giovedì 6 agosto 2015

Bomba

Città della bomba atomica.
Si raccolgono mele
con l'energia elettrica tagliata.
(Kaneko Tōta 1919) 


E con oggi sono passati settanta anni da quando gli Stati Uniti sganciarono la bomba atomica su Hiroshima. Le riflessioni sul filo di memoria e rimozione le leggerete mentre il numero dei naufraghi morti per arrivare sulle nostre coste continua a salire. Che c'entra? È la bomba di oggi, la tragedia che stiamo vivendo, in cui siamo dentro e che rimuoviamo. 
Ma torniamo al 6 agosto di settanta anni fa.

Questo day after in tre versi fu scritto dopo la tragedia da Kaneko Tōta, il più surrealista tra i poeti di haiku che ho imparato ad apprezzare nel tempo. Lo sguardo di Tōta sulle cose può ricordare l'ottica distorta di Dalì, la natura di cui parla è sofferente, onirica, i colori spesso sono saturi e molto poco rassicuranti. 


(clicca "Il gusto del saké")

Sere fa, in un'arena romana, proiettavano il film di Yasujiro Ozu, ora restaurato e per l'occasione di nuovo nelle sale, "Il gusto del saké". A colpirmi non solo l'estetica e lo sguardo registico. La bomba e chi la sganciò sembrano nel 1962 completamente rimossi, i personaggi ci appaiono affascinati dal capitalismo occidentale e in pieno desiderio da boom economico. Sognano all'americana, gli uomini seguono il baseball e le donne desiderano un bel frigo nuovo a neanche una dozzina d'anni di distanza dal quel 6 agosto. 

A proposito di rimozione, un anno dopo l'uscita del film di Ozu, il giovane scrittore Kenzaburo Oe, si recherà ad Hiroshima per annotare le sue impressioni in un libro . 
Il futuro Nobel per la letteratura restituisce la parola agli hibakusha, ai sopravvissuti. 
Nel suo libro-dedica trovano voce coloro che non si suicidarono nonostante tutto quello che furono costretti a subire. 
Gli hibakusha, le vittime sospese tra il dovere di ricordare e il diritto di tacere. 
Dal glossario del libro, tradotto da Gianluca Coci, riporto la spiegazione in italiano di hibakusha, comprensiva di una importantissima sfumatura, non solo linguistica, su cui vale la pena riflettere:

< Hibakusha (lett. "coloro che sono stati colpiti dal bombardamento"). Il termine, che si scrive con tre caratteri cinesi che significano rispettivamente "ricevere, subire" (hi), "scoppio", "esplosione" (baku), "persona" (sha), è correntemente utilizzato per indicare coloro che scamparono ai bombardamneti di Hiroshima e Nagasaki e che furono colpiti in modo più o meno grave dalle radiazioni atomiche. I giapponesi coniarono questo neologismo abbastanza neutro in modo da evitare il più possibile termini come "sopravvissuti" o "superstiti" che, mettendo l'accento sul fatto di essere vivi, potevano apparire offensivi nei confronti dei defunti. >

Ricorda i sopravvissuti ai lager, quel senso di angoscia e di vergogna di Primo Levi.

Vite eroiche, quelle descritte in "Note su Hiroshima". Un ex macellaio, una maestra di koto, uno studente, un magazziniere, completamente soli, piccoli monumenti alla memoria e alla dignità a cui gli stessi giapponesi, e con loro il resto del mondo, fino a questo momento, sembravano guardare con fatica.








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