giovedì 1 agosto 2019

Uno in piedi, conta gli spiccioli sul palmo


Uno in piedi, conta gli spiccioli sul palmo
l’altro mette il portafoglio nero
nella tasca di dietro dei pantaloni da lavoro.

Una sarchia la terra magra di un orto in salita
la vestaglia a fiori tenui
la sottoveste che si vede quando si piega.

Uno impugna la motosega
e sa di segatura e stelle.

Uno rompe l’aria con il suo grido
perché un tronco gli ha schiacciato il braccio
ha fatto crack come un grosso ramo quando si è spezzato
e io c’ero, ero piccolino.

Uno cade dalla bicicletta legata
e quando si alza ha la manica della giacca strappata
e prova a rincorrerci.

Uno manda via i bambini e le cornacchie
con il fucile caricato a sale.

Uno pieno di muscoli e macchie sulla canottiera
Isolina portami un caffé, dice.

Uno bussa la mattina di Natale
con una scatola di scarpe sottobraccio
aprite, aprite. È arrivato lo zio, è arrivato
zitto zitto dalla Francia, dice, schiamazzando.

Una esce di casa coprendosi un occhio con il palmo
mentre con l’occhio scoperto piange.

Una ride e ha una grande finestra sui denti davanti
anche l’altra ride, ma non ha né finestre né denti davanti.

Una scrive su un involto da salumiere
sono stufa di stare nel mondo di qua, vado in quello di là.

Uno prepara un cartello
da mettere sulla sua catasta nel bosco
non toccarli fatica a farli, c’è scritto in vernice rossa.

Uno prepara una saponetta al tritolo
da mettere sotto la catasta e il cartello di prima
ma io non l’ho visto.

Una dà un calcio a un gatto
e perde la pantofola nel farlo.

Una perde la testa quando viene la sera
dopo una bottiglia di Vov.

Una ha la gobba grande
e trova sempre le monete per strada.

Uno è stato trovato
una notte freddissima d’inverno
le scarpe nella neve
i disegni della neve sul suo petto.

Uno dice qui la notte viene con le montagne all’improvviso
ma d’inverno è bello quando si confondono
l’alto con il basso, il bianco con il blu.

Uno con parole proprie
mette su lì per lì uno sciopero destinato alla disfatta
voi dicete sempre di livorare
ma non dicete mai di venir a tirar paga
ingegnere, ha detto. Ed è già
il ricordo di un ricordare.

Uno legge Topolino
gli piacciono i film di Tarzan e Stanlio e Ollio
e si è fatto in casa una canoa troppo grande
che non passa per la porta.

Uno l’ho ricordato adesso adesso
in questo fioco di luce premuta dal buio
ma non ricordo che faccia abbia.

Uno mi dice a questo punto bisogna mettere
la parola amen
perché questa sarebbe una preghiera, come l’hai fatta tu.

E io dico che mi piace la parola amen
perché sa di preghiera e di pioggia dentro la terra
e di pietà dentro il silenzio
ma io non la metterei la parola amen
perché non ho nessuna pietà di voi
perché ho soltanto i miei occhi nei vostri
e l’allegria dei vinti e una tristezza grande.
("Parole povere" di Pierluigi Cappello)


Per il lettore funziona, un libro come pane per nutrire l'animo e rampino per scalare l'esistenza; nei momenti bui, leggere può illuminare il dolore che proviamo - menomale che ci sono gli scrittori, che fortuna abbiamo a scoprirli e amarli. Su questo rapporto, simbiotico, tra noi e la letteratura, si muove la vicenda raccontata da Alberto Garlini che ne "Il canto dell'ippopotamo" dà vita agli ideali personaggi di lettore e autore, nelle persone, appunto, di Garlini stesso e del poeta Pierluigi Cappello. E' la storia di un'amicizia, del nutrimento che uno offre all'altro e dei colpi che la vita riserva. Garlini usa la poesia del suo amico "Parole povere" come il filo a piombo per l'intera architettura del libro e invita il lettore a cercare i versi on line, o sui libri, a leggerli e a rileggerli alla luce dei fatti appena narrati, creando un gioco di specchi, una fiaccola da passare di mano in mano. 
Ho seguito l'indicazione e l'ho fatto. E rifletto, con voi che leggete adesso, sul senso di povertà nel titolo stesso della poesia, sull'atto di denudarsi per vedere meglio quello che accade, per riuscire a vedersi con i tutti i limiti e le cadute. 
E guardando chi mi sfila davanti, provo a considerare il peso della sua irripetibilità.   

Uno è stato trovato
una notte freddissima d’inverno
le scarpe nella neve
i disegni della neve sul suo petto.

Una ride e ha una grande finestra sui denti davanti
anche l’altra ride, ma non ha né finestre né denti davanti.

Uno legge Topolino
gli piacciono i film di Tarzan e Stanlio e Ollio

Nell'episodio del cane, lo leggerete, Garlini ricostruisce un episodio per il quale non si è perdonato e che riaffiora. Una violenza gratuita ed eccessiva, compiuta in vece dell'amico immobilizzato, per lui, che non poteva permettersela perché sulla sedia a rotelle. 
Pugni dati come gesto d'amore. 


(amici)

venerdì 19 luglio 2019

Luciano De Crescenzo



il topo poi rosicchiò
l’anima bianca del foglio
(“…per cosa… per cosa
continueremo a parlare?”)
la candida luna svelò
di essere un cieco budello
la luna immensa brillò
sulla tabe della siepe
(“…che dice… perché
la luna non tace?”)
altissima la goccia arrivò
e la mia lingua
ogni lingua scavò…
(La luna in "Cumae" di Michele Sovente

Andarsene in sordina, senza clamore, aiutato dal calendario e dal fato, ieri c'è stato Camilleri, domani ci sarà la luna. Non gli dispiacerà, Luciano De Crescenzo l'avrebbe presa con filosofia. 

Il mio omaggio attraverso la copertina di un suo vecchio libro - la dedica ancora recita da zio Pasquale, Capodanno 1980 - ricevuto da un vecchio, per la me d'allora, zio napoletano, simpatico e di poche parole. Fu un libro a suo modo importante, prima di tutto la dedica tutta per me, e forse mi iniziò a uno sguardo sulle cose più ironico, come fu quello del suo autore e di quel mio zio.
Fotografare con micro didascalie mi aiuta a misurare il mondo, a metterlo a posto, a cercare di capire dove sono precipitata. Forse lo devo a quel regalo laggiù.






Luna tu


O luna alta nel cielo,
sott'acqua e sotto terra
mostra la terra in cielo
e mostra il cielo in terra!
(da "Belluno" di Patrizia Valduga) 


Nelle religioni dell'antica Grecia, Selene è la dea della Luna, figlia di Iperione e di Teia, sorella del Sole (Helios) e di Eos (l'Aurora).
Mi piace l'aggettivo che ne deriva, selenico, così argenteo e malinconico, con la suggestione chimica della dose di selenio che contiene, e anche un po' acquatica, di marea. Mi piace quando qualcuno usa la parola lunare, che solo ascoltandola fa fare quei salti rallentati alla mente, senza gravità, e anche lunatico, che ha una sua luce tutta sua, felliniana, come quella di un riflettore di Cinecittà puntato su un personaggio strambo. 
E amo il lunapark, il silenzio delle giostre ferme, le luci spente all'alba di un nuovo giorno e il sole che illumina poco a poco il piccolo sogno che è stato e lo fa svanire.      

(a sorpresa)




giovedì 18 luglio 2019

Su Camilleri


l'assenza svapora
e poi che non può avvelenare i serpenti
li gonfia di cose dolci
perché nascano nuovi fermenti
a lenire slabbrature e ferimenti
(Da "La tagliola del disamore" di Jolanda Insana)

Premetto, per chiarezza e correttezza con chi mi segue da tanto e con affetto, che non sono una camilleriana e che non scriverò di Camilleri scrittore. Ma non è questo il punto.
Camilleri parlava, soprattutto attraverso il Montalbano di una Sicilia immaginata e ricostruita nella lingua nel suo laboratorio di via Asiago, ai sognatori. E con la forza dei toni cupi del tabagista e le arrotazioni del vecchio parente meridionale - non lo abbiamo forse tutti un parente così, che un po' gli assomigliava - riusciva a farsi ascoltare da chi non sarebbe stato mai raggiunto da altri. Questo tipo di capacità non so se sia un merito o un dono, non so se si acquisisca con un corso, non credo. Il carisma è fatto di tante cose, evidenti e microscopiche, anche invisibili, che arrivano dentro e sembrano parlarti direttamente. Con Camilleri abbiamo avuto fortuna, il carisma spesso fa brutti scherzi.

(In ascolto)

mercoledì 17 luglio 2019

Guarda che luna


Radioso splendore
del sole sulle pietre
che landa desolata
(Yosa Buson 1715-1783)

Una claustrofobica navicella, omini col casco tipo boccia dei pesci rossi messa al rovescio, i movimenti rallentati. Per pranzo, barrette al sapore di pasta al sugo o di bistecca e le posate da acchiappare al volo, tutto levita in assenza di gravità. Fuori l'oblò, un fondale buio non molto rassicurante, scie luminose, pianeti lattiginosi, la "landa desolata" della luna con i suoi crateri, la terra azzurrina e la palla infuocata del sole. Sparso ovunque, e infinito, un luccichìo tipo quello della porporina. Da lassù il triangolone dell'Africa, le costellazioni in presa diretta, comete fluttuanti e caudate che non hanno mai tradito l'aspettativa bambina di ognuno, frutto di cartoni animati e di presepi.
E silenzio che si "sente".
Quella precisa sonorità di silenzio spaziale che ci è incomprensibile, inimmaginabile. 
Il padre di tutti i silenzi. 


(Cielo stellato)