venerdì 13 febbraio 2015

Amore zen

Senza cipria
che candore ha il tuo viso
giovane sposa
(Ryōkan 1758-1831)



Si sta chiudendo la settimana più stucchevole dell'anno quella che a ranghi serrati va da Sanremo a San Valentino. Cuore e amore non sono proprio parole tipiche degli haiku ma... anche Ryōkan sa cantare l'amore. E nel modo più zen che esista!

Ryōkan nasce ricco e in una famiglia colta. Primo di sette fratelli, lascia la sua bella famiglia - suo padre era un poeta che preferì le lettere alla vita del feudatario - per iniziare un cammino errabondo al seguito di un monaco zen con il quale perfezionerà il cinese, la calligrafia e la poesia.
Dopo la morte del suo maestro è assalito da una crisi profonda e vive per qualche anno come unsui, nuvola e acqua - mica male potere essere per qualche tempo nuvola e acqua! - ovvero come un sacerdote errante. 
Decide di tornare sui suoi passi dopo un'ulteriore luttuosa notizia. Il suicidio del padre lo vedrà sistemarsi in un eremo nei paraggi del villaggio natale, un posto minuscolo ma isolato quanto basta per poter scendere ogni tanto tra gli altri. Solo ma con gli altri. Al villaggio, i contadini si vedevano comparire Ryokan, il monaco che amava danzare e giocare a palla con i bambini. E che beveva e mangiava qualcosa di caldo nella taverna.

Ryōkan non distingue tra uomini e cose. Conosce satori e meditazione. Una pulce, un albero, un bambino provocano in lui stupore e ispirazione. Maestro delle cose semplici, abitante del mondo. Questi due haiku non possono anche ricordarci l'atmosfera di luminosa povertà che fu di Charlot in "Tempi moderni"?

Lavo il paiolo
e il rumore si unisce
a quello delle ranocchie verdi
...

Ah! Se tutti i giorni
mi sentissi così bene
come dopo il bagno!
  
E Ryōkan si innamorerà! Di una ragazza bellissima, la sua discepola prediletta di ventinove anni di nome Teishin. Amante, allieva, segretaria adorata e devota, colei che gli rimarrà accanto fino all'ultimo giorno di vita, che contribuì a sollecitarlo nella scrittura e a cui dobbiamo la raccolta e pubblicazione dei suoi scritti. 

Ma soprattutto ispiratrice di una serie haiku "innamorati" e così profondamente zen. Come lo fu la vita di quest'uomo coltissimo, ridente e ispirato, mite e semplice. 
Forse il monaco zen più monaco zen che io abbia mai...conosciuto.  


(Amore di un'estate)




giovedì 12 febbraio 2015

Ciotole in giro

Grandina
nella mia ciotola
di metallo
(Santoka 1882-1940)


Gran parte dei monaci zen che frequento nel mio blog viveva di elemosine, oggi verrebbero chiamati barboni, invisibili, dimenticati. Giravano a piedi il Giappone, su sandali leggeri e con in testa un cappellone di bambù per ripararsi dalla luce e dalla pioggia. Si fermavano dove trovavano asilo e un po' di cibo. Conoscevano bene fame, sete, pulci, freddo, caldo e stanchezza. I loro cammini esistenziali li annotavano in forma di diario e di haiku che ancora offrono spunti di riflessione a distanza di tre secoli e più.


Fino al 2010, anno in cui morì, nella piazza dove la dolce vita di Via Veneto precipita verso il basso, piazza Barberini, si agitava un "matto". 
Spernacchiava gli automobilisti fermi al semaforo, urlava cose pazze e slogan contro i politici. Mostrava la lingua a chi lo incrociava a piedi e gli partiva pure qualche sputo.Tutti i giorni lo trovavi lì, i romani se lo ricorderanno di sicuro. Bizzarramente elegante, bretelle colorate, cravatta sopra la felpa, uno stereo a manetta. 
Ballando, perché ballava, faceva vibrare le due antenne che si era incollato sul cappelletto. A volte faceva un inchino pazzo.
Un giorno di tantissimi anni fa prese di punta la nostra macchina, urlando frasi in libertà a mio padre che era alla guida. La mia reazione fu la classica della bambina che si vede in un colpo orfana per colpa di un cattivissimo con antenne. Fatti pochi metri, e rassicurata dal fatto che mio padre era ancora vivo e al volante, riuscii a esclamare d'un fiato "Ma è proprio matto,eh?!" 
Risposta: " E' un tipo simpatico!".
Mi si ribaltò il mondo. Uno così (qui), con quelle antenne, poteva non solo non essere malvagio, ma addirittura simpatico. 

Anni dopo, avrei risposto ai "saluti cantati" di un uomo eternamente sorridente, fisso per anni allo stesso semaforo, che chiedeva l'elemosina ai passanti. Dal taschino della giacca sbucava una forchetta con un pezzetto di pane infilzato. "Per quando non avrò più gnente da magnà!" rispondeva, e tornava a cantare.

Negli anni Novanta ritovavo, quando passavo dalle loro parti, le tracce di una coppia, lui e lei. Due vecchi russi che si erano costruiti una "dacia" di cartoni dalle parti di Via Nazionale e che portavano un colbacco di pelliccia anche d'estate. Occhi chiari e gambe gonfie. In giro, sacchi di roba di tutti i tipi. Cicche in bocca, bottiglie svuotate, pentole e fornelletto.

A Corso Francia so che esiste un "barbone vivaista" che ha reso più belli e lussureggianti i ritagli di verde nel traffico. Agavi ripiantate, palmette, aiuole sghembe, abetini scampati ai salotti, gerani liberati dai vasi. Questo fantasmatico Marcovaldo di Roma Nord io non l'ho mai visto ma so che c'è. Abita in quella che i tassisti chiamano "la villa di cartone". 

Nel bel mezzo della piazza "più piazza" di Roma, ovvero Piazza dei Cinquecento - già il nome dice molto dell'ampiezza - troverete due donne. Amiche, sorelle, madre e figlia? Non si capisce. Fanno da spartitraffico umano in una delle zone più esposte e di passaggio che io conosca, a qualche centinaia di metri dal caos della stazione Termini. La gente intorno non può che andare di fretta, i pullman scaricano i turisti, i motorini sfrecciano. In mezzo alla piazza, un mucchio di coperte da dove sbucano un piede, una faccia o una mano, a seconda della temperatura. 

mercoledì 11 febbraio 2015

EUR

Nella grotta di una prostituta
oscilla una corda
per saltare
(Kaneko Tōta   1919)




Kaneko Tōta è un poeta di haiku a noi contemporaneo. Ha atmosfere oniriche, una specie di "efferatezza a colori" un po' alla Dalì.

La notizia, che divide non solo i romani, è quella di destinare parte di un quartiere della città, l'Eur, alla prostituzione e farne una zona a luci rosse (ultimi sviluppi qui).
Non lo so, non ho capito ancora bene se la definizione di un'area, con confini precisi, possa arginare il problema più antico del mondo. 
Sinceramente, non lo so. Ma mi offre l'occasione di ragionare sul recupero di pezzi di città.

Mi viene in mente che il Villaggio Olimpico, un quartiere oggi molto ben quotato al metro quadrato e sede dal 1990 del prestigioso auditorium di Renzo Piano, quando ero una ragazzina degli anni Ottanta era, se non volevi grane, off limit. 
Quando ci capitavi, testa bassa e passo svelto tra tossici, viados e prostitute. Occhi aperti per non ferirti su pezzi di vetro e siringhe a terra. Motorini che sgommavano e un'ariaccia torva.
Se il fine ultimo è quello, come leggo dalle notizie sull'Eur, di rendere la vita difficile al racket, potremmo provare a investire di più sul concetto di vivibilità. Immaginare un territorio urbano costellato di grandi opere e piccole opere, funzionali e belle, collegate con i servizi pubblici. Non c'è bisogno di costruire e spendere, basterebbe riqualificare quello che già è stato fatto. 
Collegamenti tra quartiere e quartiere e parchi giochi attrezzati e colorati, con una corda per saltare, ad esempio
Luci, lampioni. Spazi comuni (che bella parola "comuni"!) facilmente raggiungibili e non ai confini della realtà. Cestini, panchine. Attività culturali e ricreative, sale per musicisti dove provare a pochi soldi. 
E, proposta veramente hard, una biblioteca di quartiere meno sfigata, con connessione wifi gratuita e funzionante. 

Ah. Dimenticavo. Al Villaggio Olimpico gente che si prostituisce, e di tutti i tipi, ce ne è ancora. E si vede, eccome se si vede. E la droga, in modo meno appariscente di prima, sicuramente abbonderà ancora tra le strade squadrate di questo quartiere pensato, alla fine degli anni cinquanta, dagli architetti Alberto Libera e Luigi Moretti per un popolo vincente e in pieno boom economico. Le cose sono andate diversamente.
Ma il fatto che girato l'angolo possa esistere qualcos'altro in alternativa, negli ultimi quindici anni ha aiutato qualcuno a scegliere una strada diversa.


(Albero da marciapiede)



martedì 10 febbraio 2015

Luna

Il ladro
l'ha lasciata -
la luna alla finestra
(Ryōkan 1758-1831)



La lista degli evasori fiscali stilata da Hervé Falciani è bella lunga e gira sui quotidiani di tutto il mondo. Un totale di trecentomila nomi (da leggere QUI) tra cui famosoni da notte degli Oscar come Tina Turner e John Malkovich, teste coronate come il re del Marocco e una sfilza infinita di riccastri. 
Tra questi, ovviamente, settemila sono italiani. Ricordiamo Valentino Rossi, uno che corre in moto, Valentino quello dei vestiti e Flavio Briatore, il tizio con gli occhiali azzurrini per il sole di Malindi... 
Vorrei qui menzionare anche gli altri 6997 evasori italiani, così, uno per uno. Tutti, con le loro misteriose occupazioni, le loro società dai nomi cripto-vezzosi, i loro commerci ad alto tasso di abbronzatura. Vorrei elencarli uno per uno, nero su bianco.
Invece sono anonimi, grigi, come i vetri fumée di un SUV. Come i loro legali, grigi anche loro, e già al lavoro.

E noi? Alle finestre a guardare la luna, sempre ammesso che sia ancora lì.

(Inverno a Saint Moritz. Rifugi)

lunedì 9 febbraio 2015

Albero

Con un bel pino
hai creato il luogo
della tua tomba
(Ogiwara Seinsensui 1884-1976) 





Ho appreso dell'esistenza di un'urna biodegradabile che... sboccia. (qui).
Non è forse bellissima la possibilità di inserire il seme di un albero all'interno dell'urna che conterrà le nostre ceneri? Poter dare vita a una pianta, non ha più del fiabesco che del mortifero? A me sembra di sì.
In posti come la Svezia le cosa sembra essere abbastanza praticata, parlano di eco-sepolture sostenibili, non dico altro. Ovviamente ci sono i credenti, le reincarnazioni, i giudizi universali, rispetto tutto e tutti. 
Ma un albero nato così è qualcosa di meraviglioso, commovente e vitale.
Da abbracciare.


(Amico mio. Conosciuto a Villa Borghese anni fa)

Aggiungo questo post. Da leggere cliccando QUI.