per la pianura d'estate.
Io in una pittura.
(Bashō 1644-1694)
Capita che certe parole ci vengano in visita dal passato.
Mi trovavo in quella seccante situazione che conosciamo tutti: sulla sedia del dentista. Immobile, piedi formicolanti, lingua secca prosciugata da quella specie di uncino aspirante, con un orecchio improvvisamente da grattare su cui premeva parte di quell'aggeggio che consente di tenere la bocca ben aperta. Mentre stavo combinata così, casualmente mi intravedo riflessa in un segmento metallico della lampada accecante, che pietosamente ogni tanto mi abbassano dagli occhi sbarrati, e penso "Ma guarda che caspita di mordacchia mi hanno messo!"
'Mordacchia' è una parola che usava mio padre. "Ti metto la mordacchia!" mi diceva quando rompevo, quando parlavo troppo con il mio tono petulante che lui imitava facendo le smorfie. Imparai perfettamente il significato di "mordacchia" pur vivendo in un appartamento e non in una fattoria.
E amo il suono dispettoso di questa parola buffa che scherza con "racchia" e con "morso" e che un papà esasperato e simpatico mi lanciava dietro quando ero ragazzina. Una parola che ieri pomeriggio, dal dentista, improvvisamente, mi ha accarezzato.
Capita così con certe parole che, all'improvviso e chissà perché, ci raggiungono dal passato.
(Il mio cavallo cammina) |
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