Ho dei libri
del riso
e persino del tabacco
(Santoka 1882-1940)
"Ecco l'isola dai tanti nomi: Yrnm, Cossyra, Qawsra, Bent el-Rhia, Pantelleria" scrive Giosuè Calaciura nel suo libro dedicato a Pantelleria, questa isola minuscola con già dentro il suo nome un elemento panico.
Pantelleria è l'ultima isola, un distillato di universo, un big bang in formato tascabile.
In questo libro la scrittura coincide precisamente con ciò di cui si racconta. Parole dense, solide, scelte e collocate come piccole pietre su un muretto a secco, una per una. Artificio o natura? Parole per guidarci in un posto nato dalla terra esplosa, mosso da terremoti e che sa più di lava che di mare.
Terra. Pietre. Su cui cresce poco e con grande fatica. L'astuzia dei suoi "jardini", i torrioni di pietra che, come scrigni di ombra e di acqua abilmente convogliata al loro interno, custodiscono una sola pianta di aranci o di limoni. Il nero vetroso della pietra lavica, il suo calore che sa di forno, dice Calaciura.
Da una pietra si può nascere, sulla pietra si può vivere? E se la pietra può essere pane e madre, la morte è come la vita? Pantelleria prende la voce dell'autore e si rivolge ai ricchi turisti che ristrutturano i dammusi e ai migranti che raggiungono la sua costa sui barconi.
L'elemento ctonio, pauroso eppure così familiare, continua il suo soliloquio eterno, come farebbe una creatura di Ovidio o di Omero, un essere mitico che viene dall'Oriente o dall'Africa. Ci riguarda, ci parla. Ci incanta.
Questa è una guida che non porta da nessuna parte, non suggerisce ristorantini o calette blu da postare su istagram, ci invita a stare fermi, in ascolto. Non parla troppo e, secondo me, assomiglia molto al suo autore.
Calaciura capovolge la bella copertina del suo libro per raccontare, con la lingua adatta, quello che c'è sotto l'isola amata, sotto la superficie del mare.
E riesce a mostrarci i luoghi oscuri e ribollenti che sorreggono tutta l'umanità prima che affondino di nuovo.
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(isole in redazione) |
Il sole del mattino -
scintillando si leva
su boschi di brina
(Iida Dakotsu 1885-1962)
Oggi una grande vittoria verde in Austria, vince il professore ecologista Van Der Bellen!
L'Austria torna nella lista dei Paesi dove posso di nuovo, e serenamente, recarmi in vacanza un giorno, ed esce di diritto dall'elenco dei Paesidovenonvado.
Non ho intenzione di recarmi in Turchia o in Ungheria, esempi di paesidovenonvado, ovvero quelli che hanno fatto passi indietro in materia di diritti civili come l'Egitto (e pazienza per le piramidi che non ho mai visto), o quelli ghetto, con i resort attaccati a slum dove sniffano colla. No, non ci vado. La Svizzera con le sue banche confortevoli come centri estetici può stare dove sta e se vince Trump guarderò solo i film. Quella dei Paesidovenonvado è una strana lista, in fieri, si entra e si esce, basta un piccolo segnale di cambiamento, di apertura e cambia l'elenco.
Quindi oggi festa! Grandi passeggiate per boschi di brina austriaci, alte montagne, wurstel e birra!
L'Austria. Il suo "ordine" e la sua "vivibilità" tornano valori e non più obiettivi per reazionari coi bicipiti tatuati con svastiche, e quei pantaloncini di cuoio e le stelle alpine di latta, mi appaiono, oggi, anche tollerabili.
E allora grande festa! Invitati Freud, Klimt e poi Schnitzler, Musil, Bachman,Werfel, Handke, Rilke... Per la musica? Mozart!
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(Felicità verde) |
In un villaggio di cento case
nemmeno un cancello
senza il suo crisantemo
(Yosa Buson 1716-1783)
La malinconia di una giornata, una, una sola, dedicata alla legalità. Una su trecentosessantacinque? Il tritolo rimbomba ancora in lontananza, in primo piano il silenzio di uno scontrino non battuto, di una fattura mai emessa, il vuoto pneumatico di tasse evase, il ronzio continuo di una slot che macina neuroni e stipendi. Intorno, un panorama degradato a cui non guardiamo quasi più: abusi per una mazzetta, fiumi nel cemento, strade non finite, lavoratori non in sicurezza, il paesaggio violentato. Il grigio che prevale sul colore.
La malinconia di un giorno sul calendario, uno, uno solo, per parlare nelle scuole, come è successo ieri per la biodiversità: la legalità da proteggere come l'orso bianco?
Un piccolo crisantemo davanti ogni cancello in memoria di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, tutti i giorni.
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(Cappa grigia) |
Tramonto.
Il gatto torna a casa
tra le piante di tabacco
(Murakami Kijo 1865-1938)
Marco Pannella è mancato poche ore fa. Se ne è andato. Elegante, così imprevedibile e forastico, dalla zampata improvvisamente aggressiva e sguardo penetrante, sì, aveva qualcosa del gatto.
Con lui se ne va un pezzo di Italia, quella laica, quella che non si sottrae, anche fisicamente, alla responsabilità di vigilare sui diritti delle minoranze, alcune battaglie sono ancora qui davanti ai nostri occhi e sono tutte ancora da combattere.
I suoi maglioni a girocollo tra i politici con la cravatta, la cicca tra le labbra, l'aria da capo indiano che non teme nulla, il vocabolario forbito, la voce di velluto, i colpi di scena dispettosi anche per i suoi elettori. Il mangia preti, l'antimilitarista, l'antiproibizionista, il gandhiano. Aveva qualcosa di candido e di astuto, di ragazzino e di vecchio, di pudico e spudorato.
Bello che ci sia stata una visione tale della laicità, bello averne approfittato come cittadina, essere stata tutelata da quelle battaglie vinte. Bello che non si sia arricchito, che non si sia mai detta una parola sulla sua sobrietà ed onestà. E che pur nell'Italia magnacciona sia comunque riuscito a restituire l'antico valore simbolico, mistico e altamente politico al concetto di "digiuno".
Ciao.
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(RIP) |
Vecchio villaggio:
nessuna casa
senza un albero di diosperi
(Bashō 1644-1694)
"Susannaaaaa, non sai che stanno facendooo! L'albero quello bello, quello enorme bellissimoooo!" Mauro urlava nel mio telefonino cercando di superare il suono della sega elettrica. "Ho cercato di fermarli, cazzo. Ho cercato, ma nulla da fare... L'hanno distrutto..."
"Ma perchè?"
"Toglie luce, dicono, ma che ne so... Dovessi vedere come l'hanno ridotto..."
Torno a casa e, proprio come il merlo che vedo zampettare con aria interrogativa sopra quei due monconi che hanno lasciato al posto di rami, cerco anche io l'albero meraviglioso che era lì fino a poche ore prima.
"Dove è finito il mio nido, dove sta? Non lo trovo più!" Con il suo capino nervoso, sembra proprio cercarlo di qua e di là.
Fino a ieri sera ci faceva da tenda, riparandoci da sguardi indiscreti, il nostro albero, ornamento naturale e fluttuante.
"Dove sta il nostro albero? Non c'è più!".
E siamo andati a dormire tutti e tre, due umani più un merlo, tristissimi. Come se ci avessero preso a schiaffi, con un carico di frustrazione come dopo un sopruso, come se mi avessero ucciso il cane, ha detto Mauro, come se mi avessero caricato a una manifestazione pacifica, dico io.
La casa ci era piaciuta tanto anche per lui, la mattina ci svegliavamo con gli uccellini che cantavano dai rami e le ombre delle fronde che dondolavano sull'armadio. Che bello quell'albero grande che spuntava alla nostra finestra e di cui non abbiamo mai capito la specie. Non era un pino, nè un'acacia, tantomeno un diospero dai cachi prelibati, era solo un bellissimo albero.
Bellissimo, con tante foglie argentee, che sarebbero diventate gialle e poi verdi, pieno di uccellini che la mattina avrebbero ancora cantato al posto di una banalissima sveglia.
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(Stamattina) |