mercoledì 28 marzo 2018

Cuori e cervelli



Il cuore che non dorme
dice al cuore che dorme: Abbi paura.
Ma io non sono il mio cuore, non ascolto
né do la sorte, so bene che mancarti,
non perderti, era l’ultima sventura.


Potrebbero essere parole sullo spaesamento queste di Raboni, il poeta che aveva casa nel francese, lingua che praticava da fine traduttore. L'immagine dei due cuori palpitanti, e freddi, come poggiati sopra un vassoio di lucido acciaio; uno dorme e l'altro veglia mentre chi legge è al di qua a osservare, a osservarsi. 

I due cuori raboniani mi rimandano alle due teste della novella di G.K.Chesterton, quella del gigante bicefalo e del piccolo bambino che lo deve uccidere citata nell'ultimo libro di Lisa Ginzburg. L'autrice parteggia per il gigante e si cimenta nell'analisi di uno sguardo doppio. Nel breve saggio paragona lo spaesamento provocato da questo tipo di visuale a quello di chi usa una lingua che non è quella materna riflettendo su chi per natura, temperamento o caso, pratica la lontananza . 
Il suo "stare lontano per restare accanto" sembra un modo per sopravvivere nella vita vera come in quella della letteratura
Allora prendo un quadro, qualsiasi, bello o brutto, e individuo al suo interno il punto di fuga. Che sia a quel punto a cui guarda Lisa Ginzburg? Forse è proprio da lì, mi chiedo, che saluta con un buongiorno la mezzanotte, in una delle immagini più struggenti del libro. Come da un punto ideale o da un aereo in volo perenne, piccolo principe senza regno del mitico racconto, è attratta non dal viaggio ma dalla sua analisi. 
E' possibile che la storia e la genealogia personale abbiano come messo ordine nella stanza di Lisa, gli scatoloni dei tanti traslochi appaiono di lato, ben chiusi e ben etichettati. Il suo gesto di lasciare qualcosa di sé dietro le spalle, da qualche parte, e la luce di una stanza senza libri (meglio portarli dentro di sé, scrive) conservano un'antica sprezzatura che continua a sedimentare nel lettore anche a libro finito. 
Ho avuto accesso a stanze spoglie, ascoltato l'eco dei vuoti. E ho come partecipato a un tempo - né un prima, né un dopo - che ha nel "durante" la sua unità di misura.  







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