lunedì 17 giugno 2019

Foglie d'erba



Senti, m’informò l’anima,
Scriviamo per il corpo (siamo infatti una cosa), versi tali,
Che, dopo morte, dovessi invisibil tornare,
O, più tardi, più tardi, in altre sfere,
A un gruppo di compagni i miei canti riprendere,
(In accordo con suono, alberi, venti della terra, tumulto delle onde),
Possa con soddisfatto sorriso continuare,
A sempre riconoscere miei questi versi – come, qui ed ora, per la prima volta,
Firmando per anima e corpo, il nome mio v’appongo,
Walt Whitman
(in "Foglie d'erba" di Walt Whitman)



Walt Whitman nacque nel 1819 a West Hills, nello Stato di New York, da una famiglia quacchera. Se cerchiamo in rete le sue foto, appare per prima la più famosa, quella scattata da George Cox nel 1887. 


Sul fondo scuro risalta il volto di un vecchio, i capelli bianchi e lunghi, tutt'uno con la barba vaporosa e anch’essa bianchissima (in un suo articolo per la rubrica dal titolo "Sport per uomini", intrattiene mondanamente i suoi lettori sui vantaggi non solo estetici di una bella barba lunga e folta, utile anche per preservare i bronchi da spifferi e correnti d'aria); la tesa del cappello è definita da una linea di luce chiara che rimanda a quella degli occhi. Lo sguardo penetrante, e freddo, pare cercare il nostro grazie a quell’espediente della posa, la leggera torsione del vecchio Whitman verso l’obiettivo. Chi è quest’uomo? Un saggio, un padre, un visionario, un matto? Con il suo nome, lui non lo saprà mai, un giorno chiameranno un cratere sulla superficie di Mercurio. Walt Whitman, il grande poeta americano padre del verso libero, viaggia sul pianeta più vicino al Sole e per l’eternità.


Ascolta la vita di Walt Whitman su Radio3 cliccando QUI






venerdì 14 giugno 2019

Zanzotto e il clima


Nei luoghi chiusi dei monti
mi hanno raggiunto
mi hanno chiamato
toccandomi ai piedi.

Sulle orme incerte delle fontane
ho seguito da vicino
e senza distrarmi
le tenebre tenere del polo
ho veduto da vicino
le spoglie luminose
gli ornamenti perfettissimi
dei paesi dell'Austria.

Hanno fatto l'aria tutta fresca
di ciliegi e di meli nudi
hanno lasciato soltanto
che un piccolo albero crescesse
sua soglia della sua tristezza
hanno lasciato fuggire in un riverbero
un tiepido coniglio di pelo.

Per le estreme vie della terra caduta
assistito da giorni tardi e scarsi
discendo nel sole di brividi
che spira da tramontana.
("Dietro il paesaggio" di Andrea Zanzotto)


Presentandosi davanti ai principali consessi internazionali, Greta Thunberg ha fatto del suo sdegno un gesto poetico. Indicandoci con la sua grazia caparbia il nostro pianeta malato di riscaldamento, è riuscita a trasportarci in quei luoghi che riescono a vedere solo i grandi poeti, in un paesaggio di ombre incerte delle fontane, di tenebre tenere del polo e tra le spoglie luminose. Ogni volta che leggo Zanzotto lo immagino affacciato alla finestra del mondo, il suo studio, la scrivania con le carte e le librerie, alle spalle. Lo sguardo avanti, assorto, per chi verrà.

giovedì 13 giugno 2019

Sono momenti belli


Sono momenti belli: c'è silenzio
e il ritmo d'un polmone, se guardi dai cristalli
quella gente che marcia al suo lavoro
diritta interessata necessaria
che ha tanto fiato caldo nella bocca
quando dice buongiorno

è questa che decide 
e son dei loro
non c'è altro da dire.

E questo cielo contemporaneo
in alto, tira su la schiena, in alto ma non tanto
questo cielo colore di lamiera
sulla piazza a Sesto a Cinisello alla Bovisa
sopra tutti i tranvieri ai capolinea
non prolunga all'infinito
i fianchi le guglie i grattacieli i capannoni Pirelli
coperti di lamiera?

È nostro questo cielo d'acciaio che non finge
Eden e non concede smarrimenti,
è nostro ed è morale il cielo
che non promette scampo dalla terra,
proprio perché sulla terra non c'è
scampo da noi nella vita.
(Da "La ragazza Carla" di Elio Pagliarani)



Anche quando non sembra, sono momenti belli. Anche quando va un po' così, sono momenti belli. Da soli è impossibile individuarli, meno male che gente come Pagliarani è esistita, ha scritto e continua a indicarceli.




(Di là)

lunedì 10 giugno 2019

Con passi giapponesi


Quello che è mio potrebbe essere vostro?
No, se fosse vostro non sarebbe mio.
Ma il mio cos'è? Dov'è?
Non sono certo io, non lo ritrovo in me.
Di me mi sento infatti mandataria,
ma in nessun modo, mai, la proprietaria.
(Patrizia Cavalli) 

"Ma díglielo, no? Dille quanto ti piace!"
Ci ho provato. Anzi l'ho anche fatto, negli anni, nelle occasioni dei festival, ma non mi importa. A casa sua, quando l'ho incontrata la prima volta, una quindicina di anni fa, no, lì non dissi nulla preferendo un sorriso vuoto e gentile, non avevo ancora centrato il suo sguardo poetico, e mi aggiravo in una casa piena di anfratti, di camere, di copriletti colorati e libri. Col registratore e il microfono, la seguivo nei meandri allegri di quella casa romana che se lo dici, abito a Campo de' Fiori, sembra impossibile; la seguivo tipo Fido mentre mi mostrava alcune letture che la impegnavano in quel momento e, mentre parlava allegramente, col suo sorriso, e gli occhi rapinosi, io sorridevo e registravo le sue poesie. Da quel pomeriggio, infisso nella mia testa come una pietra dentro il castone, della sua scrittura, di quel suo disincanto e lo sprazzo di dolcezza improvviso che balena nel verso, non ne ho fatto più a meno. L'ho sempre più capito, aspettandolo. Aspettando quella chiusura ribatatrice di ogni sua poesia, quel kireji della Cavalli e non di uno haiku, fatto di un lampo di gioia, di ironia, di depressione, di amore solo suo. È diventata la compagna di passeggiate romane, quando in motorino attraverso un ponte, se vago nella città barocca dai palazzi color pastello, celestini, arancio e burro penso a quei copriletti. Se scopro un capitello in un angolo, con una vecchia mendicante seduta sopra o incerottato dalle strisce di plastica dei lavori in corso, mi sembra che geolocalizzi un suo verso. E provo a fare mio quel senso di malinconica immanenza e di vita da mangiare. "Con passi giapponesi" è la raccolta di racconti appena uscita, dove, sia ben chiaro, il Giappone non c'entra nulla. Non so cosa dire su questo libro che mi ha colpito tanto (allora cosa scrivi? Scrivo questo: "non so cosa dire"); che è come se qualcuno da lì dentro mi parlasse, anzi mi guardasse, anzi, ci guardiamo riconoscendoci. 

Quello che è mio potrebbe essere vostro?
No, se fosse vostro non sarebbe mio.
Ma il mio cos'è? Dov'è?

E una volta finito mi è gravata addosso quella sensazione di sbigottimento, misto a una ansia lieve, succede quando un autore sembra parlare a te, proprio a te, quando capisci che quello che è suo potrebbe essere tuo. E forse lo è anche un pochino. 




venerdì 7 giugno 2019

Vecchio cameriere


Vivo qui dentro
senza essere altro
covo pensieri non miei
per sapere chi sei
(Ne "La fine di quest'arte" di Silvia Bre)

C'è un senso tragico nella figura del vecchio cameriere. La giacca bianca, il cravattino, i pantaloni neri, stazzonati, mai della taglia giusta e sempre troppo pesanti. 
Lo guardo aggirarsi tra i tavoli, notes e tovagliolo, la testa leggermente reclinata - mal di schiena, sonnolenza di chi si è alzato presto e ritirato tardi per una vita intera. Gli occhi vuoti mentre il cliente sceglie qualcosa dal menù, e la fronte imperlata che denuncia il fremito di chi sta per sparire.



(Vivo qui dentro)





mercoledì 5 giugno 2019

Eutanasia


Eccomi
dove il blu del mare
è infinito
(Santōka 1882-1940)

È tornata sui giornali la questione, insieme ai dubbi, comprensibili e degni di rispetto. Una ragazza  giovane, bella, e dopo più nulla rende tutto ancora più difficile da capire. Eppure.
La possibilità di scegliere. 
Rileggo l'haiku di Santōka, quell'eccomi così libero, meditato. Scelto.


(Uscita di emergenza)

martedì 4 giugno 2019

Comunque sia


Che tu ci sia o non ci sia
ormai è la stessa cosa,
comunque sia io ho la nostalgia
(In "Poesie 1974-1992" di Patrizia Cavalli)

Mi piace cercare on line le foto degli scrittori che amo; capisco capelli, cerco denti, conto nei, mi faccio sorprendere da rughe e ciuffi. Dettagli che sovrappongo alle parole per il mio identikit letterario, per la mia dichiarazione d'amore.


(Amanti)

sabato 1 giugno 2019

Centro benessere a Cesena


Il bene ha vermi
e macchie screziate. La mano
che aiuta ora puzza. Non è nel sogno
del bene il lato migliore
(Mariangela Gualtieri)


Quando tutto intorno sembra non appartenerci o ci rappresenta malamente, se ci sentiamo tapini e derelitti, e un po' soli, quando addirittura i titoli delle copertine di alcuni libri, i caratteri delle lettere stesse, sono nel font littorio pur di vendere qualche copia sdoganando  così un'estetica fascia, avvolgente e vincente, dove ci si rintana? Chi ha fede va in chiesa ma chi non ha fede dove va? In biblioteca. (Vale pure chiudercisi dentro, le mura sono spesse e le urla non arrivano, i cellulari non prendono). 
Visto che per lavoro sono a Cesena torno alla Malatestiana, in questi tempi foschi e urlati, mi sembra un luogo di benessere, una spa.
Vi propongo il mio bignami per visitarla, due o tre appunti sulla storica biblioteca di Cesena. Fa bene farci un salto, anche per poco tempo. Ci si sente corroborati, pronti per affrontare tutto, anche... vabbè, quasi tutto.

- è la prima biblioteca civica in Italia   
- è rimasta perfettamente conservata. Edificio, arredo e posizione degli incunaboli è la stessa dal XV secolo. Conta 250mila volumi.
- la pergamena è morbida al tatto, sembra fragile ma è resistentissima. 
- raschiandola i copisti potevano correggere eventuali errori.
- osservandola da molto vicino si intravedono ancora i pori, la traccia del bulbo pilifero della pelle animale. Al contrario, girandola, risulta liscia poiché si alternavano, nella rilegatura, le pagine ottenute dalla pelle dalla parte del pelo con quelle sulla carne. 
- il copista era un lavoro molto considerato e ben pagato. Vitto e alloggio a corte garantiti, i migliori arrivavano da Francia e Germania e facevano la loro fortuna.
- alcuni copisti spesso apponevano la loro firma alla fine del testo, impreziosivano le pagine con miniature, piccole foglie d'acanto, cervi e stelle d'oro.
- usavano disegnare la manicula, ovvero una piccola manina con l'indice alzato, tipo puntatore del mouse sulla schermo, dove ci fosse qualcosa d'importante da leggere. Bellissimo, ci si può commuovere.   
- come è anche struggente pensare che ogni singola lettera è stata scritta da un uomo con la sua vita, la sua professionalità e la sua storia. Ogni stilo aveva la sua mano e ogni mano la sua vita. Le biografie dei copisti sembrano piccole parabole: uno di loro guadagnò tanto da potersene tornare in Germania, un altro si fidanzò e si stabilì a Cesena, un altro dichiarò che solo in taverna e con le donne avrebbe speso tutti i soldi accumulati scrivendo e copiando.
- l'aula destinata alla lettura si chiama Aula del Nuti, dal suo architetto Matteo Nuti.
- Un piccolo elefante in pietra orna il portone ligneo dell'aula di lettura. Con la proboscide stringe un cartiglio con su scritto elephas indus culices non timet, l'elefante indiano non teme le zanzare a significare che i Malatesta erano forti come elefanti e certo non si sarebbero spaventati dei nemici, al massimo li avrebbero schiacciati come zanzare. 
- il portone di legno sembra di cioccolato lucido e marrone, fu progettato e intagliato a piccoli quadretti dal più grande ebanista dell'epoca che si chiamava Cristoforo da San Giovanni in Persiceto. Cristoforo non usava firmare le sue opere ma questa volle autografarla. Solo una in tutta la sua vita, questa. Forse intuì l'onore che gli era toccato, quello di aprire lo scrigno del sapere, dalla cultura, delle lettere. Un umile artigiano che attraverso la sua perizia avrebbe avuto accesso allo scibile umano per i secoli a venire.

(Prezioso manoscritto)


venerdì 31 maggio 2019

Walt Whitman


Senti, m'informò l'anima,
Scriviamo per il corpo (siamo infatti una cosa), versi tali,
Che, dopo morte, dovessi invisibil tornare,
O, più tardi, più tardi, in altre sfere, 
A un gruppo di compagni i miei canti riprendere, 
(In accordo con suono, alberi, venti della terra, tumulto delle onde),
Possa con soddisfatto sorriso continuare,
A sempre riconoscere miei questi versi – come, qui ed ora, per la prima volta,
Firmando per anima e corpo, il nome mio v'appongo (...)
(Da "Foglie d'erba" di Walt Whitman)

Festeggio il padre della poesia americana, e del verso libero, nato oggi come duecento anni fa, con l'incipit di "Foglie d'erba". La raccolta l'ho trovata sopra una bancarella dell'usato, per pochi euro è diventata mia. Non è un'edizione rara ma ha una dedica amorosa.  
L'acquisto di un libro usato è un sottovalutato gesto poetico - chissà chi lo ha letto, chi l'ha sottolineato? - ed è passaggio di sentimenti, di aspettative, di pensieri. Dino Campana, quando s'imbarcò verso l'Argentina, in valigia aveva "Foglie d'erba" e poco altro; il suo "fratello" giapponese, l'haijin Santōka, nato e morto negli stessi anni e vittima di disperazioni simili a quelle del poeta di Marradi, si sarebbe riconosciuto nell'accordo con suono, alberi, venti della terra, tumulto delle onde e negli anni venti del secolo. Viaggiando in solitudine per il Giappone e vivendo di elemosine, un giorno avrebbe composto questo haiku:

Erba verde -
Torno
a piedi scalzi

Leggere porta altrove, si sa e fa anche tornare a piedi scalzi quando ci si imbatte in un grande autore. E il libro usato è come se tra le pagine nascondesse vite e sentimenti di cui è ancora possibile avvertire il palpito. 

(con amore)





giovedì 30 maggio 2019

Sono una motorinista


Dopo argomenti di fuoco
mi butto in strada-
divento una moto.

Tota Kaneko (1919)

E basta! Troppa tristezza, troppi grigi, troppi grugni. Mi faccio pena da sola, abbattersi no, meglio andare avanti. Magari in motorino, girando per Roma. È il mio crack, la mia slot, la mia connessione invisibile col resto del mondo.

Mi basta un semaforo rosso.
Macchinine guidate da adolescenti multitasking che con una mano fumano e con l’altra reggono il cellulare, berline dai vetri fumée dei genitori degli stessi ragazzini, intenti anche loro in lunghe telefonate.
Facendo lo slalom tra queste due falangi, scivolano i “motorinisti”.
Vanno di fretta perché sono sempre in ritardo, hanno i capelli schiacciati dal casco, la fronte con il solco orizzontale della stretta. La borsa a tracolla sul giubbotto, il figlio stretto contro il bauletto, bollette da pagare accartocciate in tasca e il lavoro da raggiungere. Tutto insieme.
Il motorino era il sogno adolescenziale di questi ragazzi che vedo invecchiati sulla sella, e che ottenevano con solenni giuramenti di telefonare quando arrivavano. Hanno tra i quaranta e i cinquanta anni, sono di “mezza età”, un tempo sinonimo di obiettivi raggiunti, ma che oggi significa solo continuare a rincorrerli, come criceti sulla ruota. Nati alla fine degli anni Sessanta, quando il boom ha fatto flop, in quel tempo grigio pre-telefonino e pre-web – al massimo colorato dalla disco e dai sogni di Drive In – economicamente dipendono ancora da quegli stessi genitori che un tempo acquistarono loro lo scooter. I “motorinisti” visti oggi, sembrano il simbolo vivente di una generazione poco interessante.
I trentenni hipster, i barbuti surfisti del web che sgusciano smilzi su eco-biciclette con un cervello pieno di idee e di app, fanno tendenza molto più di loro. I sessantenni, colti e ideologici che, mentre affondano i denti sui polpacci degli ottantenni seduti su poltrone da cui non si alzeranno, li guardano con dolciastra condiscendenza.
Sono tutti più interessanti di loro, tutti su rampe di lancio irraggiungibili, tutti avanti di una casella.
I motorinisti sono anche miti, e sorridono. Un po’ idealisti, un po’ cazzari, un po’ fregati dalla vita ma sempre allerta, sono i veri supereroi di una sopravvivenza non solo stradale.

(Ricciolina)



mercoledì 29 maggio 2019

Brutti, sporchi e cattivi



Desiderando solo camminare,
cammino con la mia sacca piena –
Luna della sera
(Santōka 1882-1940) 


Questa mattina ho avuto la rappresentazione plastica di quello che siamo diventati. Ero in fila dal tabaccaio, aspettavo che arrivasse il mio turno per pagare una bolletta.
Nel negozio, lugubre, buio né più né meno del solito, la padrona dietro la cassa con aria scocciata si dava da fare quel minimo a cui ormai siamo abituati. Sorrisi? No. Da quel grugno fisso dietro il banco direi mai fatti. La padrona, dicevo, serviva la prima della fila, una donna (ragazza, vecchia, bambina?) che, lo ammetto, scannerizzerei partendo dalle unghie coriacee, quei carapaci istoriati che stanno frugando nel portadocumenti D&G, ha l'incarnato sottile, giallastro, poggiato su gote prefabbricate fatte risalire fino al punto omologato, quello da selfie, hashtag aperitivo. Alle 19 la bocca tumida si protruderà gommosa verso il vetro del bicchiere e l'occhio a mezz'asta, fisso ai follower, prometterà ogni concepibile sì. Postmoderna, quindi più virtuale che reale, gira tacchi alti e fianchi stretti e si avvia verso l'uscita. Dopo di lei tocca al tizio della ricarica per le sigarette elettroniche, vanigliato e assorto dentro una nuvola, prefabbricata anch'essa, quelle belle sigarette, quella bella puzza di fumo stantìo quanto mi manca! E così anche il tizio vanigliato viene servito e se ne va, compreso di kit. Una slot cigola, visto che il suono le è stato silenziato, le sue luci intermittenti nell'angolo più buio, macina euro mentre la leva scende per risalire. Un nigeriano muscoloso è il suo manovratore, sbarcato e arruolato, qualcuno gli fa vendere portafogli tarocchi D&G che un giorno una tumidona, uguale a quella appena sparita nella nuvola di vaniglia di quell'altro, gli acquisterà dopo una trattativa identica a sempre. Ma per ora il nigeriano non ha ancora venduto una mazza, quindi meglio giocarci su, una volta e ancora un'altra e magari caderci nella dipendenza della ludopatia, non ne parlano anche i giornali quando decidono fare servizi sul sociale, sulle dipendenze? Sei uguale ai vecchi dall'aria livida che verranno dopo di te, fratello, giocatori pensionati incattiviti e strenui sostenitori di governi razzisti che ti vogliono ricacciare da dove sei venuto e tu che ingrassi il meccanismo con i tuoi pochi euro, cazzo, non li vedi e non lo sai.        
L'ultimo della fila, io ho pagato, sono quella che infila in borsa la ricevuta, è quello con la visiera calata sul ciuffo bianco. Guarda il giocatore, e dai denti gialli gli esce chiaro chiaro, affinché io senta e magari ci rida su, con lui, insieme, complici, come quelli che stanno dalla stessa parte quella giusta: "Hitler. Ce vorrebbe Hitler."
Ho aperto il bauletto del motorino, ho tirato fuori il casco e me lo sono messo in testa, senza sapere bene cosa fare e dove andare. 


(scusate tutti)


lunedì 27 maggio 2019

La sveglia del mattino



Piove. È mercoledì. Sono a Cesena,
ospite della mia sorella sposa,
sposa da sei, da sette mesi appena.

Batte la pioggia il grigio borgo, lava
la faccia della casa senza posa,
schiuma a piè delle gronde come bava.
(da "A Cesena" di Marino Moretti) 


Sarà che è un periodo che leggo Moretti per prepararne il racconto radiofonico, sarà il risultato delle elezioni, ma mi sono svegliata crepuscolare.E faccio mio il pensiero del critico e filologo Pier Vincenzo Mengaldo che definisce questa poetica letteraria come "una piccola e sacra rappresentazione dell'anima". 
E solo così che posso spiegarmi quanto accadutomi dopo i risultati di ieri. Ci si sveglia Marino Moretti, ci si alza, si guarda fuori la finestra e si ha solo voglia di rificcarsi sotto le coperte.

(grigio borgo)






venerdì 24 maggio 2019

Funerale a Monterotondo


Pensi davvero che basti non avere colpe per non essere puniti,
ma tu hai colpe.
L’aria è piena di grida. Sono attaccate ai muri,
basta sfregare leggermente.
Dai mattoni salgono respiri, brandelli di parole.
Ferri di cavalli morti circondano immagini di battaglie
Le trattengono prima che vadano in un futuro senza cornici.
Cosa ci rende tanto crudeli gli uni con gli altri?
Cosa rende alcuni più crudeli di altri?
Le crudeltà subite e poi inghiottite fino a formare una guaina
con aculei sul corpo ferito?
O semplicemente siamo predestinati al male,
e la vita è solo fatta di tregue dove sostiamo
per non odiare e non colpire?
(L'aria è piena di grida di Antonella Anedda)


Gli applausi all'uscita del funerale. L’aria è piena di grida. Sono attaccate ai muri,
Vite rotte: il padre, la madre e la figlia, il degrado dell'alcol e della droga, le botte e la paura.
A questa storia buia, nella luce del sagrato, mancava solo l'applauso del pubblico che, immancabile, è arrivato (video).
Mi commuove che la figlia - mito greco precipitato quaggiù - abbia un giorno deciso di fare il pugile come suo padre. La leggo come una dichiarazione d'amore.


(vite)