lunedì 17 aprile 2017

Pasquetta


Sotto l'albero tutto si copre
di petali di ciliegio,
pure la zuppa e il pesce sottaceto
(Bashō 1644-1694)

Non so se Bashō amasse mangiare fuori porta uova sode e fave fresche, certo è che questo suo haiku sa tanto di pic nic e di una giornata di sole primaverile.
Buona Pasquetta!


(Avanzi pasquali)

domenica 16 aprile 2017

Buona Pasqua


Quiete
in veranda, forbici
e peonie

(Sōseki 1867-1916)


Un haiku come un piccolo uovo. Liscio, perfetto, semplice. I miei auguri li trovate nel suo interno, nello spazio bianco tra i versi; il tempo sospeso della festa, un cielo sereno, un po' di verde e di primavera... E la sorpresa di un germoglio nuovo. 
A me le sorprese sono sempre piaciute. Auguri!


(Quasi pronto)













venerdì 14 aprile 2017

Venerdì santo


In questo tempo
mi abituo al lampo
e al viaggio
(Momoko Kuroda 1938)



Venerdì 14 aprile. Sfoglio il giornale, come ogni mattina. Che notizia scelgo per oggi? La "super bomba" di Trump o la vendita del Milan? E quale poeta, quale foto scaricare dal mio cellulare che possa richiamare magari un ciuffo biondo o un parrucchino maròn? 


Era solo ieri sera, una cena a casa di amici. 
Una coppia che non conoscevo poi così bene raccontava la sua esperienza di lavoro solidale in posti lontani e ancora sanguinolenti, di mani che scivolano da altre mani nel tentativo di un salvataggio, di morti che galleggiano sotto sguardi impotenti. 
Se ci fosse stato un regista, di quelli bravi, ci avrebbe inquadrati così, raccolti intorno a una tavola bella, i nostri visi uno dopo l'altro, le candele sul mobile accanto.  
Stacco.
Nello stesso momento il sacrificio pasquale si rinnovava al largo della Libia, in quel mare che stavamo raccontando, e si ripeteva ancora una volta una pasqua per ogni cristo che ha tentato la salvezza, il suo povero rito monco, senza resurrezione. 

Allora scelgo la perenne attualità di queste morti. Sono ancora altre cento (notizia QUI).
Persone fatte di sogni, aspirazioni, caratteri, e di mani, braccia, occhi, capelli, visi. Cuori, cervelli. Ognuno di loro ero caro a qualcun altro, ognuno aveva un nome, un compleanno.
La farò sempre, la faccio per me, la mia preghiera laica, provando a pensare a ognuno di loro.  
Abituarsi al lampo e al viaggio no, non dovrà mai succedermi.


(passione di cristi)



giovedì 13 aprile 2017

Fonzie e le fake news


Io ho parlato ed un altro ha sentito
ed ha bisbigliato ad un altro, un terzo ha capito
mentre un quarto, prendendo un bastone di quercia,
è uscito nella notte – verso un’azione eroica. Il mondo su questo
ha composto una canzone e con questa stessa canzone
sulle labbra – o vita! – vado incontro alla morte.


Se da piccola facevo una cosa che non dovevo fare, tipo dire una bugia, sapevo che avrei dovuto chiedere scusa. In quegli stessi anni qualcuno, mettendo in connessione un elenco di nomi tra loro, iniziava a lavorare su internet ma, tranquilli, eravamo ancora agli inizi.

Alla fine degli anni settanta Fonzie ci provava, eccome, a chiedere "scusa", ma gli usciva dalla bocca contratta solo uno "sc", come un singulto (per i nervi dava una botta al jukebox  e il disco partiva e la puntata continuava). La sera, Sandra e Raimondo ci divertivano con "Tante scuse" e in un garage lontano lontano, un giovane capelluto di nome Steve Jobs cincischiava tra cavi, schermi e matematica. Ma, tranquilli, eravamo ancora lontanissimi dal conoscere i cavoli altrui e con essi l'espressione "in tempo reale", le notizie arrivavano sì, ma sempre molto tardi e i giornali uscivano con un'edizione serale. Se qualcuno dava una notizia sbagliata partiva la lettera del direttore con le scuse, pubbliche, il giorno dopo. I dossieraggi e le calunnie esistevano, ovvio, ma erano fenomeni occulti, poco appariscenti. Selenici. E comunque per "rete", anche i più fichi, ancora intendevano quella dell'uomo ragno.  

Negli anni novanta, insieme a tangentopoli, sono apparsi i primi telefonini e i motori di ricerca e tutto ci è sembrato, di colpo, qui, a portata di mano. Finalmente un poco di luce, abbiamo pensato. E la pubblica piazza, che di lì a poco sarebbe stata virtuale, iniziava a illuminarsi, riuscivamo a guardare, tutti insieme, le monetine e i processi in tv.

Da quel 2001 - le torri gemelle tagliate in due da un'esplosione, i corpi lanciati nel vuoto - è come se qualcuno avesse spinto un pulsante e ben accelerato la nostra ansia di connessione.  Un nerd di nome Zuckerberg l'ha capito al volo e ci ha procurato un luogo protetto e da condividere. Le notizie oggi le spizzichiamo qui e lì, la fonte è una sola "l'ho letto in rete", un partito è nato dalla pancia di tutto questo e, per esistere, ci si siamo tutti armati di un profilo social.



Nota

Io ho parlato ed un altro ha sentito
ed ha bisbigliato ad un altro, un terzo ha capito
mentre un quarto 

Postverità. La nostra, l'epoca della trasparenza e dell'esposizione, sta producendo la sua nemesi: le notizie false. 
Spariamo fake news. E, ovvio, nessuno chiede scusa. 


(Social-ismo)

















martedì 11 aprile 2017

"Igor il russo"


E’ fuggito un toro nero
erra sul cavalcavia
impaurendo il traffico,
lo rincorriamo
impugnando coltelli
bastoni elettrici e birre
corre si ferma torna
arrivano i carabinieri coi mitra,
ora è steso su un velo d’erba
e sussurra qualcosa alle mosche.
(Ivano Ferrari)



Leggiamo le notizie sul crudele "Igor il russo", quello con le virgolette perché russo non è, ma è di un est qualsiasi, non ti sbagli, un est cattivo e lontano.
Fugge, "Igor il russo" con le virgolette, e si lascia alle spalle la lunga scia di sangue che annusano cani "molecolari", sì, ora tutti diciamo così, "molecolari", con le virgolette anche loro perché ci siamo preparati leggendo i giornali e guardando leviteindiretta, noi, e, in ottocento, tra poliziotti e cittadini comuni, seguiamo le sue impronte lasciate nel fango.

erra sul cavalcavia
impaurendo il traffico

Sii benedetto igor il russo, tu che sei la mia catarsi, il mio capro espiatorio, il mio mazzabubbù che si porta via tutte le altre mie paure! E che, con il tuo rassicurante cipiglio da orco cattivo, con il tuo aplomb da mostro, e la tua mazza ferrata, ti fai capire da tutti, grandi e piccini.
Ché finalmente, nell'epoca degli attentati e del terrore liquido, abbiamo paura di una cosa bella chiara. Chiara senza virgolette.

(recinto per cattivi)










lunedì 10 aprile 2017

Pensieri e parole


Una parola uscita di bocca
fredda le labbra,
qual vento d'autunno
(Bashō 1644-1694)



Un haiku desolato del viaggiatore monaco zen Bashō. 


Morire e uccidere in nome di dio non può essere, il fanatismo terroristico affonda sul disagio e sulla diseguaglianza e non può fondarsi sulla religione... che mezzi e che stategia usare se bastano al massimo otto o nove soldati pronti a tutto per piegare una nazione intera e a cosa servirà mai chiudere i confini - e poi quali? - se i kamikaze possono essere nati e cresciuti fra noi...

Una domenica di festa, di primavera. Un pranzo di quelli lunghi con gli amici con l'aria tiepida e quella spossatezza di quando si sta bene
E un vento d'autunno che soffia in questa povera primavera appena sbocciata.


(Domenica delle palme)



sabato 8 aprile 2017

Rosetta

Tutto il giorno
senza dire una parola.
Il suono delle onde.
(Santōka 1882-1940)


"Signora, signoraaaa!" la sua vociona alle mie spalle, mentre traffico con il bauletto del motorino appena parcheggiato sotto casa. Sono le sette di sera, sono da poco uscita dalla redazione, sono stanca, ho pure le buste della spesa e il sole, nonostante tutto questo, sembra ancora altissimo.
"Signoraaa, che c'ha un eurooo?" 
Mi sto girando verso di lui, in testa ho ancora il casco.
"Beh, no..."  
Me lo sfilo, scuoto i capelli appiccicati per il caldo, alzo lo sguardo. E' un mio vicino, quello dall'aria buffa e con la voce tenorile. Un uomo un po' vecchio un po' no, camicia  a maniche corte su pantaloni giro-collo (salgono sempre più in alto quando si invecchia). E' alto. E' lui quello che ci diede il primo benvenuto appena arrivati a vivere lì. A modo suo, a gran voce, con una barzelletta di quelle con la domanda, ehi, voi, sapete il colmo per un panettiere? avere una figlia che si chiama rosetta! 
Una cosa così.
Ovviamente, è stato amore a prima vista e lo abbiamo soprannominato "rosetta". 
Fino  a quel momento lo immaginavo nella sua casa, una magra pensione, arredi modesti, un figlio che magari lo va a trovare ogni tanto e, quando incontra qualcuno, due chiacchiere strampalate a gran voce. 
Sereno, anche nel suo caos mentale; non pensavo chiedesse l'elemosina. Ecco, questo non lo pensavo proprio.
"Signoraaa, avevo voglia di una cocaaaaa" stessi decibel, solo più rassegnati.
Il cappellino, di quelli anni sessanta, di tela rosata con le falde minuscole, si muove un po' sopra quella testa da proteggere. 
Alla parola "cocacola" non resisto. Poggio tutto per terra, casco e borse della spesa, e mi tuffo alla ricerca dell'euro. Qui non ci sono bambini da far mangiare, casa lontana o perdita del lavoro. E neanche un tavernello da svuotarsi in gola. Qui è tutto semplice. E' tutto molto semplice, come una battuta, come quella della rosetta. 
Oppure no. E' tutto molto, ma molto più complicato. 
Trovo la moneta sul fondo della borsa. 
"Ecco"
"Grazie signoraaa! Mi ha risolto un problema, eh!"
Ripongo il casco nel bauletto, raccatto le cose da terra, cerco le chiavi di casa e ancora:
"Signoraaaa! GRAZIEEE!!!" 
Un euro. Me lo ha chiesto, tutto qui. Un "problema" in meno sulla terra. Un "problema" risolto.

La mattina seguente, ancora mezzo addormentata, sento dalla finestra il clangore dell'automezzo addetto al recupero dell'immondizia e i mugugni degli addetti alla pulizia intenti nell'operazione di svuotaggio cassonetto. Su tutte, riconosco la voce, quella di rosetta:
"Signoreee! Scusiiii, non vedeeee??? Le è caduta una cartaaaa!!!


(lucina sbagliata)