mercoledì 12 agosto 2015

Viaggio con Bashō (1)

"Viaggiatore" voglio essere chiamato

ora che cade
 
il primo scroscio della stagione.

(Bashō 1644-1694)


Proprio in questo mezzo agosto, in piena zona vacanze, quando tutti chiacchierano di tramonti, mojito e sabbie rosate, voglio anche io parlarvi di viaggi. Ma lo faccio con Bashō quindi riponete parei e carte geografiche e mettetevi comodi.


Bashō fu colui che codificò la poesia breve, la ridusse a soli tre versi e la arricchì linguisticamente inserendo termini legati alla quotidianità ma che al contempo fossero in grado di comunicare con le sue emozioni. 
Bashō fondò una scuola di poesia che gli procurò fama e agio economico ma... cambiò repentinamente strada: scelse i sandali e il cappello di paglia tipici dei monaci zen, tabi e kasa, e incominciò a viaggiare per il Giappone. Uomo coltissimo, conosceva il cinese e le poesie Tang, scelse la povertà assoluta e raccolse le sue riflessioni in alcuni diari di viaggio giunti fino a noi. Il suo itinerario prediletto? La fioritura dei ciliegi. 
Matsuo Munefusa, questo il suo vero nome, era un samurai, e si tramanda che i suoi discepoli, colpiti dalla sua grande velocità e incredibile agilità fisica, lo immaginassero essere stato un ninja, la misteriosa spia che dal quel Giappone feudale è arrivata fino ai manga dei nostri giorni.
Eppure il nostro sorprendente monaco, così agile fisicamente e così rapido nel cambiare il corso della sua esistenza, si scelse, come nome zen che lo identificasse, quello della creatura più stabile e radicata al suolo che esiste. Bashō, albero di banano, questo il significato in italiano, viaggiò tanto e per lunghi mesi. Ed è la sua stessa biografia ad apparirci come sintesi tra tensione ed equilibrio, tra movimento e staticità. 
Tutta la sua vita di eremita la spese componendo haiku innovativi e innamorati della natura che osservava. Morì, circondato dall’affetto degli allievi, in seguito all’aggravarsi delle sue condizioni di salute che, alla fine dei suoi giorni, lo obbligarono alla sedentarietà.
In questo haiku, uno degli ultimi che compose, è lo stesso Bashō a indicarci ancora i suoi sogni, i suoi desideri. E i campi che ci mostra, un tempo attraversati con energia, sono un presagio di fine:

Mi sono ammalato in viaggio
I miei sogni vagano
per i campi spogli 


(Traversata)







Prima puntata di tre tappe dedicate a tre grandi viaggiatori zen e ai loro viaggi, esistenziali e reali, che potete leggere anche su questa rivista on line QUI che, nel numero di questo mese, è interamente dedicata al viaggio.
Appuntamento sul mio blog domani con il viaggio di Shiki.

venerdì 7 agosto 2015

Cicala

Ah! Tranquillità -
E fino al cuore delle rocce
il canto delle cicale!
(Bashō 1644-1694)


Per agosto avevo deciso di dare al mio DAILYHAIKU un andamento più lento, più rarefatto insomma scriverne di meno e riposare un po' le mie meningi che stanno iniziando anche loro a frinire. Ma quando ti arriva una foto come quella che Lorenza Palmieri, che non conosco personalmente ma so mia follower su TW, cosa posso fare se non cercare un haiku giusto da dedicarle?
La soddisfazione che una cosa piccola come questo blog sia entrata nelle abitudini quotidiane di chi mi segue è troppo grande, e che incida poi nell'immaginazione di chi mi legge...non ne parliamo!
Quindi, nel nome delle cicale, vi dedico un haiku cicalante di Bashō anticipandovi una storia  sempre a base di cicale, tutta vera, che mi riguarda da vicino e che sarà un Dailyhaiku a puntate dei prossimi giorni.
Ah! Tranquillità...


  (Fino al cuore)






giovedì 6 agosto 2015

Bomba

Città della bomba atomica.
Si raccolgono mele
con l'energia elettrica tagliata.
(Kaneko Tōta 1919) 


E con oggi sono passati settanta anni da quando gli Stati Uniti sganciarono la bomba atomica su Hiroshima. Le riflessioni sul filo di memoria e rimozione le leggerete mentre il numero dei naufraghi morti per arrivare sulle nostre coste continua a salire. Che c'entra? È la bomba di oggi, la tragedia che stiamo vivendo, in cui siamo dentro e che rimuoviamo. 
Ma torniamo al 6 agosto di settanta anni fa.

Questo day after in tre versi fu scritto dopo la tragedia da Kaneko Tōta, il più surrealista tra i poeti di haiku che ho imparato ad apprezzare nel tempo. Lo sguardo di Tōta sulle cose può ricordare l'ottica distorta di Dalì, la natura di cui parla è sofferente, onirica, i colori spesso sono saturi e molto poco rassicuranti. 


(clicca "Il gusto del saké")

Sere fa, in un'arena romana, proiettavano il film di Yasujiro Ozu, ora restaurato e per l'occasione di nuovo nelle sale, "Il gusto del saké". A colpirmi non solo l'estetica e lo sguardo registico. La bomba e chi la sganciò sembrano nel 1962 completamente rimossi, i personaggi ci appaiono affascinati dal capitalismo occidentale e in pieno desiderio da boom economico. Sognano all'americana, gli uomini seguono il baseball e le donne desiderano un bel frigo nuovo a neanche una dozzina d'anni di distanza dal quel 6 agosto. 

A proposito di rimozione, un anno dopo l'uscita del film di Ozu, il giovane scrittore Kenzaburo Oe, si recherà ad Hiroshima per annotare le sue impressioni in un libro . 
Il futuro Nobel per la letteratura restituisce la parola agli hibakusha, ai sopravvissuti. 
Nel suo libro-dedica trovano voce coloro che non si suicidarono nonostante tutto quello che furono costretti a subire. 
Gli hibakusha, le vittime sospese tra il dovere di ricordare e il diritto di tacere. 
Dal glossario del libro, tradotto da Gianluca Coci, riporto la spiegazione in italiano di hibakusha, comprensiva di una importantissima sfumatura, non solo linguistica, su cui vale la pena riflettere:

< Hibakusha (lett. "coloro che sono stati colpiti dal bombardamento"). Il termine, che si scrive con tre caratteri cinesi che significano rispettivamente "ricevere, subire" (hi), "scoppio", "esplosione" (baku), "persona" (sha), è correntemente utilizzato per indicare coloro che scamparono ai bombardamneti di Hiroshima e Nagasaki e che furono colpiti in modo più o meno grave dalle radiazioni atomiche. I giapponesi coniarono questo neologismo abbastanza neutro in modo da evitare il più possibile termini come "sopravvissuti" o "superstiti" che, mettendo l'accento sul fatto di essere vivi, potevano apparire offensivi nei confronti dei defunti. >

Ricorda i sopravvissuti ai lager, quel senso di angoscia e di vergogna di Primo Levi.

Vite eroiche, quelle descritte in "Note su Hiroshima". Un ex macellaio, una maestra di koto, uno studente, un magazziniere, completamente soli, piccoli monumenti alla memoria e alla dignità a cui gli stessi giapponesi, e con loro il resto del mondo, fino a questo momento, sembravano guardare con fatica.








martedì 4 agosto 2015

Cicale

Cantano le cicale
sulle pere avvolte
in buste di carta
(Issa 1763-1827)



Che nessuno mi tocchi le cicale!
Ma come è possibile stare senza quel sottofondo che sa di legno e caldo? Che ti offre una meditazione sciuè sciuè in grado di connetterti direttamente con il cosmo? E come farò in inverno?

Se i monaci zen con il kigo estivo della cicala si sono sbizzarriti regalandoci haiku come questo, che molto ha del quadretto impressionista, molto ma molto più modestamente vi annoto la mia esperienza mistica: attraversare in motorino, o a piedi, "Roma cicalona" e ascoltare i cori estivi.
Cicale che attaccano all'unisono, poi un assolo, un crescendo, un repentino silenzio per poi ricominciare. Ma dove siete mai?

E ci si sente vivi. Semplicemente.


(Produzione estiva)

lunedì 3 agosto 2015

Calais

Riparato dentro
una capanna in rovina
la mia vita in rovina
(Santoka 1882-1940)



Guarda un po'. In queste ultime ore la questione migranti sembra essere diventata degna di attenzione anche per Francia e Gran Bretagna!
Le migliaia di persone, che vogliono passare il tunnel sotto la Manica, la rendono urgente anche agli occhi liquidi del socialista-egoista Hollande e di Cameron, occhi che, fino a questo momento, guardavano chissà dove.
La crisi migratoria diventa prioritaria, diventa urgente ed "europea" solo quando accade lì, a Calais, sotto i loro preziosi piedi (QUI). Una volta tanto, noi italiani con il nostro Sud, non ne usciamo male: invece di usare lacrimogeni, idranti e cani diamo un ricovero, cibo e acqua.
E allora l'haiku di oggi, tocca rileggerlo. Qui, quelli nascosti, con la vita in rovina e da compatire, non sono i migranti. 


(Guarda laggiù! Museo MAXXI a Roma.)