pluricampione inglese di origine eritrea, vuole chiudere le frontiere a chi cerca lavoro (Notizia QUI).


(Mo Farah. Arrivato. Con la gioia di tutto il resto del mondo)









venerdì 28 agosto 2015

Orienti da scoprire

Ho del riso 
dei libri
e persino del tabacco
(Santoka 1882-1940)
  



In questo agosto agli sgoccioli vi propongo l'haiku santokiano che di solito dedico ai libri di cui mi interessa parlarvi.
  
E vi propongo anche un meraviglioso viaggio da fermi, quello di "Cina e altri Orienti", scritto da Giorgio Manganelli e ora uscito per Adelphi con la cura di Salvatore Silvano Nigro.
Mai avrei pensato di innamorarmi di questo libro infilato all'ultimo momento in borsa, scritto da un intellettuale che ha vissuto come "a lato" del suo tempo, in un modo originalmente sghembo e che, finora, avevo trascurato. Ovvio. Sapevo. Sapevo che da molti è consideratissimo e che ha scritto tanto. Ma è andata così. Preciso, va così. Ci devi sbattere, contro un autore, ci devi sbattere da solo e in "quel" momento. Per me va così. 
Forse il cono di luce era tutto su Parise o Calvino, forse era il meno avanguardista del gruppo '63, il meno beffardo tra gli snob. Non so. O semplicemente piace troppo a chi non sopporto. 
Insomma, fino a questo libro, Manganelli non l'avevo ancora mai letto. 
Una volta lo vidi in tv, credo negli anni ottanta, alle prese con un pesce cinese dall'apparenza disgustosa ma di cui tesseva lodi sperticate. Era, fino a questo libro, solo un coriandolo, un pixel nel mio personale blob mentale, un panciuto e occhialuto signore di mezza età che parlava, dottamente divertito, e molto prima di tutti gli altri, di cibo cinese. 

"Cina e altri Orienti", che offre al lettore un diario di viaggio d'autore in posti esotici, Giorgio Manganelli l'aveva scritto pochi anni prima di quel pezzo televisivo che mi colpì. 
Quella mirabile spiegazione sui templi cinesi dove Manganelli chiede al lettore, per comprenderli bene, di immaginare di stare dentro una chiesa dove è possibile trovare la statua di Primo Carnera lì a sinistra, Cadorna a destra, Pico della Mirandola che vigila su Romolo e Remo, un Buddha sorridente vicino a Mandrake e poi lo zar Nicola, e il famoso protettore delle scimmie, Ugo Foscolo. 
E la Malesia, da lui amatissima e definita con la nitidezza dell'inchiostro di china, che leggiamo attraverso alcuni dei suoi suoi culti, dentro i suoi palazzi, fino nei suoi infimi commerci. Pagine innamorate del suo lento e seduttivo vivere. 
Le notazioni sulla pervasività dell'Islam, sull'epopea della famiglia Bhutto, i rumori della giungla tropicale come "vibrafono di chele", "minutaglia di suoni", "un bassocontinuo di microscopiche zampe". Il sesso, le case, gli alberghi, la lotta con l'aria condizionata.


(in viaggio)

Non ho molto altro da aggiungere, né è mia intenzione farlo, so bene quanto siano devoti ed esaustivi molti critici letterari nei suoi confronti. Prendetelo come un "post- it" per un prossimo viaggio da fermi.
Mi piace di più ricordare qui, e con voi, la sensazione di benessere provata nel leggere i suoi Orienti a distanza di quasi quaranta anni da questi nostri Orienti contemporanei, di una Cina che aveva da pochissimo tempo riposto le tute blu e appeso le bici al chiodo e che ora, insieme all'India, è ago della bilancia di tutta una nuova economia.
Le volute di un'intelligenza così acuta e lungimirante quella di Manganelli, un'ironia malinconica che sopravvive a dispetto della biografia.

E durante quest'estate, ora agli sgoccioli, l'ho spesso letto ad alta voce, condividendo con chi mi era accanto, l'unicità di questo suo sguardo che ho incrociato, a sorpresa, solo ora.
Dopo più di vent'anni da quella vecchia puntata di Mixer.

giovedì 27 agosto 2015

Giorni d'estate

Se mi lavo le piante dei piedi
diventano
bianche
(Ozaki Hosai 1885-1926)




Dopo giorni di ozio a piedi scalzi, rimettersi la scarpe, è dura. Io. Che amo stare scalza, che non temo pavimenti sporchi né microbi assassini o verruche piscinesche. E che cammino a piedi nudi - a casa! - anche d'inverno, e forse proprio da quando tanti anni fa incrociai per strada un vecchio bellissimo signore, un tipo alla Vittorio Gassman, che camminava, zuppo, nella pioggia.
"Posso darle un passaggio con il mio ombrello?" gli chiesi, alzandolo alla sua altezza che ricordo notevole. "Non si disturbi! Non ho mai usato ombrelli, cammino scalzo anche d'inverno e non ho mai preso un raffreddore. E ho ottantacinque anni!". E dicendomi queste parole il vecchio signore mi superò con una bella e sicura falcata.    

Questo per dirvi che io sono pronta, se mi seguite! Scrolliamoci la sabbia dai sandali e affrontiamo i prossimi giorni. Affrontiamo anche l'inverno, che sembra ancora così lontano, e con lui progetti, impegni, scadenze.
Piano, però. Con calma. C'è ancora un scampolino d'agosto, ora che ci penso.

Bentrovati!


(calendario da tavolo)


giovedì 13 agosto 2015

Viaggio con Shiki (2)

E oggi vi propongo un altro viaggio zen, quello del colto e sensibile Shiki. Un viaggio diverso.
Malinconico e solitario Shiki. Dalla vita breve e sfortunata, minata dalla malattia eppure sempre adorata, il cammino di Shiki si può misurare in pochi tatami ma il viaggio da fermo che ci propone è tra i più struggenti e suggestivi che abbia mai conosciuto. 
Un orizzonte forzatamente limitato, poche persone intorno, un ramo di glicine nell’ampolla dei medicinali, una finestra, un paravento, qualche insetto molesto, i quaderni  con gli haiku da pubblicare sulla sua rivista letteraria, un cesto pieno di caki, di cui era golosissimo, sempre a portata di mano. 
Piccole povere cose quotidiane su cui Shiki si sofferma e a cui restituisce un valore nuovo. Non solo universale ma anche, e fortemente, drammatico, già novecentesco. I suoi haiku non parlano di una foglia, ma di “quella” foglia, non vogliono descriverci un giardino  ma “quel” giardino. 

Giorno di primavera

si perde lo sguardo 
in un giardino
 largo tre piedi

Questo piccolo viaggio nei viaggi zen finisce qui. Non abbiamo cercato viaggi "tutto compreso", isole coralline o evasione dalla nostra realtà. Qui nel Dailyhaiku è la realtà ad accompagnarci, non vogliamo fuggirla, anche in questi giorni di ozio estivo.
Ma non desidero appesantire l'aria vacanziera e ferragostana!
Chiudo allora con un haiku di Issa che è solo un bel sorriso sulla vita e sulla dolcezza delle piccole cose quotidiane che per lui erano proprio così: dolci come una serata estiva. 
Buone vacanze!

Dolce serata estiva-
spesa dormendo 
tra cumuli di bagagli


(Torno subito!)






mercoledì 12 agosto 2015

Viaggio con Bashō (1)

"Viaggiatore" voglio essere chiamato

ora che cade
 
il primo scroscio della stagione.

(Bashō 1644-1694)


Proprio in questo mezzo agosto, in piena zona vacanze, quando tutti chiacchierano di tramonti, mojito e sabbie rosate, voglio anche io parlarvi di viaggi. Ma lo faccio con Bashō quindi riponete parei e carte geografiche e mettetevi comodi.


Bashō fu colui che codificò la poesia breve, la ridusse a soli tre versi e la arricchì linguisticamente inserendo termini legati alla quotidianità ma che al contempo fossero in grado di comunicare con le sue emozioni. 
Bashō fondò una scuola di poesia che gli procurò fama e agio economico ma... cambiò repentinamente strada: scelse i sandali e il cappello di paglia tipici dei monaci zen, tabi e kasa, e incominciò a viaggiare per il Giappone. Uomo coltissimo, conosceva il cinese e le poesie Tang, scelse la povertà assoluta e raccolse le sue riflessioni in alcuni diari di viaggio giunti fino a noi. Il suo itinerario prediletto? La fioritura dei ciliegi. 
Matsuo Munefusa, questo il suo vero nome, era un samurai, e si tramanda che i suoi discepoli, colpiti dalla sua grande velocità e incredibile agilità fisica, lo immaginassero essere stato un ninja, la misteriosa spia che dal quel Giappone feudale è arrivata fino ai manga dei nostri giorni.
Eppure il nostro sorprendente monaco, così agile fisicamente e così rapido nel cambiare il corso della sua esistenza, si scelse, come nome zen che lo identificasse, quello della creatura più stabile e radicata al suolo che esiste. Bashō, albero di banano, questo il significato in italiano, viaggiò tanto e per lunghi mesi. Ed è la sua stessa biografia ad apparirci come sintesi tra tensione ed equilibrio, tra movimento e staticità. 
Tutta la sua vita di eremita la spese componendo haiku innovativi e innamorati della natura che osservava. Morì, circondato dall’affetto degli allievi, in seguito all’aggravarsi delle sue condizioni di salute che, alla fine dei suoi giorni, lo obbligarono alla sedentarietà.
In questo haiku, uno degli ultimi che compose, è lo stesso Bashō a indicarci ancora i suoi sogni, i suoi desideri. E i campi che ci mostra, un tempo attraversati con energia, sono un presagio di fine:

Mi sono ammalato in viaggio
I miei sogni vagano
per i campi spogli 


(Traversata)







Prima puntata di tre tappe dedicate a tre grandi viaggiatori zen e ai loro viaggi, esistenziali e reali, che potete leggere anche su questa rivista on line QUI che, nel numero di questo mese, è interamente dedicata al viaggio.
Appuntamento sul mio blog domani con il viaggio di Shiki.

venerdì 7 agosto 2015

Cicala

Ah! Tranquillità -
E fino al cuore delle rocce
il canto delle cicale!
(Bashō 1644-1694)


Per agosto avevo deciso di dare al mio DAILYHAIKU un andamento più lento, più rarefatto insomma scriverne di meno e riposare un po' le mie meningi che stanno iniziando anche loro a frinire. Ma quando ti arriva una foto come quella che Lorenza Palmieri, che non conosco personalmente ma so mia follower su TW, cosa posso fare se non cercare un haiku giusto da dedicarle?
La soddisfazione che una cosa piccola come questo blog sia entrata nelle abitudini quotidiane di chi mi segue è troppo grande, e che incida poi nell'immaginazione di chi mi legge...non ne parliamo!
Quindi, nel nome delle cicale, vi dedico un haiku cicalante di Bashō anticipandovi una storia  sempre a base di cicale, tutta vera, che mi riguarda da vicino e che sarà un Dailyhaiku a puntate dei prossimi giorni.
Ah! Tranquillità...


  (Fino al cuore)






giovedì 6 agosto 2015

Bomba

Città della bomba atomica.
Si raccolgono mele
con l'energia elettrica tagliata.
(Kaneko Tōta 1919) 


E con oggi sono passati settanta anni da quando gli Stati Uniti sganciarono la bomba atomica su Hiroshima. Le riflessioni sul filo di memoria e rimozione le leggerete mentre il numero dei naufraghi morti per arrivare sulle nostre coste continua a salire. Che c'entra? È la bomba di oggi, la tragedia che stiamo vivendo, in cui siamo dentro e che rimuoviamo. 
Ma torniamo al 6 agosto di settanta anni fa.

Questo day after in tre versi fu scritto dopo la tragedia da Kaneko Tōta, il più surrealista tra i poeti di haiku che ho imparato ad apprezzare nel tempo. Lo sguardo di Tōta sulle cose può ricordare l'ottica distorta di Dalì, la natura di cui parla è sofferente, onirica, i colori spesso sono saturi e molto poco rassicuranti. 


(clicca "Il gusto del saké")

Sere fa, in un'arena romana, proiettavano il film di Yasujiro Ozu, ora restaurato e per l'occasione di nuovo nelle sale, "Il gusto del saké". A colpirmi non solo l'estetica e lo sguardo registico. La bomba e chi la sganciò sembrano nel 1962 completamente rimossi, i personaggi ci appaiono affascinati dal capitalismo occidentale e in pieno desiderio da boom economico. Sognano all'americana, gli uomini seguono il baseball e le donne desiderano un bel frigo nuovo a neanche una dozzina d'anni di distanza dal quel 6 agosto. 

A proposito di rimozione, un anno dopo l'uscita del film di Ozu, il giovane scrittore Kenzaburo Oe, si recherà ad Hiroshima per annotare le sue impressioni in un libro . 
Il futuro Nobel per la letteratura restituisce la parola agli hibakusha, ai sopravvissuti. 
Nel suo libro-dedica trovano voce coloro che non si suicidarono nonostante tutto quello che furono costretti a subire. 
Gli hibakusha, le vittime sospese tra il dovere di ricordare e il diritto di tacere. 
Dal glossario del libro, tradotto da Gianluca Coci, riporto la spiegazione in italiano di hibakusha, comprensiva di una importantissima sfumatura, non solo linguistica, su cui vale la pena riflettere:

< Hibakusha (lett. "coloro che sono stati colpiti dal bombardamento"). Il termine, che si scrive con tre caratteri cinesi che significano rispettivamente "ricevere, subire" (hi), "scoppio", "esplosione" (baku), "persona" (sha), è correntemente utilizzato per indicare coloro che scamparono ai bombardamneti di Hiroshima e Nagasaki e che furono colpiti in modo più o meno grave dalle radiazioni atomiche. I giapponesi coniarono questo neologismo abbastanza neutro in modo da evitare il più possibile termini come "sopravvissuti" o "superstiti" che, mettendo l'accento sul fatto di essere vivi, potevano apparire offensivi nei confronti dei defunti. >

Ricorda i sopravvissuti ai lager, quel senso di angoscia e di vergogna di Primo Levi.

Vite eroiche, quelle descritte in "Note su Hiroshima". Un ex macellaio, una maestra di koto, uno studente, un magazziniere, completamente soli, piccoli monumenti alla memoria e alla dignità a cui gli stessi giapponesi, e con loro il resto del mondo, fino a questo momento, sembravano guardare con fatica.








martedì 4 agosto 2015

Cicale

Cantano le cicale
sulle pere avvolte
in buste di carta
(Issa 1763-1827)



Che nessuno mi tocchi le cicale!
Ma come è possibile stare senza quel sottofondo che sa di legno e caldo? Che ti offre una meditazione sciuè sciuè in grado di connetterti direttamente con il cosmo? E come farò in inverno?

Se i monaci zen con il kigo estivo della cicala si sono sbizzarriti regalandoci haiku come questo, che molto ha del quadretto impressionista, molto ma molto più modestamente vi annoto la mia esperienza mistica: attraversare in motorino, o a piedi, "Roma cicalona" e ascoltare i cori estivi.
Cicale che attaccano all'unisono, poi un assolo, un crescendo, un repentino silenzio per poi ricominciare. Ma dove siete mai?

E ci si sente vivi. Semplicemente.


(Produzione estiva)

lunedì 3 agosto 2015

Calais

Riparato dentro
una capanna in rovina
la mia vita in rovina
(Santoka 1882-1940)



Guarda un po'. In queste ultime ore la questione migranti sembra essere diventata degna di attenzione anche per Francia e Gran Bretagna!
Le migliaia di persone, che vogliono passare il tunnel sotto la Manica, la rendono urgente anche agli occhi liquidi del socialista-egoista Hollande e di Cameron, occhi che, fino a questo momento, guardavano chissà dove.
La crisi migratoria diventa prioritaria, diventa urgente ed "europea" solo quando accade lì, a Calais, sotto i loro preziosi piedi (QUI). Una volta tanto, noi italiani con il nostro Sud, non ne usciamo male: invece di usare lacrimogeni, idranti e cani diamo un ricovero, cibo e acqua.
E allora l'haiku di oggi, tocca rileggerlo. Qui, quelli nascosti, con la vita in rovina e da compatire, non sono i migranti. 


(Guarda laggiù! Museo MAXXI a Roma.)